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CESARE CANTU’ E GLI ARCHIVI
Gli studiosi che negli scorsi anni affrontarono il rapporto di Cesare
Cantu’ con gli archivi esaminarono la sua attività come storico e
paleografo nei vari archivi che frequentò e soprattutto in quello
milanese.
In Milano e il suo territorio del 1844 vi è il primo contatto pubblico di
Cantù con gli istituti archivistici quando decide di inserire nell’opera
la voce “Archivi e biblioteche”. In quel testo abbiamo un panegirico
del metodo peroniano.
È stato scritto che negli anni Cinquanta <<Cantù diventa studioso
d’archivio>>, ma egli non si interessa ancora alle questioni
archivistiche prospettate proprio in quel periodo da Francesco
Bonaini. La lettera aperta al Bonaini non tratta, infatti, di problemi
archivistici quali ordinamento, selezione, inventariazione ecc. Cantù
si rivolge al Bonaini per sostenere l’opportunità delle trascrizioni e
delle edizioni dei documenti d’archivio.
Nel 1864 quando presenta il primo volume dei Documenti
diplomatici tratti dagli archivi milanesi di Luisi Osio si avvicina ai
problemi dell’ordinamento dell’archivio milanese e alla sua storia e
ne rileva l’importanza. Cantù giudica le collezioni effettuate da Osio
smembrando i già malconci archivi milanesi e si preoccupa di
criticare la prosecuzione dell’applicazione del metodo peroniano
sulle carte dell’Archivio di Stato di Milano.
Non è dunque dubitabile che almeno fino a questo periodo Cantù
apprezza e sostiene il metodo per materia costruito dal Luca Peroni.
Nella dedica della seconda edizione de Il portafoglio di un operaio
leggiamo un’affermazione molto importante del nostro autore nella
quale, rivolgendosi al ministro Cesare Correnti, parla della sua
eventuale nomina come un riconoscimento al tanto lavoro svolto in
un arco di tempo già lungo, ma mostra al contempo di concepire
l’archivio come marginale alla realtà. Ne è una conferma
l’asserzione seguente quando ribadisce l’opinione che non ci sia
occupazione migliore per un rimbambito del <<rimuginar carte
altrui>> come si farebbe in archivio. Da ultimo si deve notare che
tra meno di un anno sarà nominato direttore dell’Archivio di Stato di
Milano.
Nel medesimo anno, Cantù scrive al suo amico Cesare Correnti una
lettera, nella quale è rapidamente tratteggiato quasi uno schema
del suo “pensiero archivistico. Il suo progetto archivistico è chiaro. I
lavori d’archivio devono mirare ad offrire a un erudito la possibilità
di trovare nei documenti <<qualche fatto nuovo>> e a tal fine
<<bisogna conoscerli>> e per conoscerli <<occorre un sistema nel
rovistarli, nel disporli, nello scartarli, nel pubblicarli>>. Le proposte
e le realizzazioni toscane di Francesco Bonaini, pur <<
esattissime>>, non sono utili a questo scopo.
Nell’anno della nomina a direttore dell’Archivio di Stato di Milano,
Cantù pubblica Gli archivi e la storia.
Dopo dieci pagine destinate all’esame delle questioni attinenti alle
edizioni delle fonti documentarie, Cantù dedica l’intero V paragrafo
alla situazione istituzionale degli archivi in quegli anni ed alle sue
proposte in merito. Descrive la persistente divisione delle
competenze sugli archivi di Stato nella concezione che si ha di essi.
Insiste sulla necessità di dare ai funzionari una preparazione idonea
in paleografia e diplomatica e lamenta che ancora non si sia
stabilito quale debba essere il metodo di ordinamento da seguire
per o meno in tutti gli AS.
Nel 1874 tutti gli AS verranno assegnati al Ministero dell’interno e
nel 1875 viene stabito l’obbligo di adottare il metodo storico in tutti
gli ordinamenti degli archivi statali.
Il metodo storico diviene il metodo di stato per gli archivi e Cantù
ne conosce le caratteristiche e le qualità.
Ne Gli archivi e la storia non compare il nome di Bonaini e non
emerge alcun interesse verso le questioni connesse all’ordinamento
degli archivi e tanto meno si percepiscono eventuali intenzioni
dell’autore di occuparsene. Successivamente il governo stabilisce la
distinzione nelle tre canoniche sezioni e impone l’ordinamento
storico per tutti gli archivi conservati nell’ Archivio di Stato di
Milano, ma Cantù non attua nulla di quanto decretato.
ARCHIVISTICA INFORMATICA
Il contesto di produzione documentaria:
il vincolo archivistico e il sistema di gestione
Come la dottrina archivistica ha sottolineato, i documenti non sono
né prodotti né conservati come entità isolate. Poiché i documenti
sono il risultato di un flusso di attività, la formazione dei documenti
d’archivio è sempre formazione delle reciproche relazioni. Il sistema
documentario è costituito da un complesso di documenti interrelati
tra le sue componenti essenziali.
