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COLTURA)
Questa fase prevede la raccolta del materiale, la sterilizzazione, il prelievo e la messa in
coltura.
La coltura parte da apici.
L’apice è costituito da un cono comprendente il meristema e da alcuni primordi fogliari
collocati nella parte sottostante.
L’apice può trovarsi all’estremità di un germoglio in attiva crescita o all’interno di una
gemma il materiale di partenza può quindi essere erbaceo, semilegnoso o legnoso.
la disidratazione deve essere sempre mantenuto all’interno di sacchetti di
Per evitare
plastica e se conservato per più giorni deve essere tenuto in frigo ad una temperatura di 3-4
°C. Durante la conservazione è bene seguire alcune regole per sfuggire ad eventuale
contaminazione:
- ridurre al minimo la permanenza in frigo prima del prelievo;
eliminare il materiale superfluo, come i lembi fogliari, avendo l’accortezza di
-
lasciare sempre una porzione di picciolo.
E’ preferibile inoltre prelevare il materiale di propagazione, specie se le piante sono
legnose, in primavera o in estate dove il rischio di contaminazione è minimo.
Per garantire una rapida crescita è bene considerare anche lo stato fisiologico della
pianta.
Un apice in attiva crescita ha in vitro uno sviluppo più rapido rispetto ad un apice
proveniente da una gemma.
I periodi migliori per il prelievo di gemme in riposo vegetativo sono l’autunno, prima
dell’entrata in dormienza, e il tardo inverno, prima della ripresa vegetativa.
rami anticipati come il pesco, il susino, l’albicocco, il
Per quelle specie che emettono
prelievo viene effettuato in fase di lignificazione, nel periodo compreso tra giugno e luglio,
ottenendo buoni risultati.
Le gemme prelevate devono essere a legno e miste non a fiore altrimenti in vitro si
otterrebbero strutture fiorali.
Le piante sono contaminate esternamente da diversi microrganismi soprattutto da funghi
e batteri.
Una volta inseriti nel terreno di coltura, molto ricco di saccarosio, troverebbero un
ambiente ideale per il loro sviluppo.
Proprio per questo motivo il materiale vegetale può essere coltivato in vitro solo dopo
aver subito il processo di sterilizzazione.
Prima della sterilizzazione vera e propria si effettua un lavaggio accurato del materiale
con acqua o detergente per ridurre la carica contaminante.
La sterilizzazione di superficie si può effettuare con diverse sostanze quali ipoclorito di
calcio, cloruro di mercurio alcool etilico ma soprattutto viene utilizzato ipoclorito di sodio.
Quest’ultimo può essere impiegato a diverse concentrazioni (0,5-2%) a seconda della
sensibilità del materiale.
Si trova in commercio come candeggina ad uso domestico, ad esempio “ACE”, prodotto
che contiene ipoclorito al 5% cloro attivo.
La diluizione e il tempo di trattamento variano a seconda del tipo di materiale di
partenza.
Approssimativamente vengono definite, per periodi di 10-30 minuti, le seguenti
concentrazioni:
- per materiale erbaceo ACE al 10-15% di cloro attivo;
- per materiale semilegnoso ACE al 20% di cloro attivo;
- per materiale legnoso ACE al 30% di cloro attivo.
E’ importante che l’agente sterilizzante entri in stretto contatto con tutta la superficie
dell’espianto, soprattutto se dotato di peli e cere.
E’ buona norma per questo motivo mantenere in agitazione la soluzione.
La durata della sterilizzazione non deve essere ne troppo lunga per non danneggiare i
tessuti, ne troppo corta; è comunque variabile a seconda dell’agente sterilizzante e del
materiale da trattare.
Le parti della pianta hanno una diversa sensibilità in relazione allo stadio di vegetazione.
Ad esempio l’apice vegetativo in attiva crescita di un germoglio è più sensibile rispetto
alle gemme ascellari sottostanti che si trovano già in via di lignificazione.
penetrazione dell’agente
Nel caso di gemme ascellari si possono verificare danni per
sterilizzante nella cicatrice lasciata dalla foglia subito sotto la gemma, il problema può essere
superato lasciando intatta parte del peduncolo fogliare.
Dopo il trattamento gli espianti devono essere sciacquati in acqua sterile per almeno tre
volte in modo da eliminare ogni traccia di agente sterilizzante che rischierebbe di danneggiare
i tessuti.
A volte è impossibile eliminare la contaminazione in quanto il materiale vegetale è
infetto internamente da batteri patogeni o non patogeni che non vengono distrutti dalla
sterilizzazione di superficie.
La loro presenza può comunque permettere la sopravvivenza dell’espianto, causando
però un notevole rallentamento nella crescita e nella proliferazione.
A questo scopo sono stati utilizzati alcuni antibiotici quali per esempio gentamicina e
rifamicina.
La maggior parte dei tessuti è però sensibile e viene danneggiata se sottoposta ad una
presenza prolungata di queste sostanze nel terreno di coltura.
Si cerca quindi di lasciare per il periodo più breve possibile gli espianti in terreno
addizionato con antibiotici per poi successivamente trasferirli.
Al momento dalla messa a coltura l’espianto viene privato delle parti danneggiate e
posto in coltura. è possibile mettere a coltura l’intera talea
Se si parte da materiale erbaceo o semilegnoso
con gemme, dopo aver attuato il rinnovo del taglio basale e apicale.
