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In questo periodo Benjamin si trova in estrema precarietà poiché in esilio, e l’unica fonte di
sostentamento è una rivista con la quale collabora: “La rivista per la ricerca sociale”.
sul concetto di storia’
Nel 1939/40 scrive la prima ‘Tesi è dedicata ad un immagine: un automa, un
fantoccio in veste di turco scacchista, che era stato costruito nella metà del Settecento dal barone
von Kempelen. La storia assomiglia ad una scacchiera e c’è il turco scacchista vince sempre ogni
partita. Ma è un illusione credere che il turco scacchista sia autonomo, c’è un gioco di specchi che
copre il fatto che sotto la scacchiera c’è un gobbo. Il gobbo raffigura la la teologia senza la quale il
materialismo storico non può vincere la partita intorno alla storia. La teologia, piccola e brutta, è
introdotta da Benjamin perché essa porta con se la questione della rammemorazione. Tutte le tesi
sul concetto di storia sono proiettate a redimere il passato, a rispondere all’esigenza di giustizia che
sale dai vinti.
L’‘angelus novus’ dell’acquarello di Klee è come la storia, una figura rivolta all’indietro, l’angelo
vede che la storia è nient’altro che un cumulo di macerie e un’interrotta catastrofe. Tutte le ‘tesi sul
concetto di storia’ sono percorse dall’idea di non affidare le speranze della lotta al fascismo e al
nazismo semplicemente considerandoli come parentesi, ma come il precipitato di forze che sono
state sempre presenti nella tradizione e l’idea di non affidarsi a leggi meccaniche e all’idea di
progresso ineluttabile ma cercare di tirare il freno a mano della locomotiva della storia.
“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”
Bisogna considerare la singolarità di questo saggio, perché oltre che essere un saggio sul destino
dell’arte in virtù dell’impatto con il principio della riproducibilità tecnica, è anche un saggio “work in
progress” perché nessuna delle versioni è quella definitiva. Ma questo, come Benjamin nelle parti
dell’ultimo manoscritto attesta, sta in rapporto anche con certi aspetti dirompenti dell’arte a lui
contemporanea e in particolare c’è un nesso tra il senso nuovo
dell’opera d’arte che si affaccia nelle riflessioni di Benjamin e il
gesto radicale di Marcel Duchamp. Duchamp, a partire dalle opere
ruota di bicicletta” di rovesciato”,
come “la e “l’orinatoio attacca
l’idea che l’opera d’arte debba essere solo una bellezza per la vista
e liquida la sacrale autonomia dell’opera d’arte. Così Benjamin
vuole liquidare l’aura tradizionale dell’unicità e dell’originalità
dell’opera d’arte.
Lo stesso discorso vale per i negativi fotografici, in cui non
c’è un originale ma solo repliche. Con il cinema avanza un
nuovo modo di fare arte, a partire dalla compenetrazione tra
l’atto produttivo e la macchina stessa.
La frase con cui Benjamin annuncia ad Horkheimer la stesura dell’opera è:
“L’ora del destino dell’arte [...] è per noi suonata, e io ne ho fissato la segnatura (n.d.r. il modo con
d’arte
cui si incide nel tempo) in una serie di riflessioni provvisorie che portano il titolo: “L’opera
nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.”
La tesi generale è che l’opera d’arte è sempre stata riproducibile, anche se cambia qualcosa con le
nuove tecniche di riproducibilità. L’opera d’arte è sempre stata riproducibile, ad opera ad esempio
degli allievi nelle botteghe per replicare le opere del maestro, poi si sono affermate, ben presto,
alcune nuove tecniche di riproducibilità: il conio delle monete e la fusione del bronzo dei greci,
xilografia nel medioevo, l’acquaforte e la puntasecca nel ‘500, l’invenzione della stampa.
Benjamin fa una riflessione tra la rivoluzione avvenuta un Europa tra l’invenzione della stampa e la
riforma di Lutero, che hanno dato la possibilità di lettura di molti libri antichi, e con la diffusione di
tecniche, non più di riproducibilità della scrittura, ma di riproducibilità dell’immagine, con la
fotografia e il cinema. La tesi è che con fotografia e cinema si afferma qualcosa di inedito rispetto a
tecniche precedenti di riproduzione. Cioè si afferma un senso dell’opera d’arte nella sua origine
riproducibile, di per sé destinata alla riproduzione in massa. L’opera, l’immagine diviene visibile
senza dover esser trasportata.
Una frase di Paul Valerie, significative per Benjamin, insiste sul fatto che si trasforma il nostro senso
del tempo e dello spazio. Ciò significa che viene messa in crisi l’opera d’arte tradizionale, l’aura
dell’opera d’arte, come un incrocio di unicità e irripetibilità. Nel momento che l’immagine e l’opera
diviene riproducibile il soggetto della fruizione estetica non è più l’individuo nel suo isolamento, ma
è la massa, il pubblico.
