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ALDO CARPI
“Autoritratto”, Aldo Carpi, 1923, olio su tavola
"L’arte non può che essere l’intima e sincera espressione dell’animo tuo, creata con tutta la
forza e l’audacia possibili…" Aldo Carpi
Pensando all'espressione “arte come comunicazione”, mi è tornata alla memoria una conferenza
seguita in quinta superiore su Aldo Carpi, un pittore e scultore italiano deportato nei campi di
concentramento.
L'arte, in qualsiasi sua forma, è generata da un emozione forte, da un sentimento autentico; questo
la rende in grado di comunicare. Più l'emozione dell'autore è forte, più la comunicazione è
immediata: il fruitore dell'opera, guardandola, assaporandola, leggendola, avverte una connessione
con l'artista, magari vissuto anche secoli prima, e sente l'energia che scaturisce dall'opera, ne
percepisce la forza generatrice. Il segreto dell'opera d'arte deriva dal racchiudere il segreto dello
slancio in avanti del percorso espressivo che l'ha generata. Esercita una forza di attrazione verso gli
individui che sono rimasti paralizzati davanti allo stesso ostacolo, situazione, esperienza. E questo
avviene quando la creazione dell'opera d'arte è servita all'artista stesso per trasformarsi: quando essa
rappresenta l'incarnazione di un percorso espressivo particolarmente riuscito.
Aldo Carpi, con l'arte ha avuto salva la vita, e non solo in senso pratico, disegnando ritratti
commissionati dai nazisti e ottenendo così privilegi all'interno del campo, ma anche in un senso
metaforico, più profondo. L'arte gli ha permesso di trascendere il contesto originario e avere una
visione globale con cui affrontare emotivamente la sua esperienza, una finestra sulle diverse realtà
del campo di sterminio, dalle SS, ritratti di famiglia e vita quotidiana, ai volti della sofferenza, della
fame e della morte.
BIOGRAFIA Aldo Carpi nasce a Milano nel 1886, figlio di un medico e quinto di sette
fratelli. Nel 1906 entra nell'accademia delle belle arti a Brera, e così ha
inizio la sua carriera di pittore e scultore. Nel 1912 esordisce alle mostre
di Brera e nel 1914 alla Biennale di Venezia, diventando un personaggio
di spicco del panorama artistico italiano. Viene poi arruolato nella prima
guerra mondiale e si sposa.
È un uomo molto religioso, attivo nella resistenza e interessato al mondo
politico. Nel 1930 vince il concorso per la cattedra di pittura presso
l'accademia di Brera, dove insegnerà per 30 anni della sua vita.
Tra gli eventi importanti, nel 1934 si dedica alle vetrate del duomo di
Milano e nel 1937 vince l'oro nell'esposizione universale a Parigi.
LA PRIGIONIA
Il 23 gennaio 1944, Aldo Carpi, all'età di 57 anni, viene arrestato e portato prima al carcere di San
Vittore, poi a Mauthausen, e successivamente a Gusen (campo satellite di Mauthausen). L'artista è
nipote di un ebreo convertito al cristianesimo, ma non è questo l'elemento cruciale che determina il
suo arresto. Il reale motivo è la condanna di un collega, che l'aveva accusato di aver aiutato
un'allieva ebrea agli esami di Brera. In realtà, Carpi affermerà poi di non aver messo in atto nessun
tipo di favoritismo, e di averla trattata come un'allieva qualunque, alla pari di tutte le altre, cosa
evidentemente vista con sospetto dai suoi colleghi.
L'ARTE IN CAMPO
Aldo Carpi fu autore di più di 100 disegni, 74 dipinti su olio a tela e dell'unico vero diario in presa
diretta all'interno di un campo di sterminio. Disegnava su scontrini e piccoli pezzi di carta sottratti
dall'infermeria, sottoponendosi a notevoli rischi, poiché era tassativamente vietato testimoniare la
vita del campo. Le pagine del diario e i disegni sono strappati dall'oblio, grazie alla sua volontà e
forza di testimoniare, nascondendoli all'interno del suo pigiama a righe.
Ciò che più stupisce dei suoi disegni, è l'orrore, la cruda realtà, mai dipinta con odio, che si alterna a
immagini di vita quotidiana degli aguzzini, quasi un mondo parallelo. Carpi non condannerà mai i
suoi aguzzini, notando anche la compassione, il ribrezzo di quelli che lui chiama “I grandi”, ovvero
medici e soldati che provano moti di pietà e disgusto per le mansioni che sono obbligati a svolgere e
che sono disposti a rischiare aiutando i detenuti. La sua eccezionale dote viene scoperta a Gusen da
due medici, il polacco Felix Caminski e Toni Goscinski, che lo protessero e gli permisero di
rimanere in uno sgabuzzino dell'ospedale, dove Carpi dipingeva sistematicamente ritratti e dipinti
commissionati dai nazisti.
I ritratti, sono difficilmente reperibili, poiché appartenenti a collezioni private; rimangono i disegni,
schizzi a matita di terrore e emozioni che Aldo Carpi non poteva ne voleva esprimere in altro modo.
I ricordi della terribile prigionia, lo porteranno a dipingere anche anni dopo, a memoria, gli orrori
visti e vissuti.
Il suo talento per la pittura e il disegno si fondono con la sua eccezionale sensibilità, la capacità di
cogliere i labili singhiozzi di vita di chi una vita, un'identità e una speranza, l'aveva da tempo persa.
Anche nelle numerose scene di morte, emerge la spinta alla vita, la volontà di testimoniare la
sofferenza di chi era stato, Carpi lo riconoscerà sempre, meno fortunato di lui. Ciò avviene
incredibilmente senza odio verso i propri aguzzini, e questa assenza di odio ha una forza
comunicativa senza tempo, una forza che ci vuole insegnare a provare pietà anche per i vincitori,
coloro che erano obbligati a sottostare a un sistema, costretti ad essere esposti a pratiche disumane e
soprattutto a doverle compiere ogni giorno.
“Veduta del commando di Gusen”, 1945
"Solo così, nella camera vuota" 1945 "Cadaveri davanti al forno crematorio, ormai
pieno", 1945
“Ritratto del dottor Toni Goscinski”, “Ritratto di un deportato”, eseguito a
1945 memoria a Milano, senza data
"Deportati dopo la liberazione prendono il sole"
1945
"Kapo, ucciso dai deportati dopo l'arrivo
degli americani" 1945
"Il francese Antoine Cassè, che tenta
di lasciare il lager alla liberazione e si "Soldati americani con ragazze tedesche, dopo la
ferma poco fuori dal campo, senza liberazione" 1945
forze" 1945