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La prospettiva di tipo genealogico è invece di carattere più storico che non generale e descrittivo: in
tal senso si differenziano anche per metodologie e risultati d’indagine.
L’organizzazione delle lingue su base tipologica prevede la scelta di parametri attraverso cui
organizzare i gruppi linguistici e quindi prevede che in qualche modo si configurino dei tipi
linguistici sulla base dei quali confrontare le diverse lingue.
Non esiste una sola linea di Tipologia linguistica, ma esistono diverse opzioni a seconda della
natura dei parametri, dei tratti, che si prendono in considerazione. In realtà, paradossalmente,
all’interno delle caratteristiche
potrebbero esistere moltissime tipologie linguistiche selezionando,
della lingua, certi tratti verso altri (e tutti devono essere significativi).
I tratti sono teoricamente di tutti i livelli; ci sono livelli che sono più o meno utili che presentano
possibilità di maggiori sviluppi (e sono quelli su cui di solito ci si concentra di più) e sono
sostanzialmente la Tipologia morfologica e la Tipologia sintattica. Ogni operazione è rapportata
agli esiti che può dare: è sì possibile fare la Tipologia anche sulla base della Fonologia, ma il
risultato non è particolarmente efficace per dare una descrizione delle differenze/somiglianze
strutturali delle lingue; molto più efficaci si rivelano invece operazioni fatte sul livello della
Morfologia e della Sintassi.
Un tipo linguistico è un modello di lingua che rappresenta diverse caratteristiche morfologiche e
sintattiche: il tipo di lingua è astratto, non è, di fatto, rappresentato completamente in nessuna delle
lingue che poi si confrontano in esso, perché è un termine di confronto per cui si identificano tipi
diverse e poi si indirizzano verso l’uno o l’altro dei tipi a seconda
diversi, che hanno caratteristiche
delle loro caratteristiche. che nessuna lingua rappresenta un tipo puro: c’è
Quindi bisogna ricordare, come primo principio,
una maggiore o minore prossimità, anche se si attribuiscono le lingue alle diverse classi.
Appunti di Alberto Longhi, Matr. 837296
La Tipologia più tradizionale, storicamente più antica, è quella che si basa sulla considerazione del
livello della Morfologia: ovvero, stabilisce come le diverse lingue realizzino le categorie
morfologiche e le rapportino formalmente in maniera diversa. un po’ dall’esperienza
Quando si fanno operazioni di questo tipo, bisogna staccarsi della propria
lingua: la Tipologia è fatta apposta per riuscire ad organizzare tutte le lingue e andare a vedere se
hanno dei caratteri strutturali simili al di là della loro diversità.
Nella Tipologia morfologica si parte dalla considerazione di come sono i morfemi, come stanno tra
in relazione all’unità che,
di loro, e come stanno i morfemi nonostante tutti i problemi nel definirla,
si definisce parola. La Tipologia morfologica si occupa di considerare come nelle diverse lingue si
utilizzano i morfemi, di come l’insieme dei morfemi si rapporta come unità autonoma a livello di
significato, di parola.
La Tipologia utilizza molto spesso delle categorie abbastanza tradizionali, anche se alle volte le
utilizza in maniera diversa.
In Italiano, nella parola gatto per esempio, oltre al morfema lessicale, vi sono anche due morfemi
è una lingua che
grammaticali (maschile e singolare): l’Italiano ha i cosiddetti morfemi legati (il
morfema lessicale non è mai privo di un morfema grammaticale), altre lingue no; ci sono infatti
lingue che hanno la prevalenza di morfemi liberi: una prima via di organizzazione tipologica può
dei morfemi all’interno di una
essere quindi quella della combinazione parola.
Nelle lingue isolanti i morfemi sono separati gli uni dagli altri (sono, appunto, isolati), autonomi:
ogni morfema coincide con una parola (sono isolati sia i morfemi lessicali sia quelli grammaticali -
nel senso che sono presenti autonomamente in una frase, hanno una determinata successione e
combinazione che ne dà il senso-): sarebbe come dire (irrealmente) gatto maschio uno.
Quello che per esempio per l’Italiano sarebbe un verbo come mangiai per una lingua isolante
risulterebbe mangiare io passato.
Per misurare lingue basate sull’autonomia dei singoli morfemi, si definiscono le lingue analitiche,
in cui si distingue ogni elemento; viceversa, una distinzione progressivamente minore è quella che
definisce un criterio di sintesi delle lingue.
Quindi il primo tipo è quello delle lingue isolanti (casi ne sono il Cinese e il Vietnamita).
Vi è poi il tipo delle lingue agglutinanti, quelle lingue in cui si dice che è ancora evidente la
distinzione dei morfemi, ma una parola è normalmente costituita di morfemi lessicali e
grammaticali legati tra di loro: si avrà sempre quindi gatto maschio uno, ma in una sola parola;
sono l’Ungherese e il Turco.
classici esempi delle lingue agglutinanti
Sono lingue che in qualche modo risultano abbastanza evidenti nelle loro componenti: per esempio,
il Turco per dire casa dirà ev, per dire case dirà evler; ogni funzione grammaticale è resa da un
unico morfo formalmente presente, segmentabile, distinguibile e vi saranno quindi parole
abbastanza lunghe, perché metteranno assieme un morfema lessicale con molti morfemi
grammaticali che serviranno per dare indicazioni.