Se invece si parte da materiale legnoso, è necessario ripulire bene dalla perule più
esterne la gemma e mettere in coltura l’apice gemmario con parte del tessuto legnoso
sottostante per non danneggiarlo.
Questa tecnica è indispensabile per quelle specie che contengono sostanze inibitrici lo
sviluppo nelle perule come il pero e il melo.
E’ inoltre vantaggiosa perché consente di mettere a coltura espianti di piccola
dimensione che per questo hanno minor rischio di inquinamento.
L’apice gemmario che viene prelevato contiene una zona di cellule in attiva crescita,
detto domo meristematico ed alcuni primordi fogliari all’ascella dei quali si differenziano le
gemme ascellari.
Dalla crescita e allungamento di questi abbozzi si ottiene il germoglio iniziale.
E’ bene effettuare nei primi tempi trasferimenti abbastanza frequenti degli espianti per
evitare l’accumulo di sostanze tossiche, emesse in conseguenza al taglio.
Per impedire l’imbrunimento e la morte dell’espianto dovuti a queste sostanze tossiche è
possibile:
- rimuovere le sostanze polifenoliche, o lasciando immersi per qualche ora gli espianti,
in acqua sterile prima del trapianto, o trasferendoli in terreno fresco solo per qualche giorno
dopo la messa in coltura oppure assorbendo le sostanze tossiche con carbone attivo o
polivinilpirrolidone;
prevenire l’ossidazione dei fenoli, immergendo gli espianti in soluzione di
-
antiossidanti prima o dopo la disinfezione oppure incorporando al terreno gli antiossidanti
(acido citrico, acido ascorbico, glutatione ridotto);
- ridurre i fenomeni ossidativi diminuendo il ph del terreno, diminuendo la
concentrazione dei sali (MS1/2: Sali di Murashige e Skoog, 1962, ridotti a metà), diminuendo
l’illuminazione.
Questi differenti approcci sono stati proposti da George e Sherrington nel 1984.
FASE 2: MOLTIPLICAZIONE
La funzione della fase di moltiplicazione è quella di aumentare il numero di propaguli
da far poi radicare allo stadio di plantule.
Gli espianti che si sono sviluppati nella Fase 1 vengono suddivisi ed i propaguli allevati
in un nuovo mezzo di coltura.
La moltiplicazione dei germogli dipende sia dalla continua formazione di germogli
ascellari, che dalla formazione di germogli avventizi dalle masse calliformi di tessuto alla base
dei germogli.
I germogli, raggiunta la dimensione desiderata, vengono divisi durante il trapianto e
possono:
- essere avviati alla successiva fase di radicazione;
ad un’eventuale fase di allungamento, per ottenere maggiore
- essere sottoposti
uniformità dei germogli poi posti in radicazione;
- essere nuovamente moltiplicati per ottenere un numero elevato di germogli.
Quando i germogli vengono messi a proliferare, il passaggio su un nuovo substrato
viene detto “subcultura” ed è tramite questa che si possono ottenere molteplici germogli.
Il rapporto tra il numero di germogli che si ottengono alla fine della fase di
di “coefficiente” o
moltiplicazione e il numero di germogli messi a proliferare, prende il nome
“tasso di moltiplicazione”.
Esso deriva dal tipo di substrato, dalle condizioni ambientali di coltura, dalla specie o
cultivar moltiplicata.
Il metodo di moltiplicazione più usato per la maggior parte delle specie è la caulogenesi
avventizia, in quanto consente di raggiungere in breve tempo un elevato numero di germogli.
E’ comunque necessario specificare per ciascuna specie quale processo di formazione di
gemme avventizie risulta più adatto.
Deve per di più essere controllata l’eventualità di mutazioni sgradite che porterebbero
alla formazione di popolazione di individui con caratteristiche diverse da quelle desiderate.
La scelta della tecnica (caulogenesi avventizia o ausiliare, o anche embriogenesi
deve essere sempre valutata in funzione dell’effetto sulle
somatica) e del materiale vegetale
mutazioni genotipiche e sulla variabilità fenotipica.
Per le differenti specie deve inoltre essere noto quante subculture sono accettabili,
considerando attraverso varie sperimentazioni le reazioni delle piante ad un periodo troppo
prolungato di proliferazione in vitro.
Sembra che la suscettibilità e la conseguente reazione, può variare con il tempo di
coltura e/o con il numero di subculture (Rancillac et al., 1987).
A determinare un aumento di variabilità epigenetica, oltre al periodo prolungato di
coltura, possono intervenire una dose eccessiva di citochinina o un tipo di citochinina non
adatto.
Il materiale micropropagato deve essere continuamente controllato nelle sue
caratteristiche affinché risulti di qualità deve essere ottenuto secondo uno schema ben preciso
e ripetibile.
Un problema di natura fisiologica che può colpire i germogli in questa fase è la
vitrescenza.
Essa è una alterazione morfologica che causa la morte e impedisce l’acclimatamento
delle piantine.
Si manifesta con la formazione di foglie vitrescenti il cui aspetto è succulento,
opalescente, traslucido, di colore verde pallido, di consistenza fragile e vitrea.
Le cause di questo fenomeno ancora non sono chiare, sembra collegato all’eccessiva
disponibilità di acqua nel substrato (Ziv, 1990).
La possibilità di ottenere piante con alta variabilità genetica in vitro è maggiore se si
considerano due fattori: