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L'orario di lavoro
Il diritto del lavoro nasce su due grandi temi: la retribuzione e l'orario di lavoro. Tutti i movimenti sindacali dell'Ottocento in ogni paese lottavano sostanzialmente per questi motivi. Nel momento in cui si diffuse il processo di industrializzazione, si pose drammaticamente il problema dell'imposizione di limiti all'orario di lavoro. Perché nel sistema precedente, quello corporativo, questo tema non era contemplato. Il conflitto tra organizzazioni dei lavoratori e organizzazioni dei datori spesso si concentrò, dunque, sul tema dell'orario di lavoro. Vi sono state fasi di scontro molto duro attorno all'individuazione di un limite di 12 ore giornaliere. All'inizio il legislatore intervenne in tutta Europa ponendo dei limiti per le donne e per i bambini, non per tutti. Gli interventi di regolazione dell'orario erano a tutela della salute dei lavoratori. Perché si capì che se il lavoratore fosse
stato utilizzato più di 12 ore si sarebbe assistito ad un abbruttimento e ad un danno per la sua salute. Ma con il tempo, a fianco di questo approccio, ne saltarono fuori altri. Una ventina di anni fa in Europa aveva avuto diffusione il filone di pensiero che collegava i limiti all’orario di lavoro all’occupazione. Lo slogan era “lavorare meno per lavorare tutti”. Perché riducendo gli orari ovviamente si liberano spazi per l’assunzione di nuovo personale. Il punto più alto di applicazione di ciò l’ha avuto la Francia con la legge delle 35 ore che tendeva a ridurre l’orario appunto a 35 ore settimanali. In Germania si assisteva a tentativi perseguiti in via contrattuale più che legislativa. Recentemente anche l’UE sta andando nella direzione di ridurre gli orari per migliorare le performances aziendali. Con il 6 per 6 infatti si sta puntando a fare 6 ore per 6 giorni invece che 8 ore per 5 giorni: l’aziendaNe avrebbe un beneficio enorme perché gli impianti verrebbero utilizzati anche al sabato, e i lavoratori in compenso non lavorerebbero 8 ore al giorno ma 6. Il provvedimento che dobbiamo guardare come un faro è il Decreto legislativo 66/2003, in attuazione di una direttiva UE. È una sorta di testo unico anche se di fatto non lo è, ma è come se il legislatore avesse voluto porre in essere un testo unico regolamentatore della materia. Il principio di sussidiarietà è fortemente applicato, valorizzato e sostenuto. Il legislatore si astiene dall'intervenire laddove le parti sociali abbiano dettato loro delle regole, oppure il legislatore detta delle regole ma queste regole sono modificabili dalla contrattazione collettiva. È come se il legislatore dicesse "è una materia su cui è bene che siano le parti sociali a intervenire!". Intanto, l'ambito di applicazione del decreto è altissimo: è stata
Intenzione del legislatore è estendere il più possibile l'applicazione di questo decreto. I temi che dobbiamo affrontare principalmente sono due: la durata massima giornaliera del lavoro e la durata massima settimanale. La Costituzione dice che la durata massima è stabilita dalla legge. In realtà non è proprio così, perché manca una norma che dice "l'orario massimo è di tot ore"; ma ci arriviamo indirettamente se prendiamo in considerazione la norma che dice che il lavoratore ha diritto a 11 ore di lavoro consecutive al lavoro nell'arco di 24 ore. Basta sapere fare una sottrazione per capire che in nessun modo si può andare oltre alle 13 ore giornaliere di lavoro: è il limite tassativo. Ma ciò che merita di essere attenzionato maggiormente è il limite settimanale. La durata normale dell'orario settimanale è di 40 ore, dopodiché si pone il problema della durata massima settimanale.
Quest’ultima è fissata in 48 ore. Il legislatore rinvia alla contrattazione di regole diverse che rendano flessibili questi vincoli. Il decreto 66 infatti consente alla contrattazione collettiva di flessibilizzare l’orario normale settimanale di lavoro e di flessibilizzare anche l’orario massimo. Come viene flessibilizzato il primo, quello normale? Si dice che sono possibili orari settimanali superiori alle 40 ore a condizione che la durata media dell’orario settimanale normale in un anno non sia superiore a 40 ore. 48 sono le ore di lavoro in cui 40 sono normali e 8 di straordinario; il legislatore dice che le parti sociali possono ulteriormente flessibilizzare la durata settimanale massima, purché ci sia il rispetto nell’arco di 4 mesi della media delle 48 ore. Ma dice di più il legislatore: dice che la contrattazione collettiva può elevare il periodo di riferimento su cui calcolare la media a 6 mesi o addirittura a un anno.
