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DIRITTO DEL MERCATO DEL LAVORO
Diritto delle politiche attive di lavoro
Mentre quando parliamo di altri comparti del diritto del lavoro la conoscenza è diffusa, anche se magari non nei dettagli, sulla politica attiva del lavoro c'è proprio ignoranza. Perché è una cosa relativamente nuova in Italia che ancor'oggi si fa fatica a comprendere. La politica attiva del lavoro sta dentro ad un contenitore più ampio che si chiama "politica del lavoro". Le politiche del lavoro sono molto articolate perché lo Stato interviene sempre di più nell'economia, sia a guida delle imprese sia a tutela e favore dell'occupazione. Al primo punto delle politiche del lavoro sta la disciplina dei rapporti di lavoro e del fenomeno sindacale. Poi ci sono le forme di sostegno al reddito in caso di sospensione dal lavoro per disoccupazione o per cause economiche (ad esempio CIG). Terzo raggruppamento di interventi è quello dei
servizi ai datori e ai lavoratori per rendere più puntuale l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Poi ci sono le azioni per migliorare l'occupabilità dei lavoratori al fine di favorirne l'inserimento al lavoro (ad esempio formazione professionale). Quinto gruppo è quello delle misure (per di più incentivi) per indirizzare la domanda di lavoro verso soggetti appartenenti a target in condizione di svantaggio occupazionale (giovani, donne, disabili ecc.). Poi ci sono le misure di sostegno all'autoimpiego di inoccupati o disoccupati; sono soggetti che si occupano da sé inventandosi il lavoro, entrando nel mercato non come dipendenti ma da soli. Ci sono per loro dei sostegni. Da ultimo, le misure volte alla creazione diretta di lavoro da parte delle PA (ad esempio i lavori socialmente utili). La ratio di queste misure poggia sui dati, perché è dimostrato che più uno rimane disoccupato più è improbabileche vengano impiegato. Questo perché se sta sul divano uno o due anni perde man mano competenze e capacità relazionali, e poi – motivo principale – solitamente accade che per lavoratori così si sommano sostengo al reddito e reddito in nero da lavoro irregolare; quindi, loro non hanno nemmeno interesse a rientrare sul mercato, perché paradossalmente guadagnano di più così. I sostegni al reddito nei paesi in cui hanno funzionato disincentivavano dalla tentazione del lavoro irregolare. Da noi questo strumento è stato usato in maniera scostante; quindi, non ha mai avuto troppo successo. Ultima esperienza italiana è stata il reddito di cittadinanza. Le politiche attive sono tutti i punti citati tranne i primi due. Quali sono le finalità? Le politiche attive hanno come obiettivo primario di incidere sul mercato del lavoro rimuovendo le cause che impediscono l’ottimale allocazione delle risorse umane disponibili in undifferenza tra politiche che fotografano la situazione senza intervenire attivamente e politiche che invece agiscono per cambiare lo stato del mercato.Disciplina dei primi due punti: quelli riguardano tutta una serie di "politiche" passive. Interpretate in questa chiave, le politiche attive del lavoro sono il principale strumento per riempire di concretezza e senso il "diritto al lavoro" di cui all'art. 4 della Costituzione.
Il capitolo si apre con la spiegazione della politica attiva del lavoro, la quale viene considerata una figura di rilievo per il raggiungimento degli obiettivi del PNRR. Quando parliamo di altri comparti del diritto del lavoro, la conoscenza è diffusa, se proviamo ad esempio a chiederci cosa è l'assunzione e il licenziamento; la pensione; o magari la cassa integrazione, a un lavoratore, bene o male saranno istituti noti del diritto del lavoro per lui. Mentre se provassimo a chiedere cosa sia la politica attiva del lavoro, molti non ci saprebbero rispondere, perché per l'Italia è una cosa nuova, dal '97 in avanti, che ancora oggi si fa fatica a comprendere.
Cosa sono le politiche del lavoro? Ferrera e Reyneri, importanti sociologi del lavoro, dicono che le politiche del lavoro sono molto articolate, e sono diventate sempre più importanti nel periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, perché lo stato interviene sempre di più nell'economia, a sostegno e guida delle imprese, ma anche per regolare, aiutare e favorire l'occupazione. Loro mettono al primo punto la disciplina dei rapporti di lavoro e del fenomeno sindacale. Poi ci sono le forme di sostegno al reddito per cause di sospensione dal lavoro, cioè quando il lavoratore è disoccupato o sospeso dal lavoro per cause economiche. Lo stato in questi casi interviene con sostegni al reddito, con indennità salariale ed indennità di disoccupazione. Altro gruppo di interventi per aiutare il mercato del lavoro è strutturato nei servizi per favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro. PoiLe azioni per migliorare l'occupabilità dei lavoratori al fine di favorirne l'inserimento nel lavoro. Se hai dei lavoratori poco appetibili come puoi migliorare il loro grado di appetibilità? Lo puoi migliorare offrendo loro delle opportunità di formazione. Poi abbiamo misure che figurano come incentivi economici e normativi, per indirizzare la domanda verso soggetti appartenenti a target in condizione di svantaggio occupazionale. Se ci sono categorie di lavoratori che fanno più fatica a inserirsi nel mercato del lavoro, che si trovano in posizione di svantaggio, possono godere di sostegni, di questi incentivi economici che servono ad abbassare il costo del lavoro. Nel senso che se l'azienda assume un lavoratore appartenente a queste categorie di lavoratori viene premiata abbassandogli il costo del lavoro. Poi ci sono le misure di sostegno all'auto impiego. Queste sono quelle misure che servono a favorire l'ingresso nel mondo del lavoro.
