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XX).
1. Archivistica e principio di nazionalità.
Nel corso dell’Ottocento gli archivi si aprirono sempre più alla consultazione e sempre più persone
si rivolsero a loro per studi e ricerche.
Bonaini fa risalire la frattura fra vecchia e nuova storiografia (la nuova cerca le fonti negli archivi
più della vecchia) alla fine dell’antico regime, mentre Andrea Gloria la concepisce come parte del
nostro Risorgimento: secondo lui alcuni governi preunitari impedivano la consultazione dei propri
archivi affinché le memorie delle antiche glorie lì conservate non dessero ulteriore slancio al
risorgimento italiano.
Nel corso del XIX secolo il progresso dell’archivistica e la riscoperta degli archivi furono
strettamente collegati ad un vigoroso movimento della storiografia romantica, di pari passo con
l’affermarsi del principio di nazionalità.
I popoli d’Europa cercarono negli archivi le fonti della propria storia, della propria identità
nazionale, della propria passata grandezza.
Gli archivi che nei secoli passati erano stati l’“armeria” dei principi divenivano ora i depositari dei
titoli di nobiltà dei popoli e delle Nazioni.
Questo pensiero filtra nella relazione della Commissione della Camera dei deputati ad un disegno di
legge sugli “archivi nazionali” del 9 maggio 1882, in cui si afferma che i documenti dei nostri
archivi sono i “diplomi di nobiltà” del popolo italiano.
2. La “dottrina archivistica” nel R. D. 27 maggio 1875, n.2552. La prevalenza dell’archivistica nel
R. D. 21 settembre 1896, n-478. Il pensiero di Carlo Malagola (1855 – 1910).
La scuola dell’Archivio di Stato di Firenze non previde alcun insegnamento di archivistica.
Tutte le altre Scuole istituite presso gli Archivi di Stato furono unificate nel 184 nell’ordinamento e
nella denominazione, come “Scuole di paleografia e dottrina archivistica”.
La “dottrina Archivistica” compariva già nel titolo e ne era previsto l’insegnamento in entrambi gli
anni del corso biennale delle scuole, sulla base del regolamento del R. D. 27 maggio 1875, n. 2552,
artt. 45 – 54.
Il programma di archivistica comprendeva:
- I anno: “notizie dei principali sistemi di ordinamento degli archivi”;
- II anno: “dottrina archivistica”, “leggi e regolamenti sugli archivi”, “istituzioni politiche della
regione”, “vicende e stato presente degli archivi della regione”; per “regione” si intendeva la
regione storica, l’ambito territoriale dello Stato preunitario, di cui l’archivista si sarebbe dovuto
occupare.
Il R. D. 21 settembre 1896, n. 478 prescrisse che l’archivistica divenisse la materia principale
dell’insegnamento delle Scuole d’Archivio e intitolò l’esame non più “Paleografia e dottrina
archivistica” ma “Archivistica e scienze ausiliarie”.
Il programma dell’esame prevedeva: “prolegomeni” di carattere generale, Paleografia latina,
Diplomatica, Sfragistica, Cronografia, Monete, Metrologia (pesi e misure), Archivistica.
Nallo specifico “Archivistica” comprendeva: “storia degli archivi nell’età medioevale e moderna”,
“assunti e principi generali dell’archivistica scientifica”, “metodo e tecniche dei lavori archivistici
interni”, “uso della suppellettile archivistica”, “legislazione archivistica” suddivisa in quattro archi
temporali (ante Rivoluzione francese; 1789 – 1859; 1859 – 1874/75; legislazione vigente).
Le Scuole avevano il loro centro nell’archivistica, tutte le altre materie di insegnamento, comprese
paleografia e diplomatica, erano considerate “scienze ausiliarie”.
Questo programma sembra attribuibile a Carlo Malagola, il quale insegnò dal 1888 paleografia e
diplomatica nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Nelle sue lezioni diede una
rapida scorsa alla storia dell’archivistica, che, secondo lui, doveva assumere il ruolo di vera e
propria scienza sopra leggi proprie e fisse.
Purtroppo questa riforma durò solo fino al 1902, quando il R. D. 9 settembre 1902 riportò alla
situazione archivistica pre-1896.
3. La Scuola di archivistica maceratese. Ludovico Zdekauer (1855 – 1924) e dEzio Sebastiani (1878
– 1960).
Ludovico Zdekauer fu professore di storia del diritto italiano nell’Università da Macerata ed
Archivista di Stato a Siena. Il suo insegnamento durò alcuni anni e dette luogo ala formazione della
“Scuola archivistica maceratese”. Egli comprese lezioni di archivistica nel proprio corso.
Ezio Sebastiani costituì uno dei più importanti apporti della Scuola maceratese all’archivistica con
la sua tesi intitolata “Genesi, concetto e natura giuridica degli Archivi di stato in Italia”, pubblicata
dalla “Rivista italiana per le scienze giuridiche” nel 1904.
La tesi è organizzata in tre parti.
I parte, “Genesi degli archivi di Stato in Italia”: è una storia degli archivi dalle origini, che parte
dall’affermazione che “l’archivio in genere segue di pari passo la formazione, lo sviluppo e la fine
di una determinata istituzione sociale o politica; anzi, si può dire più propriamente come esso non
rappresenti altro che la storia più genuina ed autentica della istituzione stessa”.
