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TARSIA
Galileo nel confronto tra Tasso e Ariosto critica il Tasso di non saper utilizzare il colore, utilizza il paragone ut Pictura
poesis, Tasso e la sua scrittura vengono accostati all'arte inutile della tarsia. Si considera quindi la tarsia un artificio
tecnologico separato dalla pittura. Francisco de Hollanda la considera una destrezza inutile, Paolo Pino una semplice e
folle fratesche. Inoltre ne parla anche il Vasari afferma che le tarsie sono realizzate da chi ha molta più pazienza che
disegno. La tarsia dura poco(tarli-problemi legno) e il lavoro va buttato invano nonostante sia lodevole. Quindi anche il
dibattito sulle arti facili o difficili risulta sfavorevole alla tarsia che è solo pratica e pazienza, quindi senza disegno che
invece è il padre delle arti. Vasari inoltre svolgeva tale discriminazione anche nelle sue biografie, tarsia e intarsio erano
solo mestieri di giovani artisti destinati a lavori e responsabilità più grandi. A peggiorare il tutto ricordiamo l'abbandono
di Benedetto da Maiano della tarsia, casse intarsiate per la corte di Mattia Corvino si presentarono dopo il viaggio
rovinate dall’umidità e scollate. Inoltre Vasari afferma che l'arte dell'intarsiare è solo esercizio prospettico, le opere di
tarsia vennero chiamate e quindi perspective e gli intarsiatori maestri di prospettiva. La crisi della tarsia nel 500 si deve
proprio a tale appellativo. La prospettiva era ancora solo stata praticata, nel 1540 l'Alberti stampa il suo de pictura
quindi progredisce una visione più astratta di prospettiva, sempre più fare di matematici. Quando la matematica sarà
presa di mira per la prima volta da Zuccari, la tarsia comincerà a decadere. Importante è anche la questione del disegno
e dell'architettura. Il disegno era il maestro di tutte le arti, l'architettura per Vasari e Alberti era intesa in modo
differente:
• per il primo si tiravano delle semplici linee
• per il secondo e la ripartizione primaria dell'edificio mediante il disegno.
Si sviluppa la figura dell'intagliatore-architetto specie a Firenze nell'ultimo terzo del quattrocento, ma anche altrove
all’intagliatore si alternavano macchine, ingegni e perizie per varie responsabilità costruttive.
La prospettiva del quattrocento si lega alla tarsia lungo la linea brunelleschiana della prospettiva grazie agli scritti del
Vasari. Il primo tra tutti che ha cercato di slegare la tarsia dagli architetti è l'Alberti quando nell'edizione volgare del de
pictura lega tarsia con pittura utilizzando lo stesso lessico della pittura.
Un remoto atteggiamento mentale ha portato spesso a considerare la tarsia uno sviluppo di un'opera già
precedentemente realizzata negando però l'autonomia all’intarsiatore, un esempio è la moda tra gli storici dell'arte di
riconoscere la mano del pittore che ha eseguito il disegno come per esempio Longhi. Non ci si domanda però che
rapporto ci sia tra il cartone e la tarsia, così come succede nelle vetrate legata al cartone dal disegno e colore mentre
invece la tarsia è mutevole in base al luogo, tempo e tecnica. Il legno possiede una propria texture con varie
combinazioni come l'andamento del taglio, la pianta e gli anni. La capacità di figurazione, fa colpo all'intelligenza
operativa del materiale e dalla tecnica. La fase della selezione, taglio e messa in opera del materiale costituisce dunque
una figurazione. Rispetto al cartone, l'opera finale può essere totalmente differente come succede per esempio ai cartoni
dello Zenale per la tarsia della Certosa di Pavia e per il coro giovanile di fra Damiano in San Bartolomeo di Bergamo.
Inoltre non ci sono pervenuti cartoni di tarsia, solo qualche frammento superstite dei modelli di Lotto per il coro di
Bergamo. I cartoni venivano utilizzati per ricavare le sagome, a firmare l'opera non era per esempio il Lotto ma
Capoferri come era normale. Per capire il rapporto delle collaborazioni citiamo l'intervento di Giuliano da Majano per la
sacrestia di Santa Maria del fiore:
• L'intarsiatore è il committente
• Il cartone è affidato al pittore
• Nel caso di una composizione prospettica solo la realizzazione delle figure spetta al pittore
Le parti più difficili sono realizzate dagli intarsiatori, quindi sarebbe ingiusto collocare la paternità dell'opera al pittore
Baldovinetti.
Il compito dell'intarsiatore è uguale a quello dell'orefice che lega una pietra preziosa, la tarsia non è un elemento di un
mobile ma un quadro, spesso è scambiata per pittura, secondo il Vasari riprendendo il topos Zeusi e l’uva dipinta che
sembra vera.
Nel coro di Santa Maria maggiore di Bergamo realizzato dal Capoferri si era imposto il legame con Lorenzo Lotto. Il
primo ad essere assunto è Capoferri, poi subentra Lotto dopo la morte di Cabrini fu allora che Lotto affermò tutta la sua
autorità figurativa, abbiamo infatti delle informazioni dalle lettere mandate alla confraternita da Venezia. È la Fabriceria
della misericordia a far da raccordo tra i due artisti, Lotto suggerisce quali sono gli eventuali aggiustamenti
sull'impianto figurativo dei suoi disegni. Si preoccupa di avere indietro i suoi cartoni, quindi l'intarsiatore dovette
ricorrere a strumenti intermedi per realizzare la tarsia quasi con lo spirito da copista tenendo davanti i disegni. I disegni
spesso venivano riutilizzate come in questo caso dal Lotto per il sacrificio del Melchidesech.