di soggetti che sono indisoccupazione, e che trovano una loro prospettiva di vita lavorativa nell'auto impiego, cioè avviano una attività imprenditoriale. Sono soggetti che si occupano inventandosi il lavoro. Ci sono misure di aiuto a persone disoccupate che vogliono avviare la loro piccola azienda. Poi ci sono le misure volte alla creazione diretta di lavoro dalla pubblica amministrazione. Ad esempio i lavori socialmente utili. In questo caso lo stato decide, insieme alla pubblica amministrazione, di impiegare dei disoccupati in lavori socialmente utili o di utilità collettiva. Questi prevedono che il lavoratore, che percepisce un sussidio dallo stato in quanto disoccupato, non lo percepisce più, ma percepisce una indennità o una retribuzione se svolge delle attività socialmente utili. L'idea di fondo è intelligente, perché il disoccupato se resta tale perde di competenze. Più passa il tempo in disoccupazione.più è difficile collocare il lavoratore, perché come dicevamo le competenze del lavoratore scemano. In territori come il nostro, un p di disoccupati riescono a sommare sostegno al reddito con lavoro irregolare, e quando tu hai un lavoratore che per un determinato tempo ha fatto questa somma, sarà difficile scostarlo da quella posizione, perché non ha mai avuto un reddito simile. Quindi i lavori socialmente utili servono a far si che il lavoratore non perda competenze, non perda capacità relazionarli, e non sia tentato dal lavoro irregolare. Questo fanno i paesi intelligenti come Francia e Germania. Da noi questo metodo è stato usato in materia consistente, ma è rimasto il problema dello smaltimento di questo folto gruppo di lavoratori socialmente utili, che erano tantissimi in Italia, e che lo stato ha cercato di inserire nel mercato ordinario del lavoro con incentivi, in modo tale da sgonfiare il fenomeno. Dopo di che quando diciamo oggi
Lavori socialmente utili nessuno ci prende sul serio. Nella legge sul reddito di cittadinanza c'è scritto che questi possono essere impiegati in lavori socialmente utili, ma pochissimi comuni hanno attuato questa cosa, perché poi questi chiedono di diventare dipendenti del comune, dunque il comune lascia perdere. Queste sono le politiche del lavoro in generale.
Adesso vediamo quali sono le politiche attive del lavoro. Esse vanno dal punto C dell'apposita normativa in poi. Le finalità delle politiche attive del lavoro sono capaci di incidere sul mercato del lavoro, impedendo le cause che impediscono lo sviluppo delle risorse umane di un determinato territorio. Le politiche del lavoro che sono state fatte, in particolare quelle del sostegno al reddito, non incidono nel mercato del lavoro. Ma accade che l'ufficio pubblico certifica lo stato di disoccupazione, che automaticamente è collegato a un sostegno al reddito, in questo modo non si indice ma si
fotografa il mercato del lavoro, si certifica semplicemente che un soggetto è disoccupato, non si cambia la sua situazione ma la si riconosce e gli si da un sostegno al reddito perché possa continuare a vivere. Quindi le politiche di sostegno al reddito sono sostanzialmente politiche passive, fotografano ma non incidono, sono politiche passive. Invece le politiche attive hanno l'ambizione di incidere sul mercato del lavoro, al fine di modificare il funzionamento di quel mercato del lavoro. Ci si è chiesti perché l'espressione politiche attive, perché ogni politica è intervento attivo dello stato, non esistono politiche non attive in teoria. La formula che è stata utilizzata è comunque questa, per sottolineare la contrapposizione a quelle passive. A metà degli anni 70 venne coniata la formula "Politiche attive del lavoro" in contrapposizione alle politiche passive, come certificare una posizione di debolezza.Di disoccupazione, e aiutare. In Italia politicapassiva è anche la cassa integrazione. In opposizione a queste nascono le politiche attive, che si affiancano sempre la reddito, ma con finalità diverse. Pensiamo ai servizi di orientamento e di formazione.