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A proposito della prostituzione, c’era comunque chi la considerava una forma di devianza da disciplinare e inquadrare e chi
invece la riteneva un indegno mestiere privato, con cui lo Stato non doveva avere a che fare.
Criminalità rurale I furti di campagna e l’abigeato (furto di bestiame), erano considerate forme di delinquenza rurale.
Per quanto riguarda i furti di campagna, erano reati molto diffusi specialmente in quelle zone in cui a causa del latifondo e
della cattiva gestione della terra, le popolazioni agricole soffrivano una cronica disoccupazione. In questo clima, la raccolta
abusiva di legname, il furto di erbe e ortaggi, il pascolo abusivo e tanto altro erano pratiche necessarie alla sopravvivenza di
molti contadini. Peraltro, dopo l’introduzione della tassa sul macinato, questi fenomeni avevano subito un aumento perché era
cresciuta la povertà.
Per tutti questi motivi il Manuale di Astengo iniziò a parlare di polizia rurale, cioè una versione pubblica e strutturata delle
guardie campestri, che potesse proteggere gli interessi dei proprietari terrieri. L’impressione che si ha è che c’era una
grandissima indifferenza da parte delle classi dirigenti del Paese.
Il furto di bestiame aveva qualche caratteristica diversa rispetto agli altri furti di campagna: era praticato da diversi attori e con
finalità diverse. Era particolarmente praticato dove era diffusa una qualche forma di criminalità organizzata, ad esempio in
Sicilia e in Sardegna. In particolare in Sicilia, come scrive Lupo, mentre i campieri (cioè i guardiani delle proprietà)
consentivano il passaggio degli armamenti, i mafiosi falsificavano la documentazione necessaria per superare i controlli.
Dunque il furto di bestiame si configurò come una vera e propria attività criminale strutturata, fortemente connessa alla malavita
organizzata.
Criminalità organizzata agli occhi della classe dirigente dell’Italia unita, il problema più grande alla stabilità era rappresentato
dalle forme di delinquenza organizzate, tipo il malandrinaggio, la camorra, la picciotteria e il banditismo. La stessa classe
dirigente liberale era convinta che i meridionali fossero delinquenti perché vivevano nell’arretratezza e perché avevano origini
etniche che li portava a questa delinquenza; il tutto portava alla miseria e all’isolamento. Le teorie razziste nei confronti del sud,
considerato quasi come una razza semitica o mediterranea uscita dall’Africa, suggestionò molto i funzionari di PS…
ovviamente in maniera negativa. La convinzione che la criminalità fosse il più grande fattore di arretratezza del Sud e la
principale minaccia per il nuovo Stato italiano, portò le classi dirigenti a sottovalutare altri fattori economici e sociali (miseria –
arretratezza – latifondo) che invece costituirono il terreno fertile per far crescere la criminalità organizzata.
Il Manuale di Astengo propone molto spesso questo oggetto. I funzionari di PS cercarono tante volte di descrivere le
caratteristiche fondamentali di queste organizzazioni.
Per quanto riguarda la Sardegna, il banditismo sardo si era sviluppato in modo differente rispetto alla criminalità organizzata
della Sicilia e di Napoli. Le classi benestanti della Sardegna, pur collaborando in alcuni casi con i banditi, ebbero un ruolo meno
attivo di quelle siciliane e napoletane e rimasero abbastanza estranee alle lotte che attraversarono l’isola.
Con l’abolizione del feudalesimo si trasformano nel 1812 le terre in allodi, cioè in proprietà senza vincoli feudali, conservando
l’ordine successorio nelle rispettive famiglie. I principali provvedimenti abolivano i diritti di primogenitura e le restrizioni alla
vendita delle proprietà. Gli elementi più agiati della borghesia (in realtà, come ha sottolineato Sciascia, la Sicilia non aveva mai
avuto una rivoluzione né aveva conosciuto l’assolutismo illuminato, ragion per cui la terra dai baroni passo ai borghesi, anche se
non si può parlare di una borghesia vera e propria, attraverso operazioni di tipo mafioso) avevano accumulato patrimoni ingenti,
avendo ampia disponibilità finanziaria: investivano nell’acquisto di antiche terre feudali.
I nuovi proprietari delle terre non dimostravano alcun interesse nei confronti di questi terreni, né si adoperavano per favorire la
nascita di industrie o commerci; continuava inoltre la prassi di vessare i contadini con tassazioni pesanti e lavori gravosi,
nonostante i loro salari fossero minimi. I contadini subivano tutto anche perché c’era stata l’abolizione ad esempio dei diritti di
pascolo, accesso ai boschi, alle fonti idriche non avevano mezzi di sussistenza. Come osserva Giovanna Fiume l’abolizione di
questi diritti contribuiva al banditismo. Accadeva così che quelle elites di proprietari agrari potessero usare i banditi attivi nelle
campagne sia per sorvegliare i propri beni, sia per sottrarne ad altri, ma soprattutto per difendere i prodotti agricoli nel tragitto
verso i mercati cittadini. Si parla infatti di una sorta di banditismo signorile che riproponeva un rinnovato esercizio del potere
feudale sotto nuove forme. Questo banditismo siciliano si distaccava sotto diversi aspetti dal banditismo continentale, dove,
come sostiene Hobsbwam, i banditi erano più campioni della povera gente, solidali con le comunità contadine a cui
appartenevano.
