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P.Q.M.
respinge l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trento in funzione di Giudice del Lavoro
n. 116/12 del 21/6/2012;
condanna l’appellante a rifondere, in favore dell’appellato, le spese di grado che liquida in
complessivi € 1.860,00 oltre agli accessori come e se per legge dovuti.
La richiesta è: il contratto è stato qualificato in un modo. Io voglio che il contratto sia qualificato in
un altro modo e voglio che sia applicato quel contratto collettivo. Ovviamente costituendosi in
giudizio la F. Contesta la fondatezza del ricorso escludendo qualsiasi vincolo di subordinazione e
sottolineando che nelle modalità di svolgimento della prestazione non era mai stato esercitato alcun
potere direttivo o di controllo sull’attività del lavoratore che, come tutti gli altri, gestiva
autonomamente le proprie risorse, decidendo in totale autonomia la ripartizione degli orari di
lavoro, con l’unico presupposto che l’attività di raccolta di informazioni venisse svolta durante
l’apertura al pubblico dei locali —> difesa che svolge l’azienda esattamente corrispondente a quello
che dopo arriverà con la legislazione Jobs Act.
I giudici di appello, riepilogando la decisione, ad un certo punto riassumono quello che il giudice di
primo grado ha concluso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Valutate le risultanze processuali ritiene la Corte che l’appello debba essere respinto. —> anche in
appello la Corte dà ragione al lavoratore. Respinge l’appello dell’azienda.
La Corte afferma che i due profili di appello che l’azienda porta davanti alla stessa Corte sono
infondate. 11
Pur dovendosi convenire che la motivazione del primo Giudice è insufficiente laddove, per ritenere
instaurato fra le parti un rapporto di lavoro subordinato, fa sostanzialmente riferimento al solo
orario del lavoro oltre a richiamare, genericamente, le deposizioni dei dipendenti della M. – onde
si rende necessaria una sua integrazione – le conclusioni raggiunte siano comunque corrette.
Come noto, secondo gli ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali, l’elemento distintivo del
rapporto di lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, è costituito dall’assoggettamento del
prestatore di lavoro al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro che deve essere valutato
concretamente con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed alle modalità
della sua attuazione; tutti altri elementi (quali la continuità della prestazione, la cadenza e la
commisurazione della retribuzione, l’incidenza del rischio, l’utilizzo delle attrezzature), ivi
compreso, appunto, l’orario di lavoro, costituiscano meri indici della subordinazione che devono
essere considerati complessivamente attraverso un giudizio di sintesi, essendo ciascuno di essi
privo di un valore determinante ai fini della qualificazione del rapporto. La Suprema Corte è poi
ferma nel ritenere che, sempre a tale fine, pur non potendosi prescindere dalla preventiva ricerca
della volontà delle parti - giacché le dichiarazione negoziale rimane comunque un elemento
rilevante nella ricostruzione del rapporto - tuttavia il concreto atteggiarsi del rapporto nel suo
effettivo svolgimento assuma, comunque, una rilevanza primaria e decisiva, di talché, rispetto al
nome iuris utilizzato in sede di conclusione del contratto, deve attribuirsi valore prevalente al
comportamento tenuto dalle parti stesse nell’attuazione del rapporto.
Tre elementi che ci interessano:
- Primo elemento - come i giudici di merito fanno riferimento alla giurisprudenza di legittimità;
- Secondo elemento - il primo passaggio è legato agli elementi che caratterizzano le modalità di
esecuzione del rapporto. La Corte di Appello dice che vi sono tanti possibili elementi, alcuni
esemplificati tra parentesi. Sono possibili spie che possono portare la qualificazione in un senso o
nell’altro. In realtà quello che conta è il giudizio di sintesi essendo ciascuno di essi privo di un
valore determinante ai fini della qualificazione.
Passaggio importante —> applicazione del c.d. METODO TIPOLOGICO = sussunzione per
approssimazione e non sussunzione per identità.
Cioè, nel procedimento logico che i giudici utilizzano per qualificare un caso concreto rispetto ad
una fattispecie astratta avviene una raccolta di indici per poi operare un giudizio di sintesi.
Sussunzione per approssimazione = i giudici guardano le spie:
A. prima spia: orario di lavoro —> è quello l’elemento per qualificare un rapporto? no, è un indice;
B. seconda spia: retribuzione —> cameriera pagata una volta al mese 1000 euro —> non è un
elemento per qualificare quel rapporto come subordinato;
C. Terza spia: i mezzi, le attrezzature —> è questo un indice del fatto che è un lavoro subordinato?
No. Possiamo dire che chi porta i mezzi è un lavoratore autonomo? no, è una spia.
Sono tante spie che costituiscono meri indici della subordinazione che devono essere considerati
complessivamente attraverso un giudizio di sintesi, essendo ciascuno di essi privo di un valore
determinante ai fini della qualificazione del rapporto. Quindi, ognuna di queste spie da sola non
basta. Per qualificare un rapporto come subordinato occorre un giudizio di sintesi.
