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Dopo la morte di Adriano, il figlio si occupa della produzione dei computer, l’obiettivo

era produrre una macchina che potesse essere utilizzata da chi non era specialista,

adatta alle scrivanie di chiunque, ad un costo accessibile. Nasce così La Programma

101. La Programma 101 è il primo computer piccolo, facile di usare, che chiunque può

portarsi a casa e programma. È il primo personal computer. Ma, nel 1964, l’Olivetti

entra in una grossa crisi finanziaria e viene quindi acquisiti dalla General Electric, che

entra in possesso di tutti i progetti informatici Olivetti, tranne uno. La Programma 101

rimasi di proprietà della Olivetti, tutto ciò che veniva chiamato “calcolatrice” era della

Olivetti, i “calcolatori” erano della GE. Anche Roberto Olivetti abbandona il ruolo di AD

perché in contrasto con la nuova dirigenza. La Programma 101 riceve anche

l’attenzione della stampa americana, in particolare di New York. Quindi, nonostante

non possedesse più un dipartimento meccanico, venne messa sul mercato

internazionale, come il primo Personal Computer al mondo. Anche l’idea del computer

cambia, perché ora si possono indirizzare a tutti gli utenti, e tutte le classi sociali

senza distinzione, entra nelle case e nelle aule scolastiche. Dopo il suo avvento,

ovviamente i competitors decidono di copiare l’idea. L’HP paga 800.000€ alla Olivetti

per ottenere i diritti di utilizzare l’idea della 101. Di lì a poco, l’idea di personal

computer si diffuse e tutte le aziende iniziare a produrre computer di questo tipo. La

101 ha dato l’inizio a tutto ciò che abbiamo ora: non avremmo gli UGC e la

democratizzazione di internet, se i computer non fossero mai usciti dagli uffici ed

entrati nelle case.

La nascita del Fashion System Italian

La moda rappresenta l’elemento peculiare per eccellenza del made in Italy. Il sistema

della moda francese era già ben sviluppato quando l’Italia, nel dopoguerra, ha iniziato

ad inserirsi, con nomi come Coco Chanel che ha segnato la storia del settore o

Christian Dior. Il settore in Italia era ancora un fenomeno molto legato alla nazione,

quasi non esisteva il settore moda come è conosciuto oggi, il made in Italy nella moda

nasce quindi nel dopoguerra. La data che tutti citano per evocare per evocare quegli

avvenimenti è il 12 febbraio del 1951 quando Giovan Battista Giorgini, “Bista”,

organizzò nella sua villa fiorentina una sfilata di moda che sarebbe diventata un

evento epocale, che di fatto sanciva l’atto di nascita della moda italiana e non solo di

quella. La moda italiana è un fenomeno che si è creato da zero, partendo da un livello

nettamente inferiore a quello della Francia. Giorgini è un broker che nel dopoguerra

compra artigianato italiano e le vende ai grandi magazzini (mall) americani ricavando

un guadagno. I broker americani vengono in Italia di tanto in tanto per ammirare i

materiali del nostro paese, come il pizzo, e l’artigianato italiano in generale. Quando

Giorgini si mette in testa di esportare la moda italiana negli Stati Uniti aveva intuito

che agli americani potevano piacere degli abiti meno sofisticati di quelli parigini,

perché molto più pratici ed adatti al loro stile di vita, dinamico e in continua

evoluzione. Giorgini era sicuro che i prodotti della non organizzata moda italiana,

ancora inconsapevole della propria forza, avrebbero potuto incontrare il gusto, il

costume ed il modo di vivere degli americani.

Nel salone neoclassico di villa Torrigiani a Firenze, e lo scenario architettonico non era

da poco, il 12 febbraio del 1951 con una sfilata artigianale, senza palco, con semplicità

fra le sedie e le poltrone, Giorgini si giocava con freddezza tutto, di fronte ai buyers

americani che dovevano essere convinti subito che si stava per aprire un mercato

ricco di prospettive future. Giorgini capì quindi che per lanciare la moda italiana oltre

oceano era necessario presentare questi prodotti, era necessario quindi trovare un

modo per convincere i broker americani ad attraversare l’oceano per visitare i prodotti

italiani. Giorgini ospita quindi questi broker americani nella sua villa di Firenze per

mostrare loro questi prodotti italiani, i prodotti che mostra loro non sono prodotti di

alta moda, perché Giorgini capisce che in Italia si producono prevalentemente prodotti

di fascia media, che costano molto meno dei prodotti francesi ma con materiali di

equivalente qualità. Sono vestiti che non devono servire l’alta borghesia, ma donne

pret à porter).

che lavoro che possono utilizzarli tutti i giorni (moda Prodotti

lontanissimi da quelli parigini, anche per i prezzi che risultavano essere molto

interessanti. Giorgini nel compiere questa scelta dimostrava uno straordinario talento

da stratega, che travalicava di molto il ristretto ambito della moda. Infatti aveva

deciso di presentare ad un pubblico scelto e qualificato di compratori, quelli che

sarebbero diventati i valori su cui si sarebbe successivamente costruito tutto il sistema

moda del Made in Italy. Il Made in Italy è un fenomeno economico, di comunicazione,

di marketing e di prodotto, Giorgini è stato un genio in questo, riuscendo a fare una

sfilata di moda a Firenze, in un periodo in cui non se ne trovava l’utilità. La grande

pret à porter

intuizione di Giorgini porterà agli anni ’70 in cui nasce il Milanese, città

che darà spazio a quelli che poi saranno i più famosi stilisti (Versace, Armani, ecc).

Le case di moda italiane che giorgini contattò prima di organizzare l’evento fiorentino

erano: Carosa, Sorelle Fontana, Shuberth, Simonetta Fabiani, Noberasco, Marucelli,

Veneziani e Vanna per l’alta moda, mentre per gli abiti di boutique aderirono Mirsa,

Pucci, Bertoli e la Tessitrice dell’Isola. A sfilare per primi furono gli abiti della boutique,

una tipologia di prodotto che a Parigi non veniva presentata e risultò essere la carta

vincente dell’evento del 12 febbraio del 1951. Questi vestiti erano allegri, giovani,

colorati e di qualità, ma costavano circa il 50% in meno dei prodotti francesi. Il

successo di questa tipologia di vestiti dimostrava l’esistenza di uno stile tutto italiano

che rendeva vincente l’evento e che sarebbe diventato strategico per il lancio del

mercato italiano. Presenti in sala c’erano pochi ma importantissimi buyers americani;

quelli di B. Altmann & Co, di Bergdorf Goodmann, di Leto Cohn Lo Balbo di New York, I.

Magnin di San Francisco e Henry Morgan di Montraeal. C’erano anche cinque

giornaliste chiamate a presenziare l’evento: Elisa Massai corrispondente del “Women’s

Wear Daily”, Elsa Robiola direttrice di “Bellezza” e inviata del settimanale “Tempo”,

Gemma Vitti del “Corriere Lombardo", Vera Rossi di “Novità”, Misia Armani del

periodico “I tessili Nuovi” e di “Omnibus, Sandra Bartolomei Corsi del “Secolo XIX”.

La storia successiva è ben nota, il grande successo della prima sfilata portò Giorgini ad

organizzare nel Luglio dello stesso anno una seconda sfilata nei saloni del Grand Hotel

di Borgo Ognissanti. Questa scelta fu obbligata visto il gran numero di spettatori che

avevano chiesto di partecipare all’evento. Fra i giornalisti sono da citare Bettina

Ballard, Fashion Editor dell’edizione americana di Vogue e la sua storica antagonista,

Carmel Snow, il potentissimo caporedattore di Harper’s Bazaar. Fu la moda boutique

assieme agli accessori che fece successivamente esplodere lo stile italiano. Il

fenomeno era diventato troppo imponente e capace di trainare tutto il settore del

Made in Italy. Intanto con la stagione dei grandi stilisti e l’affermarsi del prèt- à-porter,

è Milano che riesce ad imporsi definitivamente come capitale della moda, innescando

un percorso imponente dal punto di vista finanziario, e che diventerà trionfale per l’

immagine dell’Italia nel mondo.

Giorgini ha compiuto un’opera geniale, se è riuscito a convincere i buyer americani ad

andare a Firenze, è perché era già a conoscenza del fatto che quel tipo di prodotto

poteva interessarli. L’idea era quella di creare un settore che coniugasse l’idea

dell’italianità con quella della creatività. Anche il prezzo fu un fattore determinante per

il successo, era quasi il 50% in meno della concorrenza francese, nonostante i

materiali di altissima qualità. Giorgini rimarca anche sull’assoluta indipendenza delle

collezioni italiane da quelle francesi. Giorgini può essere ritenuto il vero fondatore del

Made in Italy, che ha iniziato ad essere apprezzato all’estero nel momento in cui le

persone hanno iniziato a preferirlo al Made in France. La Sala Bianca di Palazzo Pitti

divenne poi il trampolino di lancio della moda italiana, dopo quel 12 Febbraio del 1951.

Con gli anni ’50 è veramente cominciato e nato quello che oggi chiamiamo Made in

Italy. Emilio Pucci è stato il primo a portare il nome Italia in tutto il mondo, il suo stile è

ormai riconosciuto ovunque; era familiare con la nobiltà, con i tessuti sgargianti e con

l’utilizzo della natura, che gli ha permesso di costruirsi una sua fama.

Era necessario capire se il mercato italiano fosse pronto per accogliere i prodotti

italiani. Negli anni ’70 si consolida il fenomeno del pret-à-porter, che è il punto focale

della moda italiana; alla settimana della moda tutti gli stilisti presentano questo tipo di

collezione, non la collazione di alta media. Per esempio Armani presenta la collezione

(Armani Privè)

lusso a Parigi, mentre durante la settimana della moda a Milano

Armani Exchange,

presenta che include i marchi commerciali declinati dal signorile,

allo sportivo, ecc. Il Made in Italy dipende quindi da un discorso di passaggi, di

tradizioni, e di saper fare.

Le sorelle Fontana → partite da un paesino in provincia di Parma, sono andate in

stazione con l’intento di prendere il primo treno, per Roma o per Milano. Il primo fu per

Roma. La prima cliente fu la figlia di Guglielmo Marconi, inizialmente non avevano

soldi per acquistare i propri tessuti, quindi si limitavano a effettuare riparazioni.

Vestivano tantissime attrici che giravano i loro film, tra cui Marilyn Monroe e Audrey

Hepburn, che hanno poi iniziato a comprare da loro anche vestiti personali, non solo

per i film, e persino vestiti da sposa.

Il grande boom economico - società dei consumi degli anni ’60

All’inizio del decennio/fine anni ‘50 l’Italia è ancora dominata da piccole medie

imprese a conduzione familiare, ma iniziano a subire l’influenza delle grandi aziende

americane. Nel 1957 nasce l&rs

Dettagli
A.A. 2019-2020
12 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valentinapaci96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia del brand e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Valli Bernardo.