In questo contesto vengono inserite forme di polizia, pubbliche o private, istituite ora dal governo borbonico, ora dai singoli
proprietari per opporsi al banditismo e al disordine sociale. Sostanzialmente la polizia regia verrà affiancata da polizie personali
adibite alla protezione della proprietà, come i guardiani rurali e i sorvegliatori, non sempre all’altezza dei compiti loro
affidati.
I campieri venivano scelti dai signori dopo una lunga selezione, tra i più temuti malavitosi della regione, e offrivano loro del
denaro in cambio di immunità e protezione. Le funzioni del campiere sono state efficacemente descritte da Colajanni: si trova
al terzo gradino della gerarchia dei cosiddetti impiegati del latifondo. Al primo posto di trovava il soprastante che rivestiva la
funzione di amministratore o sorvegliante di tutta l’azienda, rappresentando il padrone quando egli era assente; successivamente
c’era il campiere capo, responsabile dei magazzini e della direzione del feudo; alle dipendenze di quest’ultimo c’erano i
campieri incaricati di sorvegliare la proprietà a cavallo, armati di fucile; custodivano, con l’aiuto dei pastori, il bestiame e nei
casi di abigeato svolgevano indagini per conto del proprietario, cercando di recuperare il bestiame mancante. Poiché aveva tutte
queste funzioni, il campiere diventava l’anello di congiunzione tra i proprietari e i contadini e talvolta anche tra proprietari e
banditi.
Nella celebre Inchiesta in Sicilia del 1876, Sonnino e Franchetti si interrogano sul ruolo dei campieri, notando come spesso
venissero addirittura imposti ai proprietari da parte della criminalità locale: un proprietario, per non inimicarsi una famiglia
mafiosa, sceglieva di arruolare al proprio servizio una persona consigliata.
Cattani individua due tipi di campieri, in base al territorio di appartenenza:
1) Campieri della parte occidentale e centrale della Sicilia quelli dai contorni violenti e minacciosi; uomini alti e massicci, con
una folta barba, il viso abbronzato, vestiti di velluto. Non hanno compiti attinenti all’agricoltura: accompagnano gli animali
della fattoria quando transitano da un feudo all’altro, li custodiscono la notte.
2) Campieri della orientale della Sicilia (quella con meno violenze e conflitti – Sonnino e Franchetti parlavano di questa parte
della Sicilia come di paesi benedetti dove si può girare per le campagne senza timore di essere uccisi o ricattati) simili ai
contadini, con mansioni riconducibili al lavoro agricolo, alla custodia del bestiame, alla cura dei pascoli. Erano di meno
prestanza fisica rispetto agli altri, di poche parole, molto pazienti. Indossavano calzoni corti e giubboni.
Sonnino e Franchetti osservavano spesso che i rapporti personali nella cultura siciliana avevano sostituito ormai ogni
concetto di legge e di interesse comune. Le persone si scambiavano volontariamente dei favori e si chiamavano tra di loro
compari, offrendosi protezione a vicenda. Non è casuale che al campiere si attribuisse la denominazione di campiere di rispetto.
Non occorreva nemmeno che egli risiedesse nel fondo, era sufficiente che si sapesse che quella proprietà era sotto la sua tutela.
In questo ambito è utile parlare della pratica del manutengolismo cioè tutta una fitta rete di relazioni tra latitanti e popolazione,
interpretabili come complicità aperta, come rapporti clientelari, sintomo di prudenza o di terrore. Dunque da un lato i malfattori
portavano rispetto a un signore ricco e potente, garantendolo da eventuali problemi; dall’altro esigevano complicità e silenzio
(omertà) sulle loro pratiche delittuose. Alongi, un funzionario di PS, faceva presente che gli studi di Sonnino e Franchetti
avevano suscitato indignazione nella stampa siciliana; anche Block intravedeva da parte dei palermitani una forte omertà:
consideravano pura invenzione l’inchiesta di Sonnino e Franchetti. Lo steso Alongi aveva cercato di sottolineare che il
manutengolismo siciliano non era assolutamente spiegabile con i criteri morali ammessi nell’Europa centrale: chiunque cercasse
di farlo, avrebbe soltanto una grande confusione; si tratta di un posto – la Sicilia – in cui una classe di malfattori è venuta in
possesso di una forza considerevole e le loro azioni non sono considerate come delitti in senso giuridico universale. È comunque
da queste intrinsecate relazioni che si possono intravedere i primordi della società mafiosa.
L’azione dei poteri pubblici dello Stato si esprimeva nelle cosiddette compagnie d’arme e milizie di varia natura; c’era
comunque una permanente incertezza nei programmi di politica criminale.
Già nel 1806 per porre venire allo stato di insicurezza delle campagne, Ferdinando III aveva voluto ripristinare la pena di morte
anche nel caso in cui si fosse trattato di un furto e a prescindere dal valore della refurtiva. A tal proposito è emblematico il ruolo
dei cosiddetti ladri corridori, che venivano inseriti nelle liste di fuoribando. Entro otto giorni dalla pubblicazione della lista, i
familiari dovevano giustificarne l’assenza: se la giustificazione non era ritenuta valida, si apriva una caccia all’uomo sia da parte
del pubblico, sia da parte del privato, con la promessa di ricche ricompense. I ladri corridori ritrovati venivano sottoposti al
giudizio finale di una Commissione militare.
Nel 1813 vengono istituite 23 compagnie d’arme, già previste dalla Costituzione del ’12 ma anche nel 1543 con funzioni di
polizia, per affro