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2. REGIMI DI POST-TOTALITARISMO MATURO;
3. REGIMI DI POST-TOTALITARISMO CONGELATO.
I regimi di post-totalitarismo iniziale: sono quelli che hanno appena intrapreso il
• processo di cambiamento. La loro leadership non può più essere carismatica, poiché non è
più quella del fondatore del regime, ma si è sostanzialmente trasformata in leadership
burocratica ed è diventata spesso collegiale (es. Corea del Nord);
i regimi di post-totalitarismo congelato: comporta la tolleranza di alcune attività
• critiche della società civile, che sono suscettibili di tradursi nella creazione di gruppi e
associazioni. Il regime mantiene comunque intatto o quasi l’insieme dei suoi meccanismi
di controllo;
i regimi di post-totalitarismo maturo: sono quei regimi in cui soltanto il ruolo del
• partito non viene messo in discussione. Tutte le altre componenti (ideologia,
mobilitazione, neo-pluralismo sociale e leadership) sono profondamente mutate
(esempio, possibile e discutibile: Cina). 31
Crisi e trasformazione dei regimi totalitari
Nei regimi totalitari, il pluralismo può emergere quando fa la sua comparsa una dialettica
politica “potere politico/società”, che finisce per incrinare il regime totalitario. Questa
dialettica può assumere 3 diverse forme:
1. può essere il prodotto di una SCELTA consapevole della leadership totalitaria, che mira a
mantenere il potere controllando il grado di apertura del regime;
2. può derivare da un’inarrestabile DECADENZA delle componenti totalitarie: ideologia che
si svuota, mobilitazione che diventa puro rituale burocratico, invecchiamento della
leadership, comparsa di sacche di resistenza al partito unico;
3. può essere il prodotto di una CONQUISTA SOCIALE a opera dei gruppi che, per ragioni
diverse, si erano visti riconoscere qualche spazio di organizzabilità nella sfera economica
e socio-culturale, oppure lo avevano gradualmente conquistato.
La dinamica autoritaria: origine e trasformazione
Nel corso dell’allargamento del suffragio e dell’espansione della partecipazione politica, si
producono tensioni fra i gruppi sociali già collocati all’interno del sistema politico in
posizione di rilievo (i detentori del potere) e gruppi sociali relativamente, ma non
completamente, emarginati (gli “sfidanti”). Il regime autoritario può essere interpretato come
l’esito dello scontro tra detentori del potere e “sfidanti”.
Il regime autoritario, inteso come l’esito dello scontro tra detentori del potere e “sfidanti”, può
essere il prodotto di:
Un’opposizione al processo di democratizzazione
I regimi autoritari risultano il prodotto della vittoria dei gruppi che si oppongono alla
democratizzazione sui gruppi che la desiderano.
una democratizzazione interrotta
I regimi autoritari risultano il prodotto di una democratizzazione tentata in maniera troppo
rapida, rimasta incompiuta e ripiegatasi su se stessa.
Il crollo dei regimi autoritari
L’obiettivo implicito dei regimi autoritari tradizionali consiste nel contenere il ritmo del
mutamento socio-economico, nel controllarlo e, se possibile, nel rallentarlo, al fine di
evitare una mobilitazione dei settori popolari e, eventualmente, di rintuzzare le richieste
di qualche libertà d’azione da parte delle classi medie.
I regimi autoritari falliscono quando si producono cambiamenti positivi, quando si ha
sviluppo economico, in special modo se non voluto dal regime autoritario.
Grazie alla limitata pluralità delle organizzazioni tollerate, alla scarsa e rara mobilitazione, alla
sopravvivenza di mentalità tradizionali che non diventano ideologia formalizzata, al potere
discrezionale ma non totalmente sregolato del leader, i regimi autoritari “classici”
manifestano una notevole capacità di durata.
I REGIMI MILITARI
Samuel Huntington (1968) ha definito PRETORIANESIMO il fenomeno dell’intervento dei
militari in politica e ne ha identificato 3 FASI specifiche, a seconda del livello di
partecipazione politica:
1. OLIGARCHICO: quando la partecipazione politica è limitata a cricche e clan. In questo
caso i militari hanno per obiettivo, per lo più limitato, l’acquisizione di qualche privilegio
di carriere e status, mediante l’esercizio contenuto della violenza;
2. RADICALE: quando la partecipazione politica è estesa fino a comprendere le classi medie.
Se i militari intervengono nella sfera politica, lo fanno a sostegno di alcuni gruppi della
classe media contro altri e esercitando un livello medio di violenza; 32
3. DI MASSA: quando la partecipazione è estesa fino a comprendere anche le masse
popolari, organizzate o in partiti di sinistra oppure mobilitate in movimenti, anche
populisti. L’intervento dei militari, inteso a bloccare preventivamente o successivamente
l’accesso al governo dei rappresentanti delle masse popolari, si traduce in veri e propri
governi militari, di durata variabile. In questi casi, il livello della violenza può diventare
molto elevato.