Ogni documento è elemento di un insieme di altri documenti e,
perciò, inserito in uno specifico contesto giuridico-amministrativo
nella forma di fascicoli oppure di documenti organizzati
unitariamente sulla base della loro omogeneità di forma (ad
esempio verbali, delibere, circolari ecc.). In entrambi i casi i
documenti sono legati da un rapporto determinato e necessario (un
vero e proprio vincolo). Il legame tra i documenti deriva, infatti, dal
loro fine comune e da un’unica origine oltre che da esigenze
funzionali di documentazione. Questo legame, considerato
spontaneo, non può presupporre una visione “organicistica”
dell’archivio perché una volta definite le procedure documentarie si
applicano alla produzione archivistica.
Dunque, è evidente la necessità di mantenere la struttura
dell’archivio nel tempo.
Sono numerosi gli autori che hanno approfondito in passato la
natura e le caratteristiche del vincolo archivistico. Chi più di altri ha
dedicato impegno intellettuale nel dare basi solide e coerenti alla
teoria archivistica è stato Giorgio Cencetti che ha definito come
caratteri qualificanti di un archivio <<la necessità del vincolo fra le
carte>> e la sua determinatezza. Le considerazioni di Cencetti si
fondano sul principio che i documenti siano oggetti stabili. Da
questo assunto, che chi progetta e realizza interventi di
automazione fa fatica a riconoscere o tende a ridimensionare,
derivano due peculiarità essenziali: imparzialità e autenticità.
L’imparzialità è dovuta al fatto che l’archivio non si forma in modo
estemporaneo, ma in quanto strumento di lavoro e di supporto per
fini decisionali e di organizzazione; l’autenticità è connessa al
bisogno di documentazione del soggetto produttore.
L’importanza di disporre di un sistema documentario attendibile e la
necessità di conservarne l’autenticità nel tempo sono condizioni
generalmente riconosciute nei progetti di informatizzazione della
funzione documentaria. Alcuni approfondimenti che in questi anni di
ricerca hanno riguardato le modalità e gli strumenti di
organizzazione del sistema di produzione dei documenti sono:
1. La capacità di produrre/acquisire documenti;
2. Le modalità di formazione del documento.
L’autenticità di un documento, ovvero il riconoscimento che non
siano avvenute manipolazioni, contraffazioni, sostituzioni, riguarda
le garanzie di tenuta dei documenti nel tempo e nello spazio. Il
tema dell’autenticità è oggi al centro della nuova normativa relativa
alla ammissibilità dei documenti in forma elettronica. Tali interventi
si sono concentrati finora quasi esclusivamente sulla produzione,
affrontando soprattutto il ruolo della sottoscrizione autografa e
dell’uso della firma digitale, mentre si è del tutto trascurata la
questione prioritaria della creazione/acquisizione e tenuta di sistemi
documentari affidabili. Tra le conseguenze non positive di questa
impostazione è opportuno ricordare:
- L’eccessiva fiducia nei confronti delle soluzioni esclusivamente
tecnologiche e scarsamente orientate all’analisi e al controllo
dei processi di lavoro;
- La speculare sottovalutazione degli aspetti organizzativi che
includono soprattutto la definizione di regole e procedute per
la gestione dei documenti e la formazione degli archivi.
I - LA CONSULTABILITA’ DEI DOCUMENTI ARCHIVISTICI
I due concetti di accesso e di protezione dei dati personali sono
affermati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea che dichiara “diritto fondamentale dell’individuo” il
rispetto della vita privata, del domicilio e delle comunicazioni. La
carta introduce per ciascun individuo il diritto ad ottenere la
protezione dei dati personali.
D’altro canto, però, la Carta europea sancisce la libertà di
espressione e di informazione, e afferma che le arti e la ricerca
scientifica sono libere.
Infine, l’art. 42 prevede il diritto d’accesso ai documenti è
necessario, in uno stato democratico, per consentire la ricerca.
La novità introdotta, prima, in Europa prima e, poi, in Italia, è il
riconoscimento che ognuno è padrone dei dati personali che lo
riguardano e che quindi può decidere liberamente se comunicarli
oppure tenerli riservati.
La privacy, è il diritto di controllare l’uso che altri fanno dei
dati personali.
LA CONSULTAZIONE E LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Si deve distinguere il consultatore pubblico da quello privato, che
spesso è soggetto ad imposta di bollo.
Breve storia della consultabilità prima dell’unione d’Italia
Nell’antichità classica c’era una consultazione a fini giuridici degli
archivi pubblici, nei quali i privati potevano reperire i documenti utili
alla tutela dei loro diritti.
In epoca comunale la consultazione degli archivi correnti era
consentita da molti statuti delle città italiane, come quello di Siena.
In età moderna invece, in concomitanza con l’affermarsi dello Stato
assoluto, si fa strada il principio dell’archivio segreto, che diventa
strumento del principe.
Con la rivoluzione francese, si diffonde il principio della pubblicità
degli archivi, legato della difesa dei diritti.
Non si dimentichi, però, l’attenzione degli storici per il documento di
archivio che viene maturando, specie in Italia, nel corso del
Settecento, ad opera di Ludovico Muratori.
La normativa italiana dal 1875 al 1975
Nel regolamento del 1875 vengono dichiarati pubblici e
liberamente consultabili gli atti che hanno carattere pu