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L’ESTETICA MEDIEVALE
L’ambito culturale è permeato dalla religione cristiana che introduce il concetto di creazione. Il Dio cristiano
non è un demiurgo che ordina ciò che già c’è ma crea la materia ed è l’ideatore del suo ordine. Generando
il mondo dal nulla. Il creato in quanto frutto della volontà di Dio non è necessario ma contingente: poteva
essere come no. L’uomo medievale vive in una realtà che è lontana da quella che appare ma è piena di
sovrasensi. È l’analogia che istituisce un rapporto di relazione proporzionale tra aspetti del mondo sensibile
e aspetti del mondo spirituale. Il mondo in quanto opera divina reca i segni del suo artefice. Dio creando il
mondo, vi ha riflesso le proprietà che contraddistinguono il suo essere stabilendo con la propria opera un
rapporto di somiglianza. Tuttavia tali proprietà risiedono in Dio in misura incommensurabilmente maggiore
rispetto a ciò che ci è dato cogliere. La bellezza non può non appartenere al mondo creato da Dio poiché è
una proprietà del suo essere, questa è condivisa da ogni cosa esistente, il bello è quindi oggettivo. Una cosa
non è bella perché ci piace ma ci piace perché è bella perché sono state create da Dio. Dal momento che il
mondo è bello in quanto opera divina, la bellezza che vi riscontriamo ci parla continuamente del suo artefice.
A partire dalla bellezza sensibile non solo si può risalire all’ordine imposto da Dio ma anche a Dio stesso, fine
di ogni nostra contemplazione! Tale concezione trova supporto nelle teorie platoniche del bello fenomenico
come riflesso e immagine del bello ideale (teoria conosciuta dai medievali attraverso Agostino). L’ordine
imposto da Dio trova discendenza nella teoria pitagorica di ordine matematico. Stabilendo una relazione di
congruenza tra le parti e il tutto, la proporzione permette alla molteplicità del creato di raccogliersi nell’unità
di una forma e, quindi, di darsi come un tutto ordinato, cioè bello. Dio in quanto immateriale si realizza come
proporzione assoluta, cioè come perfetta e indivisa unità e, quindi, suprema bellezza. Nel bello come
proporzione si esprime pertanto l’intima tensione di tutto il creato verso il proprio creatore, il suo impulso a
rendersi simile a Lui. I medievali riprendono la teoria neoplatonica della potenza di Dio come luce perenne
(la luce con a sua natura impalpabile rappresenta l’elemento naturale più vicino a Dio) e sarà proprio da
questa che accentueranno la dimensione trascendente della loro riflessione estetica. La cultura medievale
nega all’artista umano qualsiasi forma di creazione. Dio viene paragonato a un architetto, a un poeta, a un
musicista e questa applicazione del paradigma artistico al rapporto creativo che sussiste tra Dio e la sua opera
non autorizza a concepire l’arte umana come una produzione liberamente creativa, è una prerogativa che
appartiene solo a Dio. L’uomo se pur in grado di dar vita a nuove creazioni in quanto creato a immagine e
somiglianza di Dio può lavorare solo se guidato dallo Spirito Santo. Teofilo invita l’uomo a ricordare la propria
nullità, lui non fa nulla e non pensa a niente se non ciò che è voluto da Dio. L’artista quindi ha solo un ruolo
servile, considerato un imitatore dell’ordine divino della creazione, anche quando crea qualcosa che non
esiste in natura il suo modello ispiratore è sempre l’opera di Dio. È dunque l’armonica perfezione dell’opera
di Dio a stimolare l’ingegno umano, che non riuscirò mai ad eguagliare e superare tale opera nella sua divina
perfezione.
Concepita come imitazione dell’opera divina della creazione, l’arte assume la sua stessa funzione di guida
spirituale e religiosa. Ha un fine pedagogico- contemplativo e le sue opere acquistano valore solo in quanto
assumono un significato che va al di là del semplice piacere che offrono ai nostri sensi, acquistando un valore
morale. L’intera attività artistica dell’uomo deve essere dunque indirizzata alla lode di Dio, contribuendo ad
elevare l’anima umana dall’ordine del sensibile verso il soprasensibile. La poesia veniva insegnata nelle
scuole nate intorno ai monasteri come propedeutica all’apprendimento della Parola divina, i poeti erano
sempre ispirati da Dio. Nel medioevo Macrobio paragonava l’opera poetica al cosmo, c’è dunque una
somiglianza tra la <<divina fabbrica del mondo>> e il <<poeta>> che, divinamente ispirato, è non solo filosofo
ma anche teologo. La poesia antica sia in grado di rilevare profondissime verità. Ovviamente sussiste una
enorme distanza tra la poesia dei profeti che riguarda le Sacre scritture e le opere dei pagani considerate
false che raccontano fatti puramente inventati. La musica invece costituisce una delle più alte discipline
filosofiche, concepita dai medievali come scienza dell’armonia ovvero dell’ordine matematico che Dio ha
conferito al cosmo: è dunque la scienza dell’armonia cosmica. La musica prodotta dall’uomo esprime
l’armonia risieduta nel suo corpo. La musica strumentale rientra nelle arti servili, molti canti ispirati alla parola
di Dio non sono accompagnati da strumenti perché questi potrebbero indurre l’anima a prestare attenzione
al suono in quanto tale e non alla parola.
