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III. KANT E LA FONDAZIONE DELL’ESTETICA
1. Kant e il termine “Estetica”
Nel corso del Settecento si erano precisate, soprattutto in area inglese e francese, le problematiche
moderne di quella che con Kant sarebbe divenuta una nuova e importante disciplina filosofica, l’Estetica.
Con questo nome, nel 1750, il pensatore tedesco Baumgarten aveva proposto di definire la teoria della
conoscenza sensibile, e a questa proposta aveva aderito Immanuel Kant (1724-1804) nella sua prima
Critica, quella della ragion pura, nel 1781.
“Estetica trascendentale”: si occupa del primo livello, quello sensoriale, della nostra conoscenza, che si
realizza con l’unione di elementi a posteriori (dati sensoriali, percettivi) e di elementi o forme pure a priori
(spazio e tempo). Risultato di tale unione (sintetica a priori) è l’insieme delle intuizioni sensibili. Per
passare al secondo, del pensare, le intuizioni sensibili devono essere prearate, tramite l’ausilio
dell’immaginazione e con un procedimento che Kant chiama “schematismo”, a entrare in uno nuova
sintesi a priori, quelle che le unirà alle categorie dell’intelletto, e darà luogo ai contenuti dei giudizi logici.
Si sarà passati alla Logica trascendentale.
Nella Critica della ragion pura del 1781, Kant perveniva alle seguenti conclusioni: conoscenza
sensoriale e conoscenza intellettiva portano alla conoscenza, comune e scientifica, del mondo della
natura. L’intelletto con le sue dodici categorie e con i principi a priori che ne regolano l’applicazione sta a
fondamento dei giudizi conoscitivi.
La nostra conoscenza ha a che fare soltanto con l’insieme dei fenomeni che compongono la natura e
che vengono studiati dalle scienze.
I fenomeni non costituiscono però i soli oggetti della nostra esperienza. Siamo anche esseri morali e in
quanto tali siamo certi di possedere una libertà. Il regno della libertà, della ragione, della legge morale e
di tutti i problemi a queste connessi, è dominio di studio della filosofia pratica. A questa Kant dedica, nel
1787, la seconda Critica, quella appunto sulla ragion pratica.
L’intelletto domina nella conoscenza della natura, la ragione domina nell’operare della libertà.
L’intelletto ha a che fare solo con fenomeni, mentre la ragione ha a che fare con la cosa in sé, la libertà.
Sussiste una sorta di “incomunicabilità” tra la natura e l’intelletto e la libertà e la ragione.
2. Il Giudizio come ponte tra l’intelletto e la ragione
È pensabile una facoltà umana intermedia che costituisca una specie di ponte tra intelletto e ragione e
che metta in comunicazione il mondo della natura con il regno della libertà? La risposta viene formulata
nelle Critica del Giudizio, del 1790. La facoltà viene indicata nel Giudizio il quale rappresenterà il
fondamento della nuova disciplina, l’Estetica.
Le sfere d’azione rispettive dell’intelletto (conoscere in relazione al concetto di natura), del giudizio
(sentimento di piacere e dispiacere) e della ragione (desiderare secondo il concetto soprasensibile di
libertà) costituiscono secondo Kant la totalità delle nostre esperienze possibili.
Il giudizio che interessa Kant nella Critica del 1790 viene chiamato giudizio “riflettente”. Non ha il
compito logico-conoscitivo, di inserire un particolare in un generale già dato, ma di riflettere
creativamente su un particolare, ricercando un generale al quale collegarlo. Deve cercare un universale al
quale collegare il particolare su cui riflette, e lo deve cercare nel rapporto tra se stesso in quanto facoltà e
i particolari sui quali riflette.
L’universale al quale perviene il giudizio riflettente è il principio della finalità della natura rispetto alle
nostre facoltà.
Questo principio soggettivo tramite il quale, nel giudizio riflettente, attribuiamo alla natura una finalità
trascendentale rispetto alle nostre facoltà conoscitive è per noi di vitale importanza “perché senza questa
supposizione non avremmo alcun ordine della natura secondo leggi empiriche e per conseguenza non vi
sarebbe nessuna guida per l’esperienza e la ricerca in tanta verità delle leggi stesse”. Questo principio è
accompagnato da un sentimento di piacere.
3. Giudizio estetico e giudizio teologico
La Critica del Giudizio è divisa in due parti, che trattano il giudizio riflettente estetico e il giudizio
riflettente teologico.
Il giudizio riflettente estetico costituisce l’atto fondativo dell’estetica moderna.
I temi che ricorrono indicano da parte di Kant un chiaro privilegiamento del punto di vista del fruitore.
Sono i temi del giudizio estetico, del gusto, del bello e del sublime, ai quali si affiancano quelli sul
rapporto tra bello di natura e bello artistico e quelli sul rapporto tra natura e artista (genio).
Fondamento dell’esperienza estetica è il sentimento di piacere o dispiacere da noi provato. In questo
rapporto soggettivo rispetto a un oggetto consiste la qualità estetica di quest’ultimo: una qualità quindi
che non contraddistingue l’oggetto ma il rapporto soggettivo con quest’ultimo, cioè il fatto che questo
rapporto sia accompagnato da un sentimento di piacere o dispiacere.
