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LIBRO 1: DELLE NOZIONI INNATE
Capitolo 1: Se esistono principi innati nella mente umana. Il libro comincia con Filalete
( che rappresenta Locke) che tornando dall'Inghilterra, ha pensato di far visita a Teofilo ( che
rappresenta Leibniz), per discutere su quanto ha imparato durante il suo viaggio. Filalete ha
conosciuto Locke e ha letto la sua opera: Saggi sull'intelletto umano e lo ha interiorizzato. Per
Filalete non esistono idee innate. Filatele è un personaggio anti-metafisico perchè ritiene che
Dio non ha impresso in noi nulla. Tutta la nostra conoscenza deriva dall'esperienza. Alla
nostra nascita la nostra anima è una tabula rasa che sarà scritta dai sensi. La ragione ci aiuta nel
processo di conoscenza, ma da sola è limitata, è guidata dall'esperienza. Filalete, come Locke, è
dunque empirista. Teofilo, d'altro canto, risponde che ha continuato le sue meditazioni e crede di
essere giunto a più lontane conclusioni avendo letto il Dizionario di Bayle che sembra aver
conciliato più idee. Teofilo dà piena fiducia alla ragione, dice di conoscere sia con sensi, ma di
avere conoscenza già dentro di sè. Dio ha impresso negli uomini la conoscenza. Teofilo, dunque
Leibniz, non è un empirista ma neanche un razionalista. Egli crede che l'esperienza sia
fondamentale, ma non è grazie a essa che conosciamo. Quando conosciamo qualcosa al di fuori
di noi conosciamo qualcosa che già abbiamo in noi che è in potenza. Le idee sono già dentro di
noi in potenza ma diventano attuali mediante l'esperienza. Gli uomini non hanno la stessa
conoscenza altrimenti risulterebbe inutile il processo di conoscenza, la diversificazione
dell'intelletto, che un bambino conosce meno dell'uomo. Ci sono diversi tipi di conoscenza. Tutto
si basa sull'attenzione, cioè le nostre idee che sono passive diventano attive in base
all'attenzione che poniamo, diventando idee attuali le conosciamo. I due cominciano così un
accurato scambio di idee analizzando i principi teorici. Prendono in considerazione due principi
teorici: il pricipio di identità, secondo cui ogni cosa è uguale a se stessa, e il principio di non-
contraddizione secondo cui è impossibile che una cosa nel medesimo tempo sia e non sia. Ora
dice Filalate che questi due principi non sono innati perchè l'uomo per conoscerli dovrebbe farne
esperienza. Solo tramite l'esperienza l'uomo capisce ad esempio che il cerchio non è il quadrato,
che il giallo non è il rosso e così via. Dice, invece Teofilo che questi principi sono innati in noi,
però non tutti quanti li hanno fatti passare dal passivo all'attivo. Noi riusciamo a conoscerli
immediatamente, non abbiamo bisogno che qualcuno ci spieghi perchè il cerchio non è il
quadrato. Le idee infatti sono oggetto del pensiero immediato e interno. Immediato proprio
perchè influiscono direttamente sulla nostra anima non hanno bisogno di una medizione per
poterli conoscere. La mente, per Teofilo, non è soltanto in grado di conoscere le cose esterne, ma
di trovare verità presenti già in sè. Quindi la mente può conoscere sia con l'intelletto che con i
sensi. Tuttavia le idee che vengono dai sensi sono confuse e così anche le verità che ne
seguono, mentre le idee intellettuali e le verità che ne seguono sono distinte, non vengono dai
sensi anche se ci aiutano a pensarle. Filalate allora comincia a fare una serie di esempi per
dimostrare la falsità di quanto appena detto. Se dico ad bambino 18+19= 37 e 2+2= 4, per lui
sono ovvie allo stesso modo, ma riconosce vera prima la seconda proprosizione, mentre ha
dubbi sulla prima perchè ha conosciuto prima il 2 che è un'idea semplice. Per Teofilo ciò che
muta è l'attenzione che in una è maggiore rispetto all'altra, ma non c'entrano le idee dei numeri
perchè l'idea del 2 è stata conosciuta allo stesso modo di quella del 18,37,900 ecc. Conta
dunque l'attenzione che il bambino pone. Il bambino pone meno attenzione quando dice che 2+2
fa 4. Sull'altra pone più attenzione. Filalete allora ribadisce il tutto dicendo: se le massime
generali fossero innate esse dovrebbero apparire anche nei bambini, idioti e selvaggi,
invece non ci sono. Teofilo dice che in questo caso Filalete non sta ragionado perchè Teofilo ha
ripetuto più volte che questi principo sono in tutti ma non tutti li fanno passare dalla potenza
all'atto altrimenti sarebbe inutile il processo conoscituvo. Non avrebbe senso la diversificazione
che Dio ha fatto tra uomo e uomo. Se i bambini, i selvaggi, gli idioti non arrivano a queste
conoscenze è perchè non ci pongono attenzione, ma pongono attenzione su altre cose, come sui
bisogno del corpo anzichè della mente. Filalate dice di essere contro l'innatismo principalemte
perchè gli sembra la scusa dei pigri di voler conoscere senza ricercare niente. Teofilo risponde
che gli innatisti invece ogni giorno cercano di rendere chiare e dstinte le conoscenze che già
ahnno dentro.