Egli era molto legato ai temi biblici affrontati nei cartoni. Importante inoltre capire come si diffuse la figurazione
legnaia il caso più appariscente è quello del monogrammista PP con le figure stereometrica, oppure le xilografie
fiorentine.
In Lombardia si sviluppano carte stampate da applicare sul soffitto o mobili come succede al castello Sforzesco. Si
cominciarono a fare i dipinti come tarsie. Particolarmente importanti sono soprattutto i casi come quelli precedenti al
concilio di Trento. Quando muta la collocazione all'interno della Chiesa, attraverso la riorganizzazione degli spazi, gli
altari vengono eliminati insieme ad alcuni tramezzi, il coro è la zona proibita ai laici, luogo di canti e di silenzio quindi
cambieranno anche gli intarsi. Importante ovviamente sono anche gli studioli. Tra gli storici della tarsia si ricorda
l'Arculei direttore del museo artistico industriale di Roma.
Lo svolgimento della tarsia prospettica copre l'arco di un secolo circa. Solo in parte gli sviluppi possono essere
ricapitolati ai consueti quadri ambientali della storia figurativa italiana. L'intarsiatore come figura professionale non ha
uno status costante. Cristoforo da Lendinara e Giuliano da Maiano hanno competenze variegate e solo in parte
coincidenti. La struttura della bottega fiorentina di Giuliano richiama a quella dei pittori, dove il rapporto di discepolo si
riflette in affinità stilistica. Ma in altri casi non c'è un comune proposito figurativo. Le complesse opere di tarsia non
possono essere realizzate sempre nelle botteghe di origine.
A causa per esempio delle dimensioni del coro, si rendeva necessario lo spostamento. Da ciò deriva l'acquisizione di
diverse tecniche.
La specializzazione tecnica da vita ad una particolare geografia culturale come per esempio i monaci intarsiatori, ma
anche ai laici può capitare di trovarsi ad operare in città assai distanti. Quindi seguendo lo sviluppo della tarsia potrà
capitare di incorrere in sovrapposizione o ritorni di tempo. Fin dal secondo quarto del 300 gli intarsiatori senesi
avevano realizzato l'equivalente lignario di superfici notevolmente complesse. Il coro del duomo di Orvieto fu affidato
a Vanni di Tura dell'Ammanato con una piccola squadra di intarsiatori senesi che utilizzarono cartoni di qualità spiccata.
Particolarmente importante è anche Domenico di Nicolò dei cori che tra 1415 e 28 realizza il coro per la cappella
interna del palazzo pubblico di Siena. Inoltre il comune gli aveva assegnato il compito di insegnare la sua arte dal 1421,
oggi l'opera più significativa si trova al victoria and Albert museum, si tratta della giustizia. Ma le origini vanno
individuate a Firenze grazie a Brunelleschi, nel 1451 campione di intaglio è Arduino da Basio che propone a Piero de
Medici gli armadi per San Lorenzo, più vicino a Brunelleschi è l'intarsiatore del bancone della sagrestia di santa croce,
che può risalire ai tempi di Masaccio. Ma le prime tarsie sono quelle degli armadi laterali della sagrestia delle messe in
Santa Maria del fiore, affidate nel 1436 ad Antonio Manetti e Andrea Lazzaro. Questi sono anni in cui l'Alberti scrive il
de pictura e anni della nascita della prospettiva. La caratteristica più importante dei primi anni è proprio il legno che
rappresenta il legno, la tarsia che finge sportelli intarsiati. Perdute sono le tarsie dello studiolo di Piero de Medici
eseguite negli anni 50, di levatura così alta ne esistevano poche. Cosa nuova era lo sfondamento prospettico di una
parete, si tratta di vera figurazione di architettura, inoltre elemento tipico è anche la tessitura luminosa della superficie
realizzata con innesti minuti. Importanti però sono anche quello de Lendinara in area padana avvenuta negli stessi anni
in cui Giuliano lavora alla sacristia delle messe.
Nel 1450 Cristoforo e Lorenzo de Lendinara lavorano con Arduino di Basio al nuovo studiolo ducale di Belfiore. Inoltre
nelle corti è presente anche Piero della Francesca, che incontra i Lendinara. Qui pittura e intaglio cominciano a
stringersi. Ricordiamo gli intarsi di Piero ad Arezzo. In 2 opere padane si riflette l'influenza di Piero: Torchiara di
Benedetto Bembo nel 1462 al castello sforzesco e Ospedale della morte degli Erri Modena galleria estense.
La prima opera dei fratelli è da riscontrarsi nel coro di San Prospero a Reggio nel 1458, vi sono una serie di figurazioni
di scatole spaziali, ma realizzano anche soggetti di animali, bestiario di corte. Nel 60 si sviluppano numerosi lavori per
cori tra Modena e Padova, il coro di Padova fu distrutto in un incendio, da quello di Modena firmato da entrambi si
capisce la loro arte in relazione con quella di Piero. Il luogo geometrico è neutro, ne affollato ne equivoco. Non siamo
lontani dalle teorie di Piero nel de prospectiva pingendi. Rappresentano un San Girolamo con la barba proveniente da
tavolette di noce a taglio longitudinale, quindi totalmente differente dallo stile fiorentino. Importante è anche la
sagrestia dei consorziali de duomo di Parma, la regolarità geometrica delle cornici scandisce la veste dei luoghi urbani,
tutte che scene sono legate. Sarebbe inoltre improbabile non considerate Bernardino da Lendinara partecipe nelle opere
del padre, lavora insieme nei momenti però meno attivi, realizza le spalliere della sagrestia del duomo di Modena nel
1474, sarà autonomo solo dopo la morte