Kant distingue la qualità estetica di un oggetto e il suo valore logico o conoscitivo. Il sentimento di
piacere o dispiacere, legato al giudizio riflettente (non conoscitivo), viene dopo che l’oggetto è stato
conosciuto (tramite un giudizio determinante). Dire cioè di un oggetto che è bello o brutto, ossia che ha
suscitato un sentimento di piacere o dispiacere in chi l’osserva, non ha nulla di simile al dire che è
quadrato o rotondo. Quest’ultimo è un tipo di giudizio conoscitivo.
Nell’esperienza estetica le facoltà conoscitive non svolgono funzioni conoscitive specifiche.
Il giudizio estetico ha a che fare con una finalità soggettiva o formale, nel senso che riferisce la forma
dell’oggetto osservato alle facoltà conoscitive senza che tale rapporto produca nuove conoscenze; il
giudizio teologico ha a che fare invece con una finalità oggettiva e reale, cioè lo scopo della natura
intravisto nell’oggetto osservato, e produce in qualche modo una nuova conoscenza.
4. I quattro momenti del giudizio di gusto
Il gusto è strettamente associato al giudizio estetico; esso viene definito da Kant come “la facoltà di
giudicare del bello”.
Poiché il gusto opera con giudizi, e questi ultimi in quanto tali hanno qualcosa in comune con i giudizi
conoscitivi, Kant ritiene corretto individuare quattro momenti o aspetti dei giudizi di gusto. Sono quelli
della qualità, della quantità, della relazione e della modalità.
1.qualità: il meccanismo che fa scattare il giudizio di gusto e ci fa dire di una cosa che è bella, e fa
capo a un nostro sentimento. Il piacere che dà origine ad un esperienza estetica è soltanto il piacere
disinteressato. Nel piacere estetico è assente l’interessa per l’esistenza dell’oggetto. Kant può definire il
gusto come “la facoltà di giudicare un oggetto o un tipo di rappresentazione mediante un piacere, o un
dispiacere, senza alcun interesse. L’oggetto di un piacere simile si dice bello”.
2.quantità: la pretesa di universalità del giudizio di gusto estetico non è infondata. Il sentimento di
piacere che sta alla base del giudizio di gusto non si riferisce al piacere interessato, quindi al soggettivo
nel senso di arbitrario, del piacevole (sfera dei sensi), ma al piacere disinteressato, contemplativo (sfera
dei sentimenti).
L’espressione “come se” costituisce un punto chiave nell’argomentazione kantiana. Il carattere
disinteressato del piacere estetico assimila il giudizio estetico al giudizio logico. È un’assimilazione che
riguarda la sfera soggettiva. La pretesa di universalità avanzata dal giudizio estetico è la pretesa di una
universalità soggettiva, non oggettiva. L’universalità connessa al giudizio estetico si riferisce ai
sentimenti, mentre quella connessa al giudizio logico si riferisce ai concetti. Kant propone di chiamare la
prima “validità comune” e non “universalità”. Quest’ultima logico-conoscitiva, indica la validità del
rapporto di una rappresentazione con le facoltà di conoscere, mentre la validità comune, estetica, indica
la validità del rapporto “della rappresentazione medesima col sentimento del piacere o dispiacere in ogni
soggetto”. Ogni giudizio di gusto è singolare.
La pretesa di universalità del giudizio di gusto è legata alla “possibilità di comunicare universalmente
lo stato d’animo che deve stare a fondamento del giudizio di gusto. Ma nulla può essere comunicato
universalmente se non la conoscenza e la rappresentazione in quanto conoscenza”. Il punto chiave di
svolta dell’argomentazione kantiana è dato dalla seguente affermazione: “ora se deve essere pensato
come puramente soggettivo il fondamento del giudizio su questa comunicabilità universale della
rappresentazione, cioè senza un concetto dell’oggetto, essa non può essere altro che lo stato d’animo che
risulta dal rapporto delle facoltà rappresentative tra loro, in quanto queste riferiscono una
rappresentazione data alla conoscenza in generale. Le facoltà conoscitive, messe in giuoco da questa
rappresentazione, son qui in un libero giuoco, perché nessun concetto determinato le costringe a una
particolare regola di conoscenza”.
Le facoltà conoscitive (fantasia e intelletto) che normalmente, nell’assolvere le loro funzioni
logico-conoscitive, operano in una condizione di costrizione logico-concettuale che le spinge a produrre
conoscenze, nell’esperienza estetica operano in “libero giuoco”; non sono costrette a utilizzare le
intuizioni sensibili, o rappresentazioni, per produrre conoscenze particolari, ma riferiscono quelle intuizioni
sensibili alla conoscenza in generale. Creano cioè una specie d stato di sospensione di cui approfitta il
sentimento di piacere e dispiacere per produrre un giudizio non logico ma di gusto, estetico. E questo
stato d’animo sospeso è universalmente comunicabile e non si riferisce a concetti: “la comunicabilità
soggettiva universale nel modo di rappresentazione propria del giudizio del gusto, poiché deve sussistere
senza presupporre un concetto determinato, non può essere altro che lo stato d’animo del libero giuoco
della fantasia e dell’intelletto (in quanto essi si accordano tra loro come deve avvenire per un conoscenz