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Appunti riguardo le prime deditazioni metafisiche Pag. 1
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Prima Meditazione – Di che cosa si ha ragione di dubitare

Cartesio investe il pregiudizio che sia vero ciò di cui siamo informati dai sensi. Data

una qualsivoglia percezione sensibile, potrebbe sempre darsi che essa sia illusoria,

perché non si dispone di un criterio sicuro per distinguere quelle illusorie da quelle che

non lo sono. C’è quindi un genio malvagio che impieghi tutta la sua abilità

nell’ingannarci sistematicamente? Forse ma ben più debole di Dio, non estendendosi

fino a mettere in forse le essenze matematiche e la nostra conoscenza evidente.

Da qui inoltre inizia il precetto metodico di considerare falso tutto ciò che scopra

anche di minimamente dubitabile.

Seconda Meditazione – La mente umana e come la si conosca meglio dei

corpi

In questa meditazione, si esce dal dubbio dopo che lo si è portato alla sua estensione

maggiore. Non si potrà mai darsi che non esista un io che dubita, perché non appena

formuliamo un io dubito, automaticamente si rovescia l’eventualità che io esista. La

struttura del cogito è: (1) necessariamente ( se X pensa, allora X esiste), (2) ma io

penso; - dunque io esisto.

Il pensare non è quindi una funzione come le altre, ma costituisce la mia natura. Alla

cosa pensante, Cartesio riserva il termine mente, in alternativa ad anima, per evitare

le implicazione di quest’altro termine in direzione della vitalità. Qui però non si esclude

ancora il materialismo, si verificherà successivamente se noi si sia o no soltanto cose

pensanti, con esclusione del corpo.

Per dimostrare come anche la conoscenza dei corpi rimanga inferiore alla conoscenza

di noi stessi in quanto pensiamo, viene mostrato l’esempio della cera. Quel che sia la

cera non possiamo saperlo, né con i sensi e neppure con l’immaginazione, perché le

innumerevoli forme geometriche che acquisisce quando si liquefa non possono essere

comprese con l’immaginazione, ma solo con l’intelletto, perché tutto quel che ha a che

fare con l’infinito è di pertinenza esclusiva dell’intelletto.

Terza meditazione – Esistenza di Dio

Qui c’è la messa a fuoco, con andamento metodologico, del problema per poter

avanzare nella ricerca, ovvero riprendendo dal cogito se non si possa ricavare, per

generalizzazione il criterio stesso della verità.

L’unico modo per procedere passa per un’indagine sistematica sui nostri pensieri. Si

da intanto una netta distinzione tra idee e giudizi (le prime con un contenuto) e

successivamente anche una classificazione delle prime, passando a considerare le

idee supposte avventizie. Le sole che sembrano venirci dal di fuori, che ci farebbero

uscire dal nostro pensiero assicurandoci l’esistenza anche di altro. Si inizia quindi

parlando della somiglianza che di solito si dà per scontato che intercorra fra le cose

materiali e le idee che ne abbiamo per arrivare alla questione che ripercorre tutte le

meditazioni sulle qualità sensibili: sono oggettive o soggettive? Oggettive significa

appartenenti ai corpi indipendentemente dal loro essere sentiti o meno; e soggettive

appartenenti al solo senziente. Se fossero soggettive le nostre idee non sarebbero

simili ad esse. Per cui il dubbio sulle cose materiali si sdoppia: oltre che sulla loro

esistenza, anche sulla loro somiglianza.

Si dovrà vedere quindi se dalla via delle idee si possa risalire a un’origine certa di

diverso dal soggetto che mediti, muovendo quindi dal contenuto stesso delle idee

cominciando quindi col considerarle in se stesse. L’unica che consenta quanto

desiderato sarà l’idea di Dio.

Cartesio prende in considerazione la nozione di realtà oggettiva. Per realtà o

perfezione si intende l’essere stesso, sinonimo di realtà e la realtà perfezione sono i

gradi dell’essere. Inoltre la realtà o perfezione può essere formale, in quanto

rappresentata e oggettiva, ogni realtà in sé stessa. La realtà formale del pensiero sta

nell’essere modi del pensiero; per cui le idee sono l’unica cosa ad avere tutte e due le

realtà, tanto quella formale che quella oggettiva. La realtà oggettiva di un’idea non

può che provenire da qualche causa in cui sia contenuta almeno altrettanta realtà

formale, poiché il nulla non fa nulla. Dobbiamo quindi trovare un’ide la cui realtà

oggettiva sia tale che si possa esser certi che non altrettanta realtà si trova in noi né

formalmente né eminentemente e perciò non se ne possa essere noi la causa.

Dell’idea di Dio non è possibile che si sia noi la causa perché la sua realtà oggettiva (la

rappresentazione di quel che Dio è, della sua essenza) ha un grado di realtà che

sovrasta di netto il grado di realtà – formale, questa – che è proprio della nostra

mente. L’infinito pensato è sicuramente meno dell’infinito in atto ma è di più qualsiasi

realtà finita, seppure in atto, formale.

Questa dimostrazione ha la stessa struttura dell’altra sola inferenza di per sé

invulnerabile dal dubbio, il cogito: (1b) il meno non fa il più; (2) io ho l’idea di Dio; (3)

la realtà oggettiva dell’idea di Dio è più che non la mia realtà formale; - Dio esiste.