L’uscita dei governi militari dalla sfera politica risulta sempre un processo alquanto
complicato e assume abitualmente 3 forme:
1. SCONFITTA politica dei militari, spesso derivante da una sconfitta militare (es. Grecia
1974, Argentina 1982, Cile 1988);
2. DISIMPEGNO volontario, spesso di fronte all’ostilità crescente della società, ma negoziato
(come in Urugay nel 1985), e ripetutamente contrattato (come in Thailandia), anche da
posizioni di forza (come in Brasile nel 1982);
3. GOLPE NEL GOLPE, attraverso la sostituzione degli ufficiali interventisti a opera di
ufficiali “costituzionalisti”, che si impegnano a restituire il potere ai politici (es. Perù dopo
il 1974, Nigeria diverse volte negli anni ’70, ’80, ’90).
Nel corso degli anni ’70, ’80 e ’90, i tentativi di introduzione o sostituzione dei regimi militari
sembrarono generalizzarsi, estendersi, consolidarsi e avere duraturo successo, soprattutto in
America Latina e in Medio Oriente.
Con riferimento a questo fenomeno, O’Donnell (1973) ha teorizzato la nascita e il
consolidamento di regimi definibili come BUROCRATICO-AUTORITARI, destinati a mettere
profonde radici e dotati delle seguenti caratteristiche:
la base sociale è rappresentata da una borghesia oligopolistica e transnazionale;
gli specialisti della coercizione, i militari, hanno un ruolo decisivo;
i settori popolari sono esclusi;
le istituzioni democratiche e i diritti di cittadinanza sono liquidati;
il sistema di accumulazione capitalistica rafforza le disuguaglianze nella distribuzione
delle risorse sociali;
la struttura produttiva viene “transnazionalizzata”;
criteri di presunta neutralità, obiettività e razionalità tecnica vengono utilizzati per
spoliticizzare le tematiche salienti;
i canali di accesso alla rappresentanza, chiusi per i settori popolari e gli interessi di classe,
servono le forze armate e le grandi imprese oligopolistiche.
Transizioni e trasformazioni dei regimi militari
La transizione dei regimi autoritari caratterizzati da una presenza cospicua o dominante dei
militari è fortemente condizionata dall’organizzazione militare al governo.
A tal proposito, si possono individuare 2 casi generali:
L’istituzione militare è rimasta gerarchicamente intatta e, perciò, decide tempi e modi
- della transizione, e negozia con i civili oppure sceglie i civili a cui restituire il potere
politico. La transizione risulta morbida e controllata.
Quando gli ufficiali al governo hanno sovvertito la gerarchia dell’organizzazione
- militare (come i colonnelli greci), i militari non sono in grado né di negoziare né di
controllare la transizione, che, di conseguenza, risulterà alquanto complicata. 33
PARTITI, ELEZIONI E SISTEMI DI PARTITO (Cap. 5, pag 138)
Definizioni di partito politico: La maggioranza degli studiosi richiede che l’organizzazione
da definire come “partito” debba essere:
dotata di strutture tali da consentire la partecipazione dei suoi iscritti;
- in grado di formulare un programma di politiche pubbliche;
- in condizione di durare per più di una tornata elettorale.
- Per Max Weber (1918), i partiti «sono nella loro intima essenza delle organizzazioni
• liberamente create e miranti a un reclutamento libero; il loro fine è sempre la ricerca dei
voti per elezioni a cariche politiche».
Per Giovanni Sartori (1976), «un partito è qualsiasi gruppo politico identificato da
• un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le
elezioni (libere o no) candidate alle cariche pubbliche».
Per Anthony Downs (1957), un partito è una «compagine di persone che cercano di
• ottenere il controllo dell’apparato governativo a seguito di regolari elezioni». «I partiti
formulano proposte politiche per vincere le elezioni; non cercano di vincere le elezioni
per realizzare proposte politiche».
I Partiti politici moderni perseguono:
- la ricerca di voti (vote seekeing);
- l’assegnazione di cariche pubbliche (office seeking);
- la realizzazione di specifici programmi (policy seeking).
Le funzioni di INPUT o rappresentative dei partiti (Funzioni BOTTOM-UP)
- integrazione e mobilitazione dei cittadini: l’azione dei partiti rende operativa nella mente e
nei cuori dei cittadini l’idea di una più ampia comunità politica.
Organizzano la partecipazione, il che implica un’attività di socializzazione e filtraggio
delle domande che urgono “dal basso”;
Creano integrazione, cioé collegamenti stabili tra centro e periferia, tra elettori ed
istituzioni, tra governanti e governati
Canalizzano nel sistema politico masse di cittadini prima escluse;
Sono anche strumenti per modificare l’ordine politico;
Regolano e moderano i conflitti e fanno da tramite per le domande dei cittadini alle
istituzioni.
- strutturazione del voto: rientrano in questa funzione, tutte quelle attività definite
genericamente di electioneering e che hanno a che fare con la formazione degli orientamenti
politici e delle opinioni degli elettori, con la propaganda, con la necessità di assicurare un
collegamento tra candidati e partiti e con l’organizzazione delle campagne elettorali.
- aggregazione degli interessi: questa funzione é stata mesa a fuoco da Almond e Powell nel
1978 in quanto con questa funzione si entra nel cuore della rappresentanza politica. Si
riferisce al fatto che le molteplici domande dei cittadini verso il sistema politico, vengono
trasformate in alternative politico-programmatiche generali. Qui il partito svolge la funzio