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LA LEGITTIMAZIONE AD INVOCARE LA RESPONSABILITà DELLO STATO
Definite le regole che fissano le condizioni in base alle quali sorge la responsabilità
internazionale ed il contenuto degli obblighi che incombono allo stato responsabile, si
tratta di individuare lo stato nei cui confronti tali obblighi sono dovuti, e che quindi è
legittimato ad invocarne il rispetto. Principio generale è che tale legittimazione spetta
allo stato leso, cioè allo stato nei confronti del quale era dovuto il comportamento
prescritto dalla norma primaria violata e che pertanto ha visto pregiudicati i diritti da
essa nascenti. L’individuazione dello stato leso è più complessa nel caso di violazione
di una norma consuetudinaria stabilita in un trattato multilaterale che obbliga ad un
comportamento dovuto nei confronti di un gruppo di stati o addirittura dell’intera
comunità internazionale. secondo la commissione del diritto internazionale uno stato
potrà essere considerato stato leso ancorchè un comportamento non fosse
specificamente dovuto nei suoi confronti purchè la violazione lo tocchi in modo
particolare o abbia tale natura da modificare radicalmente la posizione di tutti gli altri
stati nei cui confronti sussisteva l’obbligo in relazione all’ulteriore suo adempimento.
Uno stato diverso dallo stato leso può invece invocare la responsabilità di un altro
stato solo se l’obbligo sussisteva nei confronti di un gruppo di stati, incluso quello che
invoca la responsabilità, ed era inteso a proteggere un interesse collettivo del gruppo
oppure era dovuto nei confronti dell’intera comunità internazionale. sebbene la
responsabilità sorga quale automatico effetto giuridico dalla commissione dell’illecito
la sua messa in opera è condizionata ad un’effettiva reazione dello stato legittimato ad
invocarla. Tale invocazione deve necessariamente consistere in passi in qualche
misura, formali. Lo stato che intende invocare la responsabilità internazionale di un
altro stato deve darne comunicazione allo stato la cui responsabilità è messa in gioco
e indicano che in tale comunicazione debba essere specificata la condotta che si
ritiene che lo stato responsabile debba tenere per far cessare l’atto illecito e in quale
forma la riparazione deve aver luogo.
Di regola spetta allo Stato leso o riguarda specialmente quello Stato, o ii) è di natura
tale da codificare radicalmente la posizione di tutti gli altri Stati nei confronti dei quali
l’obbligo sussiste rispetto al successivo adempimento dell’obbligo.
In diritto sorge automaticamente, ma nella prassi si richiede una formale reazione:
Comunicazione da parte di uno Stato leso
Articolo 43 Progetto
1. Uno Stato leso che invoca la responsabilità di un altro Stato deve dare
comunicazione della sua domanda a tale Stato.
2. Lo Stato leso può precisare in particolare: a) il comportamento che lo Stato
responsabile dovrebbe tenere per porre fine all’illecito, se perdura; b) la forma che la
riparazione dovrebbe assumere
A meno che siano esperibili da parte dei singoli quei particolari meccanismi volti a far
valere in un’adeguata sede processuale internazionale gli inadempimenti relativi ad
eventuali violazioni da parte degli stati dei diritti umani riconosciuti a loro favore, deve
ritenersi che non sussista una responsabilità nei confronti del privato e che quindi i
singoli non abbiano il potere di invocare la responsabilità internazionale dello stato,
per trarne le conseguenze da essa classicamente derivabili.
L’esistenza di sistemi giuridici speciali di diritto internazionale nei quali le norme
primarie sono collegate a speciali regole secondarie relative alla responsabilità che
deriva dalla loro violazione, in modo che tale violazione delle norme primarie
appartenenti al sottosistema comporta le conseguenze da questo previste e non le
conseguenze generali.
Una responsabilità per un atto internazionalmente illecito può insorgere in capo ad
ogni soggetto di diritto internazionale che violi un obbligo internazionale.
LA REAZIONE ALL’ILLECITO: LE CONTROMISURE
Per essere legittime: i) debbono consistere nel non-adempimento di obbligazioni cui lo
Stato leso era altrimenti tenuto; ii) debbono essere reversibili; iii) non possono
implicare l’uso della forza, la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo o del diritto
umanitario; iv) debbono essere proporzionate al pregiudizio subito dallo Stato leso; v)
debbono essere limitate nel tempo; vi) Lo Stato leso deve avere richiesto la piena
riparazione, reso nota la sua intenzione di adottare contromisure, offrendo la
disponibilità a un negoziato.
L’USO DELLA FORZA E IL SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVA DELLE NAZIONI
UNITE
Nel diritto internazionale classico, l’uso della forza e della forza armata in particolare,
veniva considerato come appartenente alla struttura tipica della comunità
internazionale, mezzo fisiologico per la soluzione di controversie, giuridiche o politiche,
inerente la natura di stato sovrano, che coesiste a fianco di altri stati egualmente
sovrani. La posizione di supremazia di cui gode lo stato nei confronti dei soggetti
dell’ordinamento interno giustifica qui il monopolio dell’uso della forza. La guerra
determina una serie di conseguenze giuridiche tipiche di un particolare stato
stato di guerra.
dell’ordinamento internazionale che prende il nome di Nel XIX secolo,
e fino alla Prima Guerra Mondiale la guerra è una procedura lecita in cui i belligeranti,
per il diritto internazionale, si collocano su di un piano paritario. Si assiste alla
creazione di un corpo di norme che hanno ad oggetto il modo di fare la guerra e il
comportamento dei belligeranti.
