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Estratto del documento

GD(L)

locatore. Ft = flussi netti di cassa annui (anno t).

GD(L)

K = tasso di attualizzazione dei flussi attesi dalla gestione diretta.

E(L)

Il canone di break even sarà quindi stimato ricercando quella struttura di flussi di canoni

b) il cui valore attuale è pari al valore attuale dei flussi netti attesi derivanti dalla gestione

diretta del locatore:

VAAF(L) = Σ FtAF(L)/(1+KAF(L))t = VAGD(L)

VA = valore attuale dei canoni di affitto, netti di imposta, per il locatore.

AF(L)

Ft = canoni (anno t).

AF(L)

K = tasso di attualizzazione per il locatore dei canoni attesi.

AF(L)

Suona evidente che soltanto ove il locatore sia in grado di prezzare l’affitto in misura superiore

al canone di break even la locazione risulterà preferibile rispetto alla gestione di-retta, in

VAAF(L) > VAGD(L)

quanto:

Può domandarsi ora come possa verificarsi concretamente la condizione sopra ipotizzata che

denoti una convenienza dell’affitto d’azienda rispetto alla gestione diretta, tenuto conto che l’affitto

comporta in linea di principio una ripartizione tra locatore e affittuario della redditività ottenibile

dalla gestione. Tale risultato può in effetti riscontrarsi tipica-mente quando le capacità gestionali 64

dell’affittuario gli consentano di ottenere flussi superiori a quelli possibili per il locatore nel caso di

gestione diretta da parte di quest’ultimo e/o quando il tasso di attualizzazione applicabile dal

locatore (KE(L)) ai flussi di cassa derivanti dalla gestione diretta risulti superiore al tasso di

attualizzazione dei canoni attesi per lo stesso locatore (KAF(L)), ad esempio in relazione

all’elevata affidabilità sotto il profilo creditizio e gestionale riconosciuta all’affittuario. In presenza di

tali condizioni l’affitto d’azienda potrebbe configurarsi come l’opzione più conveniente per il

locatore, pur consentendo anche all’affittuario un’aspettativa di creazione di valore dalla gestione

dell’azienda. Anche nella prospettiva dell’affittuario la decisione è quindi guidata proprio dalla stima

della creazione di valore che potrebbe derivare dall’operazione. Egli individuerà un canone di

break even, da intendersi come canone “massimo” oltre il quale non sarebbe in grado di gestire

l’azienda in condizioni di equilibrio economico. A tal fine stimerà il valore attuale dei flussi netti,

anche di imposta, attesi dalla gestione dell’azienda in affitto, al netto ovviamente anche dei canoni

passivi. Il canone di break even è quello che eguaglia a zero il valore attuale netto:

VA(A) = Σ Ft(A)/(1+KE(A))

VA(A) = valore attuale dei flussi di cassa netti per l’affittuario ottenibili dalla gestione dell’azienda.

Ft(A) = flussi netti di cassa annui per l’affittuario (anno t).

KE(A)= tasso di attualizzazione per l’affittuario.

Alla luce delle considerazioni svolte si comprende che in Finanza il concetto di “congruo” canone in

realtà è essenzialmente privo di significato, come sarebbe priva di significato la nozione di congrua

redditività per un’impresa, o di congruo tasso di rendimento di un investimento, oppure di congruo

costo di un finanziamento, etc. Il criterio valutativo deve essere in grado di porre il soggetto nella

condizione di assumere una decisione dalla quale possa attendersi una creazione di valore,

pertanto dovrà condurre a stimare una so-glia oltre la quale quella decisione avrebbe l’effetto

opposto di distruggere valore. Quando la decisione attiene a scelte in alternativa tra loro, il criterio

deve permettere di stimare il vantaggio comparativo. Se poi si ritenesse che il concetto di

“congruità” rifletta proprio la nozione di “soglia”, allora più chiaramente si discuta di canone minimo

(per il locatore) o massimo (per l’affittuario) di break-even, al di sotto o al di sopra del quale,

rispettivamente, l’affitto di azienda, in termini comparativi, costituisce un’operazione

economicamente non conveniente.

Fin qui si è sviluppato un criterio valutativo utile nei casi in cui sussista, come di regola, una

effettiva alternativa tra gestione diretta e affitto dell’azienda. Ove vi siano invece ragioni che non

permettano una gestione diretta e si escluda, o non sia immediatamente praticabile, l’ipotesi della

cessione dell’azienda stessa, il criterio valutativo può soltanto porre a confronto eventuali diverse

alternative di affitto, differenziate rispetto alle caratteristiche, e quindi all’affidabilità sotto i profili

gestionali e finanziari, dei diversi potenziali affittuari. Ciò con i relativi effetti sui livelli del parametro

KAF(L), modulabile in riferimento alle possibili controparti. La scelta cadrà ovviamente

sull’alternativa che genera il più alto valore attuale, escludendosi anche in questo caso un profilo di

“congruità”.

