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CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO
(1790); È possibile che l'esperienza estetica, pur nella sua soggettività, possa avanzare una pretesa di universalità e necessità? Nel caso ciò sia possibile, quali sono le condizioni che fondono questa pretesa?
FAINOMAI, FENOMENO (DAL GR. "APPARIRE") → E ciò che appare, la realtà così come appare al soggetto. L'autore si domanda se le cose in sé stesse sono come esse appaiono al soggetto, rispondendosi che tra le cose in sé e i fenomeni non c'è corrispondenza e che il soggetto non possa conoscere o esperire le cose così come esse sono in se stesse (il soggetto non può quindi uscire dall'ambito del fenomeno).
La realtà che noi conosciamo ed esprimiamo è strutturata e organizzata dal soggetto: vi è un radicale cambiamento di prospettiva nell'ambito della conoscenza, paragonato da Kant alla rivoluzione copernicana.
Così come Copernico ha affermato che è la Terra a girare intorno al Sole, Kant, per spiegare la conoscenza, afferma che è l'esperienza rappresentazionale del soggetto a caratterizzare la conoscenza. Il fenomeno è la realtà così come è data dalla materia offertaci dalla sensibilità e è strutturata dalle forme universali e necessarie della soggettività. Queste forme sono a priori (non derivano da esperienza) e trascendentali (principi che rendono possibile la realtà così come noi l'esperiamo e la conosciamo oggettivamente). L'uomo è dotato di sensibilità e spazio e tempo accolgono ciò che ci è dato sensibilmente, mentre l'intelletto unifica i dati sensibili ed è dotato di principi organizzativi detti categorie/concetti puri. La materia è data e strutturata dalla realtà secondo spazio, tempo e...organizzata secondo causa/effetto). Dato che la materia ci è data e non è creata da noi, si presuppone che ci sia un qualcosa che esista indipendentemente da noi e che modifichi la nostra sensibilità. Kant la definisce la "cosa in sé": appartiene a un ambito pensabile o noumenico, ossia "pensare". Dato che è pensabile ma non conoscibile e non è dimostrabile se esista o meno. Essendo pensabile e non conoscibile viene definita come un'idea della ragione. La facoltà razionale umana si distingue in: INTELLETTO: facoltà razionale applicata solo a ciò che si può conoscere, che si riferisce al fenomeno, ossia l'unica realtà per noi concretamente esperibile in quanto sensibilmente connotata. RAGIONE: facoltà razionale applicata a ciò che è pensabile ma non conoscibile, che produce idee (pensieri che trascendono la nostra esperienza o conoscenza della realtà) a cuiNon corrisponde nessuna esperienza sensibilmente connotata. Le idee dellaragione sono vuote perché non producono alcuna conoscenza. L'idea di totalità, l'idea di infinità, l'idea di eternità, l'idea di Dio e l'idea di libertà. Osservazioni su quest'ultima: Sul piano fenomenico vale il principio di causalità (ogni evento ha sempre una causa che lo determina necessariamente). Sul piano fenomenico, va esclusa l'idea di una causa libera, ossia che non sia a sua volta l'effetto di un'altra causa, in quanto nel mondo dei fenomeni vige il determinismo assoluto. Non si esclude che esista una realtà noumenica (cioè pensabile) in cui vi sia una causa libera: accanto al mondo che noi conosciamo è pensabile, anche se non conoscibile, un mondo in cui viga un agire secondo libertà. Non esclusione importante in rapporto all'uomo: si sottrae all'agire umano al.determinismo del mondo fenomenico, riconoscendogli una dignità che lo pone su un piano fenomenico a cui egli appartiene - ciò Critica della ragione pratica. avviene nella Critica della ragione pratica morale fornisce i motivi che ci impongono di pensare la realtà della libertà umana: se l'uomo non fosse libero non sarebbe responsabile delle sue azioni; ciò che ci impone di dire che l'uomo è dotato di libero arbitrio e la forma con cui si impone la legge morale, cioè come un dovere assoluto e incondizionato, ossia un imperativo categorico (es. Non rubare!) - devo dunque posso. ratio essendi ratio cognoscendi La libertà e la della legge morale, mentre la legge morale è la della libertà (ci permette di postularne l'esistenza). La forma dell'imperativo categorico (il dovere assoluto) ci mostra come l'uomo non segua spontaneamente la legge morale, in quanto se lo facesse non ci sarebbe bisogno
Della forma imperativa. Se l'uomo non segue spontaneamente la morale è perché appartiene sia al mondo noumenico della libertà sia a quello fenomenico della necessità: egli è incline a seguire i suoi desideri e le sue inclinazioni sensibili. La legge morale ci impone spesso il sacrificio o la repressione dei nostri desideri: è difficile, quasi impossibile, che ciò che devo fare incondizionatamente vada incontro ai miei desideri e alle mie inclinazioni. Svela la grandezza dell'uomo, il suo eccedere il mondo fenomenico, cioè il mondo della natura a cui pur appartiene, ma condanna l'uomo a una scissione che sembra insuperabile (dato che implica la sua appartenenza sia al mondo noumenico che a quello fenomenico, e quindi contrappone libertà e necessità). Per risolvere questo problema si deve fare riferimento alla critica delle facoltà di giudizio, dedicata alla riflessione del giudizio estetico, definito.