L’affermazione del divieto di ricorrere alla forza
L’evoluzione tecnologica e la progressione degli armamenti fecero della prima guerra
mondiale anche per il numero degli stati coinvolti, un’occasione di riflessione su come
la guerra potesse mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dell’umanità. Si ha un
primo tentativo di abolire il ricorso alla forza armata con la stipulazione del Patto della
Società delle Nazioni approvato il 28 aprile 1919 ed entrato in vigore il 10 gennaio
1920. Non si trattò di una rinunzia assoluta alla guerra in quanto si stabiliva l’impegno
di non ricorrere in determinati casi alle armi. Le lacune del patto vennero presto
evidenziate dall’aggravarsi della tensione nelle relazioni internazionali, che sarebbe
poi sfociata nella Seconda Guerra Mondiale, la quale segnò anche l’insuccesso della
Società delle Nazioni, il cui scioglimento venne deliberato dall’organo assembleare il
18 aprile 1946. La rinuncia alla guerra per la soluzione delle controversie internazionali
è contenuta nel Trattato di Parigi del 27 agosto 1928. Le controversie internazionali
dovevano trovare soluzione esclusivamente attraverso mezzi pacifici. Il divieto di uso
della forza è espresso in alcune Dichiarazioni di principi dell’assemblea generale delle
nazioni unite e in particolare nella dichiarazione relativa ai principi di diritto
internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli stati, in
conformità della carta delle nazioni unite (24 ottobre 1970). L’importanza delle
dichiarazioni di principi adottate dall’assemblea generale delle nazioni unite ai fini
della rilevazione della norma consuetudinaria ha trovato conferma ne caso delle
attività militari e paramilitari in Nicaragua contro il Nicaragua. Il divieto di ricorrere alla
minaccia e all’uso della forza è quindi prescritto da una norma di diritto internazionale
consuetudinario, il cui operare non è condizionato dai limiti di applicazione dei
meccanismi istituzionali della carta.
La nozione di forza vietata
Il divieto di ricorrere alla minaccia o all’uso della forza non è assoluto: altre norme
consentono agli stati, sia pure eccezionalmente, di ricorrere alla forza es. per la
legittima difesa. Non sembra deducibile, la possibilità di un uso legittimo della forza da
parte degli stati per il conseguimento di obiettivi genericamente compatibili ai fini
della carta, al di fuori di norme che lo consentono specificamente. Occorre definire
cosa si intenda per forza il cui impiego è vietato dalla norma, potendosi accogliere
l’espressione in senso lato, comprensiva della forza economica, politica o psicologica o
in un senso più ristretto alla sola forza armata.
La forza internazionale e la forza interna
La forza armata il cui uso è oggetto del divieto consuetudinario è la forza
internazionale ovvero l’uso della forza nelle relazioni internazionali dello stato agente,
si che rimane senza rilievo, in via di principio, l’uso che lo stato faccia della forza
armata all’interno dei confini in cui esercita la sovranità territoriale. L’uso della forza
interna da parte dello stato potrà determinare una situazione in cui si ravvisino gli
estremi della minaccia alla pace ai sensi dell’art.39 della Carta. Il divieto di ricorrere
alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali ha come corollario
l’obbligo per lo stato di fare ricorso ai mezzi pacifici per la soluzione delle controversie
con altri stati.
Il divieto di minaccia dell’uso della forza
La norma non vieta il solo impiego della forza, proibendone anche la semplice
minaccia, consistente nell’esplicito annuncio dell’impiego della forza delle armi al
verificarsi o al non verificarsi di un ceto accadimento o ad una certa data. Non si
esclude che la minaccia possa essere avanzata implicitamente e quindi formulata
attraverso comportamenti concludenti, per mezzo dei quali uno stato evidenzi la sua
volontà di ricorrere in futuro alla forza armata nei confronti di un altro stato. Con
riferimento all’armamento nucleare, la Corte ha precisato che la sussistenza di una
minaccia vietata dall’art.2.4 della carta non dipende dal tipo di arma il cui impiego è
minacciato, quanto piuttosto dalla liceità del ricorso alla forza che con la detenzione
dell’arma si vuole prospettare. La corte non esclude il diritto degli stati di ricorrervi in
una circostanza estrema di legittima difesa in cui sia messa in discussione la
sopravvivenza stessa dello stato.
Le eccezioni al divieto. la legittima difesa
È pacificamente ammessa l’esistenza di una prima fondamentale eccezione che va
sotto il nome di legittima difesa o autotutela e che è prevista anche nel sistema della
carta all’art.51. il diritto all’autotutela individuale o collettiva è oggetto di una
previsione di diritto internazionale generale, come del resto riconosce anche l’art.51
della carta riferendosi