Talvolta, anche nell’ambito di una consulenza tecnica giudiziaria, si è chiamati ad esprimersi ex-

post sulla congruità del canone dell’affitto d’azienda, quando per il locatore non sia risultata

praticabile la gestione diretta o non vi siano evidenze di una valutazione comparativa ex-ante da

parte del locatore stesso. Solo in tal caso, quindi non ai fini di una decisione finanziaria, può in

effetti ricercarsi propriamente una misura “congrua” (astratta, ma supportata da elementi di fatto)

per il canone di affitto dell’azienda, da confrontarsi con il canone contrattualmente definito. Ciò al

fine di poter escludere, ad esempio, una possibile consapevole sottovalutazione del canone da

parte di un locatore avviato verso una procedura concorsuale, ai danni dei suoi creditori e a

beneficio di soggetti terzi, eventualmente parti correlate. La prassi suggerisce in tali casi almeno

due possibili criteri di stima del canone “congruo”:

a) metodo della redditività attesa sul capitale economico;

b) metodo delle transazioni comparabili. 65

Lettura n° 4. La determinazione del congruo canone di locazione d’azienda nelle procedure

concorsuali.

In un’ottica fallimentare, l’affitto d’azienda rientra tra gli strumenti a disposizione degli organi della

procedura per la tutela del patrimonio di un’impresa insolvente.

A tal proposito, l’art. 79 l.f. prevede che “Il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di

affitto d’azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo

alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice

delegato, sentiti gli interessati. L’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’articolo 111, n. 1”.

Inoltre, l’articolo 104 bis l.f. stabilisce che “Anche prima della presentazione del programma di

liquidazione di cui all’articolo 104-ter su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere

favorevole del comitato dei creditori, autorizza l’affitto dell’azienda del fallito a terzi anche

limitatamente a specifici rami quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di

parti della stessa”.

È naturale che nella fattispecie, il curatore dovrà tra l’altro verificare:

• la liquidità che può essere ricavata dall’affitto dell’azienda e dalla sua successiva cessione,

rispetto alle somme che si possono ricavare dalla immediata cessione unitaria della medesima

oppure di suoi rami;

• la liquidità che potrebbe derivare dalla dismissione dei singoli beni che costituiscono il complesso

aziendale;

• la valutazione delle garanzie prestate dal conduttore;

• gli effetti fiscali che potrebbero derivare dalla scelta dell’affitto piuttosto che dalla vendita;

• il livello occupazionale, e quindi una valutazione di carattere sociale, che si potrebbe preservare

non procedendo alla immediata vendita unitaria o mediante smembramento del complesso di beni.

In tale ottica, risulta fondamentale il ruolo del curatore per la corretta applicazione delle prescrizioni

previste dalla legge ed in particolare per la quantificazione del canone di affitto e la durata del

relativo contratto. È bene ribadire, infatti, che la scelta di idonei criteri per la quantificazione del

canone di affitto è rimessa al prudente apprezzamento del consulente che, come è noto, viene

nominato dal curatore fallimentare.

La determinazione del canone congruo nelle procedure concorsuali.

Il tema dell’affitto d’azienda nell’ambito delle procedure concorsuali è stato, negli ultimi anni,

oggetto di numerose trattazioni e approfondimenti dottrinali.

In astratto, il problema andrebbe affrontato valutando, in via preliminare, la convenienza tra affitto

e gestione diretta. In buona sostanza, si tratterebbe di quantificare un canone minimo di break

even che eguagli i benefici prodotti dalla gestione diretta rispetto alla locazione8.

Nella realtà, l’affitto è una scelta obbligata a causa delle notevoli difficoltà che potrebbero

incontrare il proprietario oppure il curatore nella conduzione strategico-gestionale dell’azienda. Con

particolare riferimento alla gestione diretta in caso di fallimento, va osservato che il curatore,

sovente, non dispone delle competenze necessarie a tal fine e, quindi, l’affitto può rappresentare

l’unica modalità di conservazione dei valori aziendali. In tale ambito, può accadere che:

- il contratto di affitto sia stato stipulato prima del fallimento talché il curatore ne debba

valutare la convenienza anche con riferimento al canone pattuito;

- il contratto di affitto non sia stato formalizzato prima del fallimento, ma il curatore ritenga

tale opzione obbligatoria per la conservazione del valore del complesso aziendale al fine di

una successiva alienazione. In tale situazione, il curatore deve procedere secondo le

modalità stabilite dall’art.107 l.f. per le vendite ossia in base a procedure competitive.

Pertanto, è necessario che richieda una stima a un esperto e pubblicizzi la proposta

d’affitto al fine di ottenere la massima informazione e partecipazione degli interessati.

In entrambe le situazioni prospettate, è necessario definire un canone economicamente adeguato

per la procedura.

Con riferimento al canone di affitto d’azienda, la dottrina ha proposto varie metodologie che

abbiamo già visto in precedenza. In sintesi, il tasso di rendimento impiegabile per quantificare il

canone di locazione può oscillare in un intervallo nel quale l’estremo inferiore è il tasso privo di 66

rischio, mentre l’estremo superiore è il costo del capitale che, per semplicità, può essere

determinato sulla base di

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A.A. 2016-2017
93 pagine
17 download
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/07 Economia aziendale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lucaf_94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecnica professionale progredito e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Franceschi Luca Francesco.