Un’altra dimostrazione dell’esistenza di Dio è introdotta per venire incontro alle

abitudini di pensiero comuni. E’ la dottrina della creazione continua: la conservazione

di ente finito viene identificata come una vera e propria nuova creazione di esso in

ogni frazione del tempo.

Quarta Meditazione – Il vero e il falso

Questa meditazione comincia con l’enunciazione della voracità di Dio, risolvendo il

dubbio avanzato nella prima a proposito dell’onnipotenza di Dio, che adesso ci appare

in contraddizione con qualsiasi ipotesi di inganno diretto o indiretto.

Più avanti, Cartesio avanza degli argomenti per sostenere la compatibilità degli errori

umani con la veracità di Dio, partendo da una domanda: l’errore umano è negazione

(mancanza) o privazione (mancanza in un ente)? Solo in questo secondo caso il difetto

è reale e Cartesio risponde con tre argomenti sul perché Dio lo consenta:

- Primo: l’insuperabile ignoranza dei fini di Dio da parte degli uomini;

- Secondo: per valutare adeguatamente il creato, va considerato nella sua totalità,

senza isolare creature singole;

- Terzo: la spiegazione classica del peccato dell’uomo: la libertà del volere umano. Solo

nel giudizio si può trovare falsità o l’errore perché a giudicare infatti è la volontà, il

libero arbitrio. L’intelletto invece è una facoltà passiva, e perciò l’errore non è mai

imputabile a esso.

L’errore dipende allora dalla differenza fra l’intelletto e la volontà in quanto alle

rispettive estensioni: l’intelletto è sempre finito, più o meno limitato, mentre la volontà

non ha limiti. Per evitare l’errore basta allora che si sospenda il giudizio tutte le volte

che ciò su cui si abbia la tentazione di giudicare non sia chiaro e distinto. Ed ecco

allora l’errore umano assimilato al peccato, l’errore è senz’altro un difetto che non

dovrebbe macchiare una creatura razionale, è privazione e non mera negazione.

Dio ne esce discolpato per aver dato all’uomo un intelletto limitato, perché questa è

una negazione e non una privazione e la conclusione all’interrogativo è l’errore umano

è privazione in rapporto all’uomo e negazione in rapporto a Dio.

Certo, Dio, avrebbe potuto fare in modo che evitassimo di errare, ma a questo Cartesio

fa una considerazione di tipo estetico: nel complesso delle creature è meglio che ce ne

siano di tutti i generi.

Quinta meditazione – L’essenza delle cose materiali, e di nuovo sull’esistenza

di Dio

Cartesio si sposta qui sulle cose materiali, muovendo sempre dalle idee che ne

abbiamo, indipendentemente dal fatto che esistano o no.

Di un corpo concepiamo quindi le caratteristiche quantitative (le qualità primarie) e le

idee di esse sono innate (né avventizie né fattizie), perché gli enti matematici sono in

sé stessi nature, o essenze o forme immutabili, eterne. Gli enti e le verità hanno quindi

una sorta peculiare di essere, una sussistenza in sé che fa tutt’uno con la loro validità

intrinseca. E così viene risolto uno dei dubbi della prima meditazioni. Le essere e le

relative verità eterne sono stabilite liberamente da Dio e solo in virtù di tale decisione

di impongono a noi come assolutamente necessarie in senso logico.

Ne risulta quindi anche la possibilità che esse esitano perché la loro essenza è

estensione, quindi di natura matematica e conoscere l’essenza di qualcosa è già

sapere che può anche esistere.

E di nuovo una parentesi sull’esistenza di Dio, introdotta per analogia con le

dimostrazioni matematiche: Dio è per essenza l’essere perfettissimo, ma è ben

perfezione anche quella di esistere, quindi negarne l’esistenza equivale a sostenere

che l’ente perfettissimo manca di perfezione e l’ateo fa quindi un errore logico.

L’analogia di questa argomentazione con le dimostrazioni matematiche è nella

connessione logicamente necessaria fra un’essenza e una sua proprietà: fra Dio e la

sua esistenza dunque, così come fra un angolo, per esempio, e l’uguaglianza dei suoi

angoli a 180 gradi.

Conclude spiegando in cosa consista la garanzia che alla nostra conoscenza fornisce

Dio. La sua veracità ci assicura che non ci inganniamo a ritenere che quanto

concepiamo chiaramente e distintamente. Soluzione al dubbio nella prima

meditazione che io mi inganni a sommare 2 più 3, la veracità di tale di Dio, eliminando

tale dubbio ci garantisce appunto l’affidabilità dei nostri patrimoni di conoscenza.

Sesta meditazione – L’esistenza delle cose materiali, e distinzione reale della

mente dal corpo

Sempre sull’esistenza o meno delle cose materiali, qui si aggiunge che è oltre che

possibile anche probabile, perché per spiegare una facoltà come l’immaginazione

meglio di tutto sarebbe poter postulare che, allorché immagina, la mente umana si

risolva a qualche parte di un corpo a cui sia unita, trovandovi oppure proiettandovi

figure di cose materiali. Naturalmente l’immaginazione è una forma del pensiero, ma

non costitutiva dell’essenza della mente. Questa acci

Dettagli
A.A. 2017-2018
5 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher JulieDeCorrencon di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia della mente e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Lanfredini Roberta.