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TM:
Nel 2008 le vendite mostravano segni negativi e il management si è interrogato sulle
motivazioni e ci si è accorti che il “momento della verità” (i trenta secondi nei quali il
consumatore passa davanti al prodotto sullo scaffale) contava molto più dei trenta secondi
di pubblicità, quindi, sarebbe convenuto investire non più in pubblicità ma in strategie di
trade marketing. L’azienda passa così dal CM al TM.
Quando P&G ha teorizzato il “momento della verità”, per la prima volta, c’è stato un
trade-‐off tra i due tipi di investimenti e questo cambiamento porta a dover revisionare anche
il potere negli organigrammi aziendali; in questo momento i principali nuovi amministratori
delegati delle imprese di consumo provengono dal TM (prima dal CM)
Oggi gli investimenti in TM hanno sorpassato quelli in CM, il 51,8% contro il 48,2%; ma quali
sono i fattori del sorpasso (dal 2016)?
-‐ Modernizzazione della distribuzione –> la rivoluzione commerciale ha portato da un
sistema distributivo tradizionale (fatto di piccoli negozi) ad uno moderno (fatto da grandi
punti di vendita, da aziende con una propria autonomia commerciale)
-‐ Autonomia di marketing delle imprese commerciali –> mentre i punti di vendita erano,
in passato, era una leva funzionale del marketing mix oggi sono una leva autonoma
governata dal distributore e non sempre in linea con gli interessi delle marche
industriale e sempre più la distribuzione sviluppa un’autonomia di marketing divenuta
a volte conflittuale con il marketing delle imprese industriali
-‐ Potere di mercato della distribuzione –> il potere di mercato della distribuzione si verifica
attraverso due fenomeni: la concentrazione delle vendite (45% vendite del largo
consumo in Italia è controllata da Coop, Conad ed Esselunga) e degli acquisti (alcune
insegne si sono messe insieme per far nascere delle “super centrali d’acquisto“, cioè,
aggregazioni tra imprese commerciali in concorrenza tra loro sul mercato finale ma che
decidono di collaborare per gestire in modo centralizzato il rapporto negoziale di
fornitura con le imprese industriali.
-‐ Prevalenza della store loyalty sulla brand loyalty (il 45% dei consumatori ha
abbandonato il proprio marchio di fiducia) il consumatore non passa più da un
supermercato ad un altro perché non trova la propria marca, semplicemente ne compra
un’altra (eccetto per il mercato dell’infanzia; questo avviene soprattutto quando si
acquista per conto di qualcun altro)
-‐ Crisi di distintività delle marche industriali (le imprese fanno sempre più fatica ad
individuare e comunicare i propri valori distintivi e a spiegare perché i consumatori
dovrebbero acquistare i propri prodotti e non quelli dei concorrenti. Quando una marca
non è distintiva è facilmente sostituibile)
-‐ Il punto di vendita come “media di comunicazione” –> sempre di più il punto di vendita
è un media di comunicazione; risulta quindi più efficace un investimento in questo
media di comunicazione piuttosto che nella comunicazione classica (pubblicità ecc.) –>
è stato studiato che in media ogni persona passa 46 minuti all’interno degli ipermercati
e 33 minuti all’interno dei supermercati e ciò porta ad un tempo di esposizione alle
pubblicità molto superiore rispetto a quello tradizionale (agli spot).
È importante sottolineare anche che mediamente un ipermercato viene visitato
giornalmente da 6 mila persone (con un campo di variazione che passa da 4.000 a
19.000) mentre un supermercato da circa 1.300 (con un campo di variazione che va da
600 a 3.500); tutto ciò sta ad indicare che giornalmente, solo in Italia, si ha un’audience
media di circa 14,5 milioni di persone nei punti di vendita, da qui risulta chiaro quanto
sia importante nei processi di marketing.
La quota di mercato delle marche leader si è ridotta mediamente di circa il 3% mentre quella delle
marche commerciali e minori/locali sono in crescita; soprattutto le locali hanno saputo comunicare
un valore distintivo che le multinazionali non sono riuscite a comunicare: l’artigianalità. La
globalizzazione ha spinto i consumatori ad un bisogno di rassicurazione (perché ad esempio la
globalizzazione non sempre rassicura sull’origine e la tracciabilità dei prodotti), le aziende che hanno
investito in rassicurazione sono quelle che sono andate meglio.
(Nestlé reputa competitore le marche minori perché dotate di grandissima “agility”)
La crisi economica ha sicuramente enfatizzato l’attenzione alla convenienza ma attenzione perché
nelle cinque crisi vissute dal dopoguerra (durate al massimo 16 mesi) i consumatori, mostrando
interesse per la convenienza, andavano ad acquistare i primi prezzi e andavano discount ma
nell’ultima crisi economica (la peggiore di tutte, durata 10 anni) i primi prezzi sono falliti tutti e i
prodotti andati &nbs