II parte, “Concetto degli archivi di Stato”: un Archivio di Stato è dotato di elementi contingenti,
come la “pubblicità” ( = consultabilità) dei documenti, e di elementi necessari, cioè la “specie dei
documenti” e l’“ordinamento”. Riguardo all’ordinamento, esso è necessario perché senza di esso un
archivio sarebbe solo un deposito confuso di documenti e, anche se non può occuparsi in dettagli o
di questo argomento, Sebastiani rileva che la disposizione delle carte deve rispecchiare esattamente
il funzionamento dello Stato nelle sue varie amministrazioni. Purtroppo più avanti Sebastiani
auspica un ordinamento uniforme di tutti gli archivi, in netto contrasto con quanto appena
affermato.
III parte, “Natura giuridica degli Archivi di Stato”: qui è esposta la rilevazione di due scopi nella
conservazione dei documenti negli Archivi di Stato, uno amministrativo e uno culturale.
Da quanto premesso lo Stato non può distruggere la propria documentazione, pena la distruzione
del substrato necessario alla sua vita. Lo Stato ha sugli archivi solo un potere di regolamento.
Su questo concetto Sebastiani conclude affermando che gli archivi fanno parte del demanio
pubblico (concetto ripreso 40 anni dopo e inserito nell’attuale codice civile, entrato in vigore il 21
aprile 1942).
Lo studente non aveva in mente la realizzazione di un manuale di archivistica, infatti non tratta temi
della teoria archivistica, mentre affronta la legislazione archivistica.
Per la sua opera non poté ispirarsi al manuale degli archivisti olandesi edito nel 1898, non ancora
tradotto in italiano (1908), né in tedesco (1905), né in francese (1910).
18. La Scuola archivistica milanese degli inizi del Novecento.
1. Ippolito Malaguzzi Valeri (1857 – 1905), Luigi Fumi (1849 – 1934), Giovanni Vittani (1875 –
1938).
Ippolito Malaguzzi Valeri fu direttore dell’Archivio di Stato di Modena, affermando nel 1891 che
l’insegnamento per gli archivisti doveva comporsi in misura proporzionata di teoria e pratica; la
diplomatica, la paleografia e la critica storica erano accessorie all’archivistica; l’archivistica doveva
essere insegnata come scienza a sé stante.
Nel 1899 Malaguzzi divenne direttore dell’Archivio di Stato di Milano, dove capovolse la
situazione “petroniana”.
Egli concepiva l’archivio “in funzione dell’istituzione, della quale il deposito cartario propriamente
conserva e rappresenta la storia: sì che un archivio non era altro per lui che l’istituzione stessa nei
propri documenti” (o, come dirà più sinteticamente Concetti, “l’archivio è l’istituto”).
L’Archivio milanese era stato tanto rimaneggiato che il ripristino dell’ordine originario era
diventato non solo pericoloso, ma addirittura dannoso. Nonostante ciò il Malaguzzi si dedicò ala
ricostituzione di alcune serie minori
Vittani ricorda che Malaguzzi voleva l’ordinamento originale in quanto era il solo che poteva far
riapparire intera la storia nazionale e scopo della sua attività erano gli studi archivistici.
Il mezzo più sicuro con cui Malaguzzi perseguiva i suoi obiettivi era la “eccezionale cognizione
dell’intimo organismo dei susseguentisi istituti politici e civili”.
2. La traduzione del manuale degli archivisti olandesi (1908).
Vittani e Bonelli tradussero nel 1905 il manuale degli archivisti olandesi redigendone, però, non una
semplice traduzione, bensì un’edizione critica, sempre svolta di concerto e con la collaborazione
degli autori olandesi, anche sui punti di dissenso.
Questo manuale conteneva affermazioni già note alle scuole archivistiche italiane, ma codificava
quei principi che in Italia, anche se affermati da tempo e costituenti un metodo di ordinamento
prescritto per legge dal 1975, forse non erano stati sempre ben compresi da tutti.
Purtroppo i due autori – traduttori errarono nella loro traduzione della definizione di “archivio”;
infatti mentre il testo originale recita “Archivio è l’intero complesso dei documenti, scritti a mano,
disegnati o stampati,…”, Vittani e Bonelli tradussero “Archivio è l’intero complesso degli scritti,
disegni e stampe…”.
Il manuale olandese precisa che “nell’ordinare un archivio si deve soltanto in secondo ordine badare
agli interessi delle ricerche storiche”, “le esigenze archivistiche hanno la precedenza su quelle
storiche”. Il “programma generale di paleografia e dottrine archivistica” delle Scuole degli Archivi
di Stato e il “programma di idoneità per la promozione a primo archivista” accolgono questo punto
di vista e recano l’affermazione della “importanza secondaria degli interessi delle ricerche storiche
nell’ordinamento degli archivi”.
Giovanni Livi aggiunge che le suddivisioni delle carte di un archivio “debbono essere non mai
artificiali, ma naturali; debbono riflettere la costituzione, i progresso del’ente cui le carte
appartengono”.
3. Luigi Fumi e Giovanni Vittani.
Luigi Fumi volle “rompere, laddove e ovunque fosse possibile, le artificiose serie petroniane,
reint