Capitolo 2: Non esistono principi innati. Dopo aver trattato dei principi teoretici, si discute
dei principi pratici. Filalate dice che la morale è una scienza dimostrativa, perchè si fonda
sull'educazione, sulle abitudini, su quello che gli altri ci insegnano, quindi su quello che noi da
piccoli facciamo esperienza. La morale non deriva dall'intelletto altrimenti non avrebbe senso il
male nel mondo. Per Teofilo,cosi come il processo conosctivo è innato e la sua fonte è l'intelletto,
anche la morale è innata e la sua fonte è l'intelletto. L'educazione, l'abitudine ci aiutano a
consolidare quello che già abbiamo in noi. Questi principi sono il bene, non voler fare del male.
Noi già quando nasciamo, ci sono delle cose che non facciamo come ad esempio mangiare
cadaveri, mangiare gli animali vivi. Queste cose per non farle non abbiamo bisogno che ci
vengono insegnate, ma non le facciamo perchè seguiamo principi morali che sono già innati in
noi. L'esperienza tuttavia ci aiuta a rafforzarli. Se così fosse, dice Filalete, non avrebbe senso che
gli uomini dopo aver assalito una città non hanno i sensi colpi. Teofilo dice che anche qui è
importante l'attenzione. Questi uomini che compiono il male non pongono attenzione alle leggi
che Dio ha impresso dentro di loro. Non devono fare esperienza del bene ma devono porre
attenzione all'idea di bene che Dio ha impresso in loro. Dio ha dato all'uomo più l'istinto che la
ragione.
Capitolo 3: Altre considerazioni sui principi innati, sia teorici che pratici. Filalete
chiede se il fatto che se dobbiamo amare o lodare Dio sia una un'idea innata. E come si pone la
questione con gli atei e con le popolazioni che non hanno mai conosciuto nè sentito Dio. Teofilo
risponde che gli atei hanno l'idea di Dio, ma la ignorano. Mentre le popolazioni credono di non
conoscere Dio, ma lo conoscono innatamente perchè ne parlano come ad esempio quando
parlano dell'essere o della verità. LIBRO 2: DELLE IDEE
Nel secondo libro, Leibniz mediante Teofilo, spiega cos' è l'idea. L'idea è un oggetto del
pensiero immediato e interno. Cartesio avevo detto che l'idea è un oggetto del pensiero.
Leibniz aggiunge immediato e interno perchè si voleva distinguere da Cartesio e dagli empiristi.
Leibniz distingue il pensiero dall'idea. L'ideà è quello che noi abbiamo indipendetemente se
qualcosa che esiste o meno di fronte a noi, l'idea possiede in sè il concetto di durata: se io ho
l'idea di sedia posso pensarla sempre anche quando non c'è la sedia. Il pensiero, invece, deriva
dalla sensibilità, dall'oggetto esterno. L'idea dunque è un oggetto del pensiero immediato e
interno, immediato perchè influisce direttamente sull'anima e quindi non è mediata
dall'esperienza, ed è interna perchè si trova dentro di noi. Teofilo dice che l'anima non è una
tabula rasa, ma ci sono già in essa tutte quelle rappresentazioni che ci servono per conoscere il
mondo, le quali sono delle rappresentazioni chiare e distinte,che sono quelle Dio, e quelle oscure
e confuse che sono quelle che riguardano il mondo. Non è possibile che è la nostra esperienza
che scrive qualcosa nell'anima, l'esperienza ci aiuta a porre attenzione a qualcosa rispetto ad
un'altra, ma non ci fa conoscere le idee. L'anima pensa sempre così come il corpo è sempre in
continuo movimento. Anche in uno stato di sonno, l'anima riceve tutte quelle percezione che
derivano dall'esterno che noi possiamo pensare di non percepire,ma in realtà le stiamo
percependo e tutte quante concorrono allo svilippo della nostra individualità. La differenza sta
quando l'idea da percezione diventa all'appercezione cioè diventa consapevolezza di percepire.
Ad esempio noi possiamo abitare in una casa vicino ad un mulino, sentiamo il rumore dell'acqua,
ma visto che viviamo sempre in quella casa, percepiamo il rumore ma è come se non avessimo
più coscienza di percepire. Quando qualcuno ci fa notare il rumore allora l'appercepiamo,
prendiamo consapevolezza di percepire. Per questo la conoscenza per Leibniz si fonda sull
passaggio da idea potenziale a idea attuale perchè passa da percezione all'appercezione.
L'appecezione si distingue per un maggior grado di chiarezza e di consapevolezza di sè,
rappresenta il livello più alto dell'autocoscienza. Differentemente da Cartesio che aveva distinto
res cogitas e res estensa avendo dato la vitalità soltanto alla cogitas privando la materia di
impotanza, per Leibniz anche la materia può continuamente avere delle percezioni. Si vuol
passare dal dualismo cartesiano al mononismo perchè non c'è differenza tra spirito e materia.
Nell'uomo l'appercezione è più forte in quanto dotato di intelletto e volontà riesce a porre maggior
attenzione alla cose rispetto all'animale e alla materia. La conoscenza non è un automatismo
meccanico ma è un atto libero e autocosciente di poter apparcepire. Essa stessa sceglie di voler
conoscere. Le idee per Filalate: John Locke.
John Locke è il fondatore dell'empirismo, corrente della filosofia moderna sviluppatasi tra il 600
e il 700 che considera l'esperienza come condizione essenziale della conoscenza. Per
Locke, la ragione non possiede nessuno di quei caratteri che Cartesio le aveva attribuito. Non è
unica o uguale in tutti gli uomini perchè essi ne partecipano in misura diversa. Non è infallibile
perchè spesso le idee di cui dispo