[L’armonia vocalica è la tendenza ad uniformare in una parola il timbro delle vocali presenti, cioè o
quindi se c’è
tutte le vocali tendono verso le posteriori o verso le anteriori a seconda della parola:
nel morfema lessicale una vocale anteriore, anche il morfema di plurale avrà una vocale di tipo
anteriore. In qualche modo si uniforma l’apertura e il timbro delle vocali.]
Terzo tipo è quello delle lingue flessive (come l’Italiano dove “flessivo” indica il fatto
o il Latino),
che vi è flessione, cioè che si affida a forme diverse la resa delle categorie grammaticali. In realtà,
ancora più precisamente, si dovrebbe parlare di lingue fusive, perché hanno un morfema lessicale
legato ad un pacchetto che fonde assieme più morfemi grammaticali; sono lingue in cui meno si
Appunti di Alberto Longhi, Matr. 837296
riconosce la composizione: sono più alte le infrazioni alle regole; vi possono essere lingue più o
meno flessive: più una lingua ha flessione, meno ha sintagmi preposizionali.
Una parola come quella latina luporum porta sì un morfema lessicale ed uno grammaticale, ma
quello grammaticale porta più informazioni in quanto fonde (nel senso che non si può distinguere
un pezzetto da un altro) in un morfo le funzioni di tre morfemi.
È indubitabile che le lingue di tipo fusivo siano lingue con una minore evidenza dei componenti,
anche se il livello della flessione può essere più o meno rilevante.
Il Latino è già tipologicamente ampliamente flessivo, ma non totalmente rispetto ad un tipo fusivo
puro, a cui è un po’ discostato (l’Italiano ancora di più).
Della Tipologia morfologica è interessante notare come nel corso del tempo una lingua possa
cambiare la sua collocazione tipologica: una delle domande che ci si fa frequentemente è proprio
come si possa, in una lingua che ha una Storia continua, ininterrotta, con la Tipologia indicare se si
della stessa lingua o no; se ci si pensa, il Latino e l’Italiano
possa parlare hanno un corso naturale
ininterrotto: la prevalenza di una Tipologia rispetto ad un’altra permettere di creare dei confini
molto approssimativi di queste lingue (stesso discorso vale anche per le altre lingue romanze).
Anche le lingue germaniche hanno subìto un percorso di perdita della flessione.
C’è un movimento tipologico per cui le lingue possono passare da un tipo all’altro. Il fatto che
questo processo non blocchi una lingua nel corso del tempo è anche evidente per la misurazione: c’è
un modo semplicissimo di misurare quanto una lingua sia flessionale o agglutinante, ed è il rapporto
e l’indice
parola-morfema/i: i risultati si chiamano indici di sintesi e pesano in qualche modo,
ovviamente è più alto quanto più è sintetica una lingua (e più basso quanto più è analitica una
lingua). Una lingua isolante avrà un rapporto 1:1; una lingua agglutinante presenterà, per esempio,
un rapporto 1:3/4; infine, una lingua flessiva avrà un indice di 1:2/3.
L’Inglese è una lingua che tende ad essere quasi isolante: c’è pochissimo che faccia pensare che
l’Inglese dal punto di vista morfologico sia una lingua flessiva; affida i rapporti in buona parte
all’ordine dei morfemi della frase, perché le lingue isolanti hanno un ordine dei morfemi
decisamente più rigido; viceversa, le lingue flessive hanno un ordine dei morfemi decisamente più
(basta pensare alla sola differenza fra l’Italiano e il Latino):
libero più la flessione è di supporto a
più c’è libertà (meno c’è, più le frasi sono rigide).
indicare quali siano le relazioni praticabili, Non
ci sono lingue “migliori” o lingue “peggiori”, non ci sono lingue che “esprimono meglio” e lingue
che “esprimono peggio”: ci sono lingue che realizzano in maniera diversa, perché di solito le
informazioni sono affidate ad altri espedienti; ci possono essere lingue (come quelle flessive) meno
omogenee, meno seriali, che hanno un numero più alto di quelle che si chiamano eccezioni.
un’altra classe di lingue,
Queste tre classi sono le principali, anche se c’è quella delle cosiddette
lingue polisintetiche, lingue in cui la parola corrisponde ad una frase: e qui si ritorna al problema
della definizione di parola (un’unità che non si può scindere): come l’Eschimo.
si tratta di lingue In
tali lingue c’è la presenza di più morfemi lessicali in una parola sola: sarebbe come se per dire Il
ci fosse un’unica parola in cui tutti i morfemi che la formano indicano quanto espresso
gatto corre
dalla frase.
Tale classificazione tipologica sulla base della Morfologia è una Tipologia nata già alla fine
dell’Ottocento quando si è cominciato a prendere coscienza del fatto che esistevano lingue
realizzate in maniera diverse da quelle che la Cultura occidentale conosceva: con le scoperte e le
colonizzazioni l’Occidente è venuto a conoscenza, con l’evangelizzazione, di un enorme patrimonio
di lingue, per cui le categorie classiche di descrizione delle lingue si mettevano in crisi.
Appunti di Alberto Longhi, Matr. 83729