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3) MC = valore attuale (P) differisce da quello a ripartizione con metodo contributivo

in quanto in quest’ultimo i contributi vengono capitalizzati ad un tasso

convenzionale fissato dalla legge mentre nel primo caso si capitalizza al tasso

d’interesse di mercato i.

Distribuzione dei rischi del sistema pensionistico

Si possono evidenziare nella fase di formazione del diritto alla pensione come ad

esempio l’inadeguatezza dei rendimenti e tale rischio è rilevante nei sistemi a

capitalizzazione con ricaduta sugli anziani; nelle fasi successive al pensionamento:

rischio demografico, aumenta il cosiddetto indice di dipendenza cioè il rapporto tra

• pensionati e numero lavoratori il quale risente assai della struttura per età e

dell’aspettativa di vita della popolazione, tale rischio ricade sui pensionati in un

sistema a contribuzione;

rischio d’inflazione, si riduce il potere di acquisto delle pensioni, il rischio ricade a

• seconda della presenza di forme di indicizzazione al tasso di inflazione contenute

nelle pensioni;

rischio salariale, la dinamica delle pensioni segue o meno quella dei salari? Se i

• salari continuano a crescere mentre le pensioni rimangono stabili quest’ultime

vedono diminuire il loro peso relativo: in un sistema a capitalizzazione il rischio

ricade sui pensionati, in un sistema a ripartizione possono esserci delle forme di

indicizzazione delle pensioni ai salari (in tal caso il rischio ricade sui lavoratori i

quali dovranno corrispondere maggiori contributi per pagare l’aumento delle

pensioni) oppure no (in tal caso il rischio ricade sui pensionati).

Equilibrio di un sistema pensionistico

Può essere inteso dal punto di vista finanziario: in ciascun periodo l’ammontare dei

contributi = ammontare delle pensioni. In un sistema a capitalizzazione è

automaticamente garantito per definizione; in un sistema a ripartizione è garantito

soltanto per quello che viene chiamato valore o aliquota contributiva di equilibrio

cioè quella aliquota che consente di uguagliare il monte salari totale con il monte

pensioni totale.

δ = aliquota di equilibrio

R = salario medio

N = numero lavoratori

l

N = numero pensionati

p

MP = monte pensioni = P * N p

MW = monte salari = R * N l

P = pensione media

δ * MW = MP

δ = PN / RN = P/R * indice di dipendenza

p l

Un equilibrio macroeconomico va ad analizzare il rapporto tra monte pensioni e pil.

Un equilibrio equitativo significa che il sistema pensionistico deve attuare le finalità

redistributive che si era prefisso e “rilevanti”.

Tutte queste tipologie di equilibrio sono collegate tra loro a seconda dei meccanismi

contrattuali che sono alla base di un sistema pensionistico. Analizzando il caso di un

sistema a ripartizione con metodo retributivo possiamo fare diverse ipotesi

contrattuali:

tasso di sostituzione dato e nessuna forma di indicizzazione,

1)

2) tasso di sostituzione dato e retribuzione pensionabile indicizzata all’inflazione,

tasso di sostituzione dato e retribuzione pensionabile indicizzata ai salari,

3) tasso di contribuzione dato e retribuzione pensionabile indicizzata ai salari.

4)

Ipotizzando un sistema pensionistico in pareggio le retribuzioni crescono secondo

due componenti: una componente reale data dalla crescita della produttività (m) e una

componente nominale (tasso di inflazione).

Ora analizziamo singolarmente gli esempi sopracitati.

1) Impegno a garantire una pensione pari ad una data quota dall’ultima retribuzione,

le pensioni nominali restano invariate nel tempo. Se aumenta l’occupazione α

1

diminuisce e viceversa, α aumenta all’aumentare di n

1 p1.

2) Dobbiamo ricalcolare α , viene eliminato il rischio di inflazione in quanto ci si

1

impegna a garantire ai pensionati una pensione valutata in termini reali,

permangono i rischi occupazionali e demografici

Le pensioni seguono la dinamica salariale, rispetto ai casi precedenti abbiamo una

3) diverse situazioni a seconda di come vengano pagate le pensioni. Avremo dunque

diversi effetti su alfa, sulla distribuzione dei rischi.

In Italia la maggior parte delle pensioni distribuite appartiene alle ivs per un totale di

271 miliardi di euro, metà della spesa pubblica totale; l’importo medio annuo di una

pensione è diverso dal reddito pensionistico ed è di circa 16000€ lordi per quelle di

vecchiaia. Il numero dei pensionati è minore di quello delle pensioni erogate in

quanto alcuni ne prendono più di una, per questo motivo devo andare ad analizzare il

reddito pensionistico: tra i 1250 e i 1750€ si concentra la maggior parte degli importi

erogati a titolo pensionistico. Le donne pensionate sono in maggior numero rispetto

agli uomini ma hanno un reddito pensionistico minore (il 50.5% di esse ha un

pensione inferiore a 1000€ e una pensione media di 9195€, contando il reddito

pensionistico il divario scende in quanto per molte donne sussiste la situazione di

percepimento di una pensione aggiuntiva) , il nord-ovest è il luogo dove risiede il

maggior numero di pensionati con un importo maggiore rispetto alle zone centro-

meridionali: ciò può essere dato dalle carriere di lavoro più dinamiche e con un tasso

di occupazione maggiore. Il 50% circa dei pensionati residenti al sud hanno un

reddito pensionistico minore di 1000€ al mese.