L’opera e il pensiero di Agostino d’Ippona costituiscono il caposaldo dell’intero pensiero estetico.
Fondamentale è la distinzione tra bellezza sensibile e bellezza intelligibile che l’autorevole padre della Chiesa
riprende dalla riflessione di Platone. Agostino concepisce la bellezza come Clarità di una Species o forma
intelligibile che custodisce la verità interiore della cosa. La possibilità di riconoscere la verità della bellezza
sensibile dipende da un atto intellettuale, senza il quale noi ci disperderemmo nella molteplicità di
sensazioni che essa suscita: è negli occhi della mente che risiede l’intelligenza del bello non in quelli del corpo.
Anche se è il diletto sensibile a spingerci a cercare, al di là della diversità dei corpi che si offrono ai nostri
sensi, gli aspetti che ci permettono di riconoscerli come belli. Tali aspetti sono individuati da Agostino nelle
relazioni di eguaglianza, corrispondenza e congruenza. Ritorna dunque l’idea classica di bello come
simmetria o proporzione, intesa tuttavia da Agostino come legge interiore. Il numero è ciò che sta alla base
di ogni cosa, è quello che determina misura, forma e ordine, sta all’origine dell’armonia quanto al godimento
estetico che non è più soggettivo ma deriva dall’esser bello della cosa (non è bella perché ci piace ma ci piace
perché è bella). Solo Dio è ovviamente inteso come proporzione perfetta ed è quindi l’unica vera bellezza.
L’atto di conoscenza intellettuale da cui discende il giudizio sul bello, dunque, coincide neoplatonicamente
con un movimento di purificazione spirituale e di conversazione interiore in cui l’anima umana, rientrata in
sé stessa nel pieno distacco dei sensi e riconosciuto in Dio il principio di ogni bellezza, si ricongiunge al proprio
padre e si acquieta in Lui.
Dionigi: pone Dio al di là di ogni configurazione corporea, ma anche di ogni definizione concettuale, non ci
sono immagini o definizioni per descrivere Dio. Che proprio in quanto Assoluto, risplende di una bellezza
destinata ad accecare non solo gli occhi del corpo ma anche quelli della mente. Dionigi paragona Dio a una
fonte perenne di luce che dà forma e colore a tutte le cose. Nel momento in cui crea le cose le rende partecipe
della sua luce.
L’estetica scolastica del XIII secolo: tra neoplatonismo e aristotelismo.
Come poter legare il principio di ordine matematico (quantitativo) con il carattere etereo e impalpabile della
luce emessa dal Dio creatore? Con gli studi sull’ottica greca e araba, i quali mostrano come il fenomeno della
diffusione e di rifrazione della luce avvenga secondo leggi geometrico-matematiche. Questi studi hanno come
protagonisti due rappresentanti della scuola Francescana: GROSSATESTA E BACONE. Questi sviluppano una
teoria che è sì fisico-cosmologica ma è anche allegorica-teologica. Congiunge la prospettiva quantitativa e
qualitativa del bello. I due teorici partono dall’affermazione di Dio: sia fatta la luce. Il primo atto della
creazione divina fu un punto inesteso e luminoso. Propagandosi (per sua natura) generò tutta la realtà con
tutte le sue dimensioni e volumi. Come sia possibile risiede nella natura stessa della luce. Attraverso la
propagazione si producono anche quelle dimensioni e volumi che sono impliciti e contratti in quel punto
dando alla materia un ordine, peso e misura. Per Grossatesta la bellezza consiste in quella congruenza tra
le parti e il tutto che ha nella proporzione e nella simmetria geometrico-matematica la sua ragion d’essere.
Quindi la luce è non solo origine della materia ma anche il principio della sua bellezza la condizione del
manifestarsi della natura. Per la sua natura proporzionata quindi bella è la realtà che più si avvicina a DIO.
Bonaventura riprende invece la teoria della natura come segno immagine e similitudine di DIO. Tutto il
mondo è quindi uno specchio di luci essendo Dio autentica luce di cui la luce naturale è solo un pallido riflesso
anche se tra tutte le realtà è quella che rappresenta la massima bellezza. Nonostante negasse all’arte
qualsiasi forma di creatività vi riconosce cmq una componente ideativa. L’opera anche quando rappresenta
qualcosa che già esiste, nasce comunque nella mente dell’artista, se disegna una rosa rappresenta l’idea che
l’artista ha della rosa. Un’idea che per quanto ispirata al modello ideale di rosa che risiede nella mente di Dio,
non può non riflettere anche la dimensione individuale dell’artista umano che l’ha concepita. Imitazione di
un’idea che risiede nella mente dell’artefice, l’opera è anche espressione di colui che l’ha prodotta. L’artista
è volto a produrre non solo qualcosa di utile ma anche di piacevole. Il piacere, per quanto non sia l’unica
componente della fruizione estetica, è comunque essenziale.
Alberto Magno: il suo pensiero si sviluppa dall’incontro della tradizione neoplatonica con il pensiero
aristotelico. Sostiene che le idee di tutte le cose seppur esistenti nella mente di Dio in qualità di forme
universali trascendenti che precedono le cose del nostro mondo devono essere comunque pensate, a seguito
della creazione, anche come forme connesse a una materia. Riprendendo da Dion