da Kant come giudizio di gusto. L'esperienza estetica non ci fa conoscere l'accordo di questi due mondi ma ci permette di sperare in esso. La critica della facoltà di giudizio -> due tipi di giudizio: 1. Giudizio determinante: l'universale è dato ma non il particolare (che è dato dall'esperienza). È confutabile (può essere corretto), oggettivo (ci fa conoscere la realtà ed è il modello di giudizio scientifico) e non mi dice nulla sul bello (perché esso non è un concetto né un universale in quanto sottoposto a oggettività). 2. Giudizio riflettente: il particolare è dato ma non l'universale. È un giudizio formulato sulla base dei sentimenti che una cosa suscita, riflettendo la soggettività di chi lo esprime. Non è confutabile. Il giudizio estetico è un giudizio di gusto, in quanto giudichiamo qualcosa come bello in riferimento al sentimento di piacere che suscita.suscita in noi una cosa. L'indagine si sposta dall'oggetto al soggetto, in quanto si indaga il tifo di sentimento di piacere che deve provare un soggetto per giudicare bella una cosa e tenendo conto del fatto che non tutti i sentimenti di piacere si equivalgono. Si hanno quattro momenti del giudizio di gusto: 1. Qualità: il giudizio di gusto è disinteressato; bello è ciò che piace senza interesse. Si divide in piacere per il gradevole (soggettivo, esprime il bisogno di soddisfare un impulso sensibile e individuale ed è interessato all'esistenza dell'oggetto, in quanto se esso non esistesse non potrei soddisfare il mio impulso sensibile) e piacere per il bello (soggettivo, prescinde dal bisogno di soddisfare un impulso sensibile e individuale e non è interessato all'esistenza dell'oggetto, ma si concentra di più sul suo aspetto). Quest'ultimo viene considerato piacere puro. Si distingue il piacere per il bello dalPiacere per il buono, sia in senso morale (desiderato come fine in sé, è oggettivo, e quello che si prova nel fare una buona azione perché si aiuta ed è un piacere fortemente interessato, dato che spinge all'azione perché è mosso dal desiderio di realizzare un mondo giusto) e utile (ed desiderato come mezzo per realizzare un fine, non è soggettivo, il piacere che si prova nel trovare una cosa utile risiede nel fatto che permette di realizzare un fine ed è un piacere fortemente interessato, dettato dal fatto che quell'oggetto permette di realizzare i miei fini).
Quantità: il giudizio di gusto è singolare da un punto di vista logico ma universale esteticamente; il bello è ciò che piace universalmente senza concetto. Singolarità logica: un qualcosa è bello o meno unicamente in rapporto al sentimento di piacere o dispiacere che questa cosa suscita in me come soggetto, ed essa va di pari
Passo con la qualifica soggettiva del giudizio di gusto (dire che una cosa è bella non equivale a sostenere che tutte le altre cose uguali ad essa sono belle, altrimenti il bello sarebbe un concetto).
Universalità estetica: il giudizio di gusto ha una pretesa di universalità per la qualità particolare del piacere che vi è implicito. Nonostante il piacere sia individuale, esso ha carattere disinteressato, cioè prescinde dalle particolari inclinazioni sensibili dell'individuo o dai suoi specifici interessi individuali. È un piacere puro, non inquinato dalle inclinazioni sensibili individuali: trascende quindi la soggettività individuale e ha una pretesa di universalità, cioè l'esigenza di poter essere condiviso da tutti.
Relazione: il giudizio di gusto ha una conformità a scopi senza scopi determinati; bello è ciò che implica una finalità senza scopo. Il bello non coincide né con
laperfezione ( piena conformità dell'oggetto al proprio concetto) né con l'utile ( piena conformità dell'oggetto ad essere mezzo per un fine), perché altrimenti sarebbe riconducibile ad un concetto ( ma esso non è concettualmente determinato). L'oggetto che guarda lo giudico bello non perché adeguato al suo concetto o agli scopi per cui può servirmi, ma perché lo sento sfuggire a ogni determinazione oggettiva di ordine funzionale o cognitivo. Il piacere che detta giudizio ha un carattere libero e puro, non contaminato da interessi pratici o conoscitivi per l'oggetto: contemplo ogni cosa per se stessa e per sentirla avere una finalità indeterminata che trascende ogni sua funzionalità concettuale. Il carattere libero del bello e del giudizio estetico pare essere messo in dubbio dalla bellezza aderente, che ritieni che ci siano degli oggetti la cui bellezza non può prescindere dalla loro
conformità a scopi sia interni (perfezione) che esterni