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EZ

Nell’800, in contrasto con la linguistica storica, si paragonano in modo parallelo e parzialmente

diverso le lingue imparentate.

Rimane la classificazione strutturale ma viene ridefinita la divisione tra lingue agglutinanti, lingue

isolanti e lingue flessive polisintetiche, introducendo due parametri aggiuntivi.Quindi lo stesso tipo

di classificazione nel ‘900 è rivisto secondo due parametri aggiuntivi che sono il grado di

complessità morfologica(il libro parla di indice di fusione e indice di sintesi e adesso vediamo come

questi due indici sono stati introdotti) e i tipi di concetti concreti e razionali che possono essere

espressi dalle lingue.

L’impatto innovativo di questa idea è soprattutto nel fatto che il tipo linguistico non è definito da un

singolo tratto ma da una combinazione di caratteristiche, che l’appartenenza di una lingua ad un

determinato tipo non è un fatto assoluto ma si stabilisce piuttosto in termini quantitativi: le

caratteristiche servono come base per la classificazione, sono ordinate gerarchicamente così

alcune risultano più importanti, altre risultano accessorie e secondarie, subordinate, ma vanno a

definire nel loro insieme correlatamente, nella loro complessità, un tipo linguistico.

Quindi INDICE DI FUSIONEe INDICE DI SINTESI→ qual è il rapporto tra il morfema e la parola e

quanti morfemi possono essere contenuti in una parola. Nelle lingue isolanti, l’indice di sintesi è

uno a uno, un morfema: una parola. L’indice di fusione invece indica quanti morfemi possono

essere fusi in un solo morfo; questo sarà molto alto nelle lingue flessive e sarà basso nelle lingue

isolanti. Parametri Novecenteschi che ridefiniscono la tipologia morfologica strutturale

ottocentesca. Ci interessa mostrare come l’innovazione Novecentesca sia quella di non vedere più

la lingua come rispondente a un tipo, non più una lingua come incarnante a 360° un tipo, ma come

statisticamente rispondente, per una quantità rilevante di fenomeni, alle strutture di un tipo. Quindi

lingue prevalentemente isolanti, prevalentemente agglutinanti con fenomeni anche differenti

perché il tipo è un’astrazione, è una modalità di comportamento astratta: le lingue, che sono

concrete, individui storici, si avvicinano con una quantità di fenomeni che statisticamente rilevanti a

un tipo piuttosto che ad un altro. Una classificazione che facciamo, allora, non è mai una

classificazione assoluta ma è un confronto che si basa su fatti statistici.

Il 900, ancora, non prende più in considerazione un solo aspetto ma definisce il tipo come una

correlazione di aspetti: più aspetti correlati assieme vanno a definire un tipo quindi non solo un

certo tipo di comportamento ma altri comportamenti a questo correlati che si presentano insieme

(e questa è l’altra innovazione novecentesca).

In maniera analoga (siamo negli Stati Uniti, ci spostiamo in Europa) la scuola di Praga (ricordiamo

di questa scuola Mathesius), quindi una scuola strutturalista, assume sempre lo stesso tipo di

principio: un tipo linguistico, anche se è individuabile in base a una caratteristica morfologica

fondamentale, risulta da combinazione di molteplici proprietà, rappresenta un punto di riferimento

ideale, un costrutto che non si riscontra realmente in nessuna lingua. La struttura effettiva delle

lingue risulta dalla compresenza di più proprietà. L’appartenenza di una lingua a un determinato

tipo si stabilisce andando a vedere sulla base della predominanza quantitativa delle caratteristiche

di quel tipo e non perché il tipo si è effettivamente realizzato. Il tipo è un modello ideale. Andiamo a

vedere come ci siano in certi ambiti fenomenologie che, non in una prospettiva totalizzante ma

soltanto in certi ambiti, rispondono in modo statisticamente prevalente sulle altre a un certo tipo e

allora dico che la lingua rispecchia quel tipo. In questo modo la nozione di tipo linguistico è resa un

po’ più flessibile perché se io devo andare a cercare una lingua che effettivamente, da tutti i punti

di vista in modo totalizzante, rispecchi il tipo non la troverò mai invece in questo modo il tipo è

qualcosa di ideale effettivamente esterno alle lingue, non è intrinseco, con il quale confronto le

lingue e vado a vedere come realizzano questo tipo, come ci siano le possibilità di ammettere in

questo modo tutte le possibili differenziazioni, le possibili gradazione di rappresentazione di un tipo

piuttosto che di un altro. Se dico che il tipo è un modello ideale con il quale io vado a confrontare la

lingua allora dico che l’italiano per esempio è una lingua che ha prevalentemente fenomeni, dal

punto di vista morfologico, i fenomeni di una lingua flessiva.

Poi posso aver anche fenomenologie isolanti, per esempio l’inglese, che ha prevalentemente

fenomeni isolanti, è una lingua prevalentemente isolante, ma ha vari casi di flessione in cui indice

di fusione e indice di sintesi non sono gli stessi che trovo nei casi di una lingua isolante.