Questa è un’approssimazione per sussunzione e non per identità, perché può essere che vi siano
situazioni in cui io qualificato subordinato anche se alcune delle spie non sono presenti.
Per esempio io potrei raggiungere l’idea che il lavoro è subordinato anche se l’orario non è stabilito
giorno per giorno sempre allo stesso modo.
- Terzo elemento: non conta avere una certa denominazione formale, perché quello che conta è la
SOSTANZA. 12 29/11
Stiamo osservando come si effettua la qualificazione di un rapporto lavorativo.
Come si svolge questa operazione di qualificazione? In astratto è un’operazione di sussunzione =
il modo logico di operare di qualcuno che prende gli elementi che trova nella realtà e riconduce
questi elementi ad una figura che esiste nell’ordinamento giuridico (operare un giudizio sintetico-
complessivo).
Se andiamo a vedere in concreto come avviene questa operazione ci accorgiamo che non sempre
l’operazione rispecchia i caratteri che possiamo immaginare in astratto.
Continuando con il caso della Corte d’appello …
Il giudice sta parlando di un lavoro a progetto e dice che nonostante l’oggetto di questo contratto
(ciò che era stato scritto dalle parti) quello che è accaduto è invece tutt’altro. Dice il giudice: quello
che le parti avevano scritto poteva anche essere interpretato in un certo modo, ma quello che io
vedo dall’istruttoria è che ciò che era stato scritto non è in alcun modo sovrapponibile all’idea di
una vigilanza ordinaria di antitaccheggio.
Tutti i collaboratori dell’azienda erano tenuti a fare un’attività di sostanziale vigilanza e tanto
emerge con evidenza anche dalle dichiarazioni rese dai colleghi, anch’essi assunti con il medesimo
contratto a progetto, in sede ispettiva.
Il giudice, attraverso un’istruttoria, va a vedere cosa fanno concretamente i lavoratori —> la
questione è tutta in concreto. Solo lo svolgimento materiale del rapporto può accertare ciò che
facevano effettivamente quei lavoratori all’interno dell’azienda.
Il contratto diceva “contratto avete ad oggetto un’analisi statistica” —> il giudice smonta l’oggetto
del contratto. I lavoratori non svolgevano un’attività statistica, ma il servizio consisteva in
un’attività CONCRETA DI VIGILANZA.
Il giudice dice “non erano liberi di gestirsi autonomamente” (ricordiamo l’art. 2222 c.c.: senza
vincolo di subordinazione nel lavoro autonomo = io gestisco autonomamente il mio tempo).
Peraltro veniva messa a disposizione una divisa da indossare. Venivano fornite precise indicazioni
di come e dove dovessero collocarsi e quali operazioni dovessero seguire con modalità concrete
loro imposte proprie della vigilanza ordinaria e quotidiana (tu devi stare all’ingresso; ecc ecc ) —>
ecco la presenza di indici/spie.
È in ciò che si sostanzia il potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che forniva, appunto,
precise istruzioni e indicazioni vincolate dei compiti che dovevano essere svolti, delle modalità
esecutive del lavoro stesso, e anche delle procedure da eseguire —> cosa fare, come farlo e quali
regole precise seguire.
Gli elementi sopra illustrati sono indice sicuro della natura subordinata del rapporto di lavoro.
Poi c’è anche la questione dell’orario: la difesa dell’impresa è che quelle persone che facevano
vigilanza avevano la possibilità di gestire in autonomia l’orario di lavoro.
Il giudice dice: Al contrario, emerge proprio dalle deposizioni raccolte in sede ispettiva, che i
lavoratori dovevano mettere comunque a disposizione le proprie energie lavorative per un certo
numero di ore —> il giudice accerta che l’orario è un indice ibrido. Non è un orario fisso, ma è un
orario costruito con un monte ore mensile e viene data la libertà alle persone che devono svolgere
quell’orario di organizzarsi. Indipendentemente dalla possibilità di decidere in quale turno
lavorare, di cui in prosieguo, all’interno del turno stesso il lavoratore doveva essere comunque
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essere presente ed assicurare la copertura, per un determinato numero di ore, in modo da coprire
l’intero orario di apertura del negozio.
Il giudice, con diversa motivazione, conferma la qualificazione stabilita dal giudice di primo grado.
P.Q.M.
respinge l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trento in funzione di Giudice del Lavoro
n. 116/12 del 21/6/2012;
condanna l’appellante a rifondere, in favore dell’appellato, le spese di grado che liquida in
complessivi € 1.860,00 oltre agli accessori come e se per legge dovuti.
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——— ALTRO CASO CONCRETO
TRIBUNALE DI LIVORNO.
Vicenda che riguarda un lavoro svolto all’interno di un call-center. Anche in questo caso l’accordo
tra le parti era un accordo corrispondente ad un contratto di lavoro a progetto (artt. 61 e ss. d.lgs.
276/2003).
In questo caso le persone erano parte di un rapporto di lavoro con una società S.r.l. per un certo
periodo