purché esistano evidentiragioni (da specificare nei contratti).La disciplina del lavoro straordinario
Venendo alla disciplina del lavoro straordinario, abbiamo alcune norme chiare e altre un po’fumose. “Il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto”, questo è il classico esempio diuna norma che non vuol dire niente. Vi è però certamente un limite posto dalla legge all’utilizzo deilavoratori straordinari, che è di 250 ore all’anno. La contrattazione collettiva può rendereobbligatorio il lavoro straordinario quando richiesto dal datore di lavoro, e può stabilirne la quantitàmassima. Quindi il legislatore dice 250 ore all’anno, però rinvia alla contrattazione collettiva pereventuali disposizioni che possano innalzare il limite. Il compenso per il lavoro straordinarioprevisto dai contratti collettivi è rapportato alle 40 ore settimanali, quindi alla durata normale. Mase io
lavoro più di 40 ore, allora avrò diritto ad una forma di remunerazione aggiuntiva. Non solo mi verranno pagate le 4 ore in più con tariffa normale, ma queste ore di lavoro straordinario possono essere incrementate sulla base di quanto previsto dalla base del contratto collettivo (10, 15 o 20% in più ad esempio). Ma mentre in passato la regolamentazione era molto semplice e rigida (per ogni ora il lavoratore ha diritto a ora di lavoro + percentuale), adesso non è più così: il legislatore dice che è la contrattazione collettiva a stabilire le modalità e le forme con cui il lavoratore viene compensato per il suo lavoro straordinario. Questo ci porta a dire che le ore svolte in più sono retribuite con una maggiorazione, però alla contrattazione collettiva è affidata la possibilità di usare altre forme di compensazione del sacrificio richiesto al lavoratore per lo straordinario. La forma più diffusaÈ quella del riposo compensativo. In molte aziende viene applicato il contratto collettivo che prevede quello che volgarmente viene chiamato “zainetto”, cioè il posto in cui vengono computate le ore di straordinario che si fanno. Il contratto collettivo prevede che una parte può essere usata per il fondo compensativo. Quindi se io lavoro 4 ore in più questa settimana, la settimana prossima posso smettere quattro ore prima il venerdì e si pareggia così. Non mi faccio pagare quelle ore straordinarie e le “metto nello zainetto”. Attingo allo zainetto quando voglio, magari in base a mie esigenze personali o anche solo per piacere (es: voglio farmi il fine settimana lungo). Il lavoratore ha diritto ad una pausa ogni 6 ore di lavoro continuative. Questa pausa è utile al recupero delle energie psico-fisiche, e laddove il lavoro è monotono e ripetitivo ad attenuare le conseguenze di questa attività ripetitiva.
La modalità di gestione delle pause è rinviata al contratto collettivo: se non si applica un contratto collettivo che prevede una disciplina specifica per le pause, allora si applica la disposizione legale – un po' leggerina rispetto al tema che stiamo affrontando – che dice che il lavoratore ha diritto a una pausa non inferiore ai 10 minuti. Parlando di riposo settimanale, il lavoratore ha diritto a ciò e non può rinunciarvi. Il lavoratore ha diritto a 24 ore di riposo (sommate alle 11) ogni sette giorni. Si noti che il riposo settimanale non necessariamente è domenicale. C'è quindi il tema della compensazione per il sacrificio dei lavoratori che lavorano la domenica. Il lavoratore che sacrifica il giorno domenicale per andare a lavorare ha diritto ad uno specifico risarcimento? È una domanda aperta. Nell'ambito molto dibattuto dei casellari in autostrada diversi giudici si erano pronunciati rispondendo positivamente.
A questa domanda, e individuando quindi la necessità di un compenso che fosse diverso da quello straordinario, ma fosse proprio volto a ripagare il sacrificio della rinuncia della domenica. La Legge 903 del 1997 vietava il lavoro notturno alle donne salvo che in due casi: donne che svolgessero mansioni direttive o donne che lavoravano in ambito sanitario. Questa norma stava dentro ad una legge a tutela delle donne, per la parità di genere. In Europa però c'erano state delle lamentele e si disse all'Italia "così facendo impedite alle donne di cogliere alcune opportunità di lavoro, così facendo non le state aiutando ma penalizzando e discriminando". L'Italia ha dovuto modificare la legge e ora il divieto di lavoro notturno è stato circoscritto solo per le donne in gravidanza. La definizione di lavoro notturno che ci viene data è "notturno è il periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti"
L'intervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino. La normativa serve a tutelare i lavoratori notturni, perché il lavoro notturno è considerato non solo più faticoso ma perché dal