La tipologia di matrice greenberghiana: siamo negli anni ‘60, 1966, eGreenberg riprende

sostanzialmente gli assunti delle proposte della classificazione strutturale e li inserisce in un

quadro diverso. Dal punto di vista metodologico, le nozioni più significative della tipologia di

Greenberg sono due: innanzitutto introduce una prospettiva di tipo particolaristico cioè focalizza

l’attenzione su singoli settori della grammatica indipendentemente dall’organizzazione che le

lingue hanno in altri settori; in secondo luogo, la tipologia di Greenberg esplora la possibilità di

mettere in correlazione singoli tratti strutturali e questo lo porta a circoscrivere delle possibilità

definite mediante l’uso della logica formale e, attraverso la logica formale, individua dei modelli per

descrivere la variazione linguistica.

L’idea di Greenberg è quella di non lavorare più sull’insieme della grammatica ma di lavorare su

singoli aspetti, su singoli fenomeni grammaticali. Greenberg va a vedere come in questa

fenomenologia le lingue concretizzano il loro comportamento e va a vedere le strutture. Dopo aver

fatto questo, quindi dopo aver abbandonato una prospettiva totalizzante ed essersi focalizzato su

singoli fenomeni, va anche a vedere come è possibile mettere in correlazione tra loro questi singoli

fenomeni e in particolare va a lavorare su aspetti sintattici e mette in correlazione più aspetti

sintattici. Va a vedere ad esempio come si comportano le lingue per quanto riguarda la

disposizione dei costituenti di base della clausola→ soggetto, verbo, oggetto. Va a vedere come si

comportano nella loro disposizione sintattica i costituenti base della clausola in una clausola

affermativa e indipendente, perché non deve essere una clausola la cui disposizione degli elementi

è condizionata dalla dipendenza da una struttura grammaticale a livello più ampio, di livello

superiore, e che non è negativa perché anche questo può condizionare l’ordine degli elementi.

Quindi affermativa e indipendente in cui l’ordine è un ordine non marcato, non condizionato

dall’essere contenuto in una struttura grammaticale di livello superiore né dall’essere negativa.

Insomma Greenberg va a vedere come soggetto, verbo e oggetto si comportano nella loro

disposizione e qui constata che ci sono diverse possibilità di disposizione dei 3 elementi ma due,

SVO e SOV, sono statisticamente prevalenti, vanno a interessare sostanzialmente più del 90%

delle lingue del mondo (per l’esame non serve imparare le percentuali che si trovano sul libro). E’

rilevante l’impressionante dato statistico e il motivo per cui le lingue si comportano in questo modo

(che vedremo).

Quindi Greenberg non si concentra più su tutta la lingua, nemmeno sugli aspetti sintattici, ma su

un singolo fenomeno: ha una prospettiva particolaristica, va a vedere come in questa particolare

fenomenologia si comportano le lingue e ritrova che queste due modalità sono statisticamente

prevalenti.

Il secondo punto dello studio di Greenberg è che cerca di mettere in correlazione più tratti che si

ritrovano insieme e va a vedere che le lingue che hanno SVO hanno anche il genitivo (o la

specificazione) che segue l’elemento nominale che va a specificare. Quindi è andato a vedere due

fatti specifici e li ha messi in correlazione e ha detto: tutte le lingue che hanno l’ordine SVO hanno

anche un altro tratto correlato compresente e cioè il fatto che la specificazione segue il nome e le

volte che trovo una lingua con l’ordine basico SOV trovo anche che ha la specificazione che

precede il nome. Quindi Greenberg ha messo in correlazione due fatti particolari (ricordiamo che la

sua è una prospettiva particolaristica e si confronta soltanto con un singolo aspetto della

grammatica).

Greenberg è andato oltre ed è andato a vedere come si comportano le relative e ha visto che nelle

lingue che hanno SVO, e che hanno quindi la specificazione che segue il nome, la relativa si pone

a destra del nome al quale si riferisce; nelle lingue invece che hanno SOV e che hanno la

specificazione che precede il nome, la relativa precede il nome. Anche qui si tratta di

fenomenologie statisticamente prevalente, perché poi avremo relative che precedono anche nelle

lingue SVO e relative che seguono anche nelle lingue SOV, ma dal punto di vista statistico è

prevalente il comportamento che ha evidenziato Greenberg.

Che cosa sta facendo? Sta allungando la lista dei fatti correlati. L’allungare la lista dei fatti correlati

va fino a un certo punto ma questo allungamento comporta la definizione della serie di tratti

correlati che definiscono il tipo. Allora il tipo non è più una modalità di comportamento ma è un

insieme di tratti correlati che si presentano insieme in una lingua in fatti diversi tra loro (in questo

caso sono tutti fatti che troviamo a livello sintattico). Quindi i tratti correlati si ritrovano compresenti.

Allora una lingua SVO come l’italiano (“il bambino mangia la mela”): questa lingua ha il tratto

correlato per cui la specificazione segue il nome? Sì, “la mamma di Luigi”; ha il tratto correlato che

la relativa segue il nome al quale si riferisce? Sì, “La ragazza di cui ti ho parlato”.

Prendiamo il latino: è una lingua SOV? Sì,è una lingua in cui il genitivo precede il nome al quale si

riferisce, è una lingua nella quale la relativa in un certo numero di casi precede il nome dal quale

dipende. Allora abbiamo visto che queste due lingue si definiscono non per una totalizzante

etichetta (come “lingua agglutinante”, “lingua flessiva”, “lingua isola

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
86 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valemodda di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti di linguistica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Solinas Patrizia.