La riproducibilità tecnica sconvolge il rapporto tra origine e tradizione, viene meno l’aura dell’opera
d’arte. Per Benjamin la nozione di aura è decisiva è importantissima: da quando c’è la riproducibilità
tecnica dell’opera d’arte (dopo invenzione stampa) viene a esser messa in crisi l’aura degli oggetti
storici ma anche di ciò che è tradizione storica e anche quella degli oggetti naturali. L’unico
esempio in positivo che da di aura è dedicata a un’esperienza della natura. Il declino dell’aura non
porta comunque alla scomparsa definitiva, perché per Benjamin l’esperienza dell’aura, che è in
qualche modo affine all’esperienza del bello, è la matrice dell’esperienza estetica.
Quando l’opera d’arte diventa riproducibile viene meno il suo valore cultuale (del culto) perché
un’opera d’arte riproducibile come la fotografia e il cinema, è destinata di per sé all’esposizione.
L’essere destinata all’esposizione può anche voler dire che l’arte entra nel circuito del mercato e del
consumo, ed è assoggettata a un altro rituale: quello della merce. Benjamin, però, vede una chance
in questo, perché c’è una trasformazione della nostra percezione della realtà. C’è l’idea che il
pensiero non si deve stringere alla tradizione, ma al presente, alla novità.
“L’aura è un singolare intreccio di spazio e tempo: l’apparizione unica di una lontananza, per
quanto vicino possa essere. In un pomeriggio estivo, riposando, seguire una catena montuosa
all’orizzonte o un ramo che getta la sua ombra su colui che riposa. Questo significa respirare l’aura
di queste montagne e di questo ramo.”
Per Benjamin tutto questo è relativo a un trasformarsi del nostro percepire. Le nuove tecnologie
hanno cambiato la modalità di percezione e di interazione quotidiana con le cose. L’immediatezza
è, ormai, mediata dall’immagine. Questo mediare tutto attraverso la ripresa, l’immagine e la sua
diffusione. Le invenzioni tecniche sconvolgono la realtà e anticipano nuove forme di modellamento
di essa e esigono poi nuove forme di mediazione, ad esempio politica. Nell’epoca della
riproducibilità tecnica dell’immagine, si afferma la crisi della democrazia come mediazione
rappresentativa e si afferma la volontà di un rapporto diretto con il capo, leader.
Differenza tra attore teatrale e attore cinematografico: L’attore teatrale è un attore che parla con il
proprio corpo e stabilisce una comunicazione corporea con il proprio pubblico, la sua recitazione è
legata al qui e all’ora (hic et nunc). Recita davanti a un pubblico di umani, non è così per l’attore
cinematografico che recita di fronte a una macchina. L’attore cinematografica è un attore post-
auratico, l’aura della sua figura di crea dopo artificialmente. L’attore cinematografico si misura con il
dispositio tecnico ed è come se si sottoponesse continuamente a dei test. Nell’epoca della
meccanizzazione la persona è sottoposta a continui test di attitudine. L’uomo si misura in rapporto
a qualcosa che non è umano.
Nell’epoca di riproducibilità tecnica digitale, non abbiamo più un negativo che ha una consistenza
fisica, ma abbiamo una serie di algoritmi e codici che possono essere implementati su dei linguaggi
macchina. Benjamin coglie qualcosa che non solo non è stato smentito, ma amplificato in questa
nuova epoca. Per Benjamin le conseguenze degli impatti della tecnica sui processi storici, hanno
una velocità sui processi di diffusione che non aspetta l’adeguamento dei nostri abiti, ma
inevitabilmente si crea un digital divide. Contrastare il progresso tecnico è un’opera vana. Il lato su
cui si può intervenire è l’educazione, l’adeguamento e la crescita culturale. L’impatto tra nuove
tecniche che determinano nuovi linguaggi e il fare arte non è un processo lineare, ovvero il pensare
solo male o solo bene di un processo di progresso, ma un processo non lineare, rispetto al quale
saltare indietro sarebbe vano e sarebbe stolto credere di risolvere tutti i problemi. Un processo in
cui i nuovi linguaggi tecnici sconvolgono l’arte modificando la maniera abituale della percezione. Le
conseguenze possono essere anche in un’altra direzione rispetto alle due estreme.
Un aspetto delle conseguenze del processo non lineare è l’estetizzazione della dimensione politica,
cioè la crisi della rappresentanza tradizione, la crisi dell’apparenza di autonomia dell’arte, l’arte va
oltre il suo ambito specifico e diviene un fenomeno che riguarda altri ambiti della vita quotidiana,
politica ecc.
Il processo è non lineare al punto che Benjamin dice che addirittura nelle prime fotografie si disegna
malinconicamente l’aura del volto umano. Le prime fotografie impiegavano tempi di posa
lunghissimi. Nel declinare declina il vecchio tipo umano, ma per Benjamin si preannuncia una nuova
figura umana. I tratti con cui si annuncia la nuova figura umana hanno talvolta dell’inumano, spunti
su cui far leva. Per questo i processi non lineari sono delle chance, una lettura del tempo in cui
afferrare l’istante nel momento giusto. Per Benjamin c’è una riflessione politica che va in parallelo
alle tesi sull’arte. Gli attuali avversarsi di fascismo e n