Storia del sistema pensionistico italiano

Cercheremo di individuare i momenti nei quali sono state introdotte leggi

fondamentali per la struttura del nostro sistema pensionistico.

Un primo tentativo di sistema pensionistico fu alla fine dell’Ottocento tramite un

sistema di assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento da

parte dello Stato e volontario da parte degli imprenditori.

Nel 1919 nasce l’assicurazione obbligatoria ma non per tutti i lavoratori, questa

differenza tra comparti ce la portiamo dietro ancora oggi, questa assicurazione nasce

per i privati e su un sistema di capitalizzazione con pensione di vecchiaia a 65 per

uomini e donne.

Nel 1939 viene introdotta la reversibilità con la riduzione dell’età pensionabile a 60

anni per gli uomini e a 55 per le donne, il sistema è sempre a capitalizzazione ma

esso crolla per le conseguenze della seconda guerra mondiale (rischio inflattivo ed

insufficienza delle prestazioni): interviene lo Stato attraverso il sistema a ripartizione

con l’aumento di aliquote contributive e contributi statali.

Nel 1948, con la Costituzione repubblicana, si richiamano i diritti di cittadinanza in

merito al mantenimento dei cittadini nel momento in cui essi si trovano in

determinate condizioni economiche, sociali e fisiche.

Nel 1952 il paese si sposta verso un sistema a ripartizione con finanziamento parziale

dello Stato, per il calcolo della pensione sussiste ancora un metodo contributivo,

nasce la cosiddetta “integrazione al minimo” per la quale tutte le pensioni al di sotto

di una soglia minima vengono integrate per raggiungere una determinato importo. In

questo periodo viene decisa anche per i lavoratori autonomi l’obbligatorietà

dell’assicurazione obbligatoria.

Nel 1965 nasce l’istituto della pensione di anzianità, non ha nulla a che vedere con

l’età anagrafica dell’individuo ma riguarda il versamento di contributi per un

determinato numero di anni (35), viene abolita per poi essere reintrodotta più tardi.

Nel 1969 si ha la riforma che ha prodotto maggiori danni nel nostro sistema

pensionistico: si passa totalmente al sistema a ripartizione con metodo retributivo,

nasce la pensione sociale per la quale al compimento dei 65 anni di vita viene

corrisposta la pensione anche a chi non ha mai lavorato, ritorna la pensione di

anzianità con 35 anni di contributi, l’adeguamento all’inflazione diventa automatico

mentre l’aggancio ai salari era già stato fatto nel 1965.

Il 1973 vede la nascita delle famigerate “baby pensioni” nel settore pubblico, 14 anni

e 1 giorno per le donne coniugate con prole, 20 anni per gli statali, 25 per i dipendenti

degli enti locali.

Negli anni ’70 e ’80 comincia a crescere in modo rilevante la spesa pensionistica a

causa dell’inflazione galoppante di quel periodo, nascono problemi via via sempre

più grossi per i pensionati e i lavoratori: nel 1984 vengono riformate le pensioni di

invalidità abolendo i requisiti socio-ambientali, cioè quelle persone che avevano

scarsi sbocchi occupazionali e che per tale motivo ricevevano tale tipologia di

pensione. Tale sistema pensionistico non era in equilibrio finanziario, causava forti

differenza tra sistema pubblico-privato e lavoratori dipendenti-autonomi, vedeva una

forte diffusione delle baby pensioni nel settore pubblico, la previdenza veniva

utilizzata per fini non consoni come quello assistenziale (pensioni di invalidità) e per

la soluzione di crisi industriali (prepensionamenti).

Nel 1992 si ha la riforma Amato: si passa ad un sistema a capitalizzazione con

metodo retributivo, si va in pensione a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne,

pensione di anzianità dopo 35 anni di contributi. Nello stesso anno c’era stata una

forte crisi valutaria della lira, si pongono le basi delle riforme successive con le quali

si condivide l’obiettivo di rendere meno generoso il sistema pensionistico, 20 anni di

contributi per la pensione di vecchiaia, la retribuzione media deve essere calcolata

sulla media degli stipendi degli ultimi 10 anni mentre una volta a regime si sarebbe

dovuta calcolare sull’intero arco della vita lavorativa, viene abolita l’indicizzazione ai

salari, divieto parziale di cumulo tra più pensioni. Tutte queste nuove regole entrano

in vigore immediatamente per i neoassunti, nessun cambiamento per coloro che

hanno versato contributi da più di 15 anni, per coloro che si trovano in mezzo si ha un

sistema graduale in proporzione.

Amato e Dini facevano parte di cosiddetti governi tecnici e il secondo due anni più

tardi fece un’altra riforma: i contributi vengono rivalutati in base alla crescita del pil

nominale dei 5 anni precedenti (in un sistema a capitalizzazione in senso stretto

sarebbero stati valutati in base al tasso di interesse di mercato). Un aggiustamento

alla riforma Dini è quella introdotta da Prodi la quale agisce anche sul versante

contributivo con l’aumento delle aliquote contributive per artigiani e commercianti,

rientra il cumulo pur con limiti.

Nel 2004 arriva lo scalone di Maroni per il quale aumenta l’età pensionabile

introducendo un gap di tre anni tra coloro che nel 2007 avrebbero raggiunto la

pensione e altri che sarebbero andati nel 2010 per una manciata di mesi di differenza,

tale sistema venne abolito con l&rsquo

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A.A. 2015-2016
51 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/09 Finanza aziendale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher matteolimpia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sistemi fiscali comparati e politiche di welfare e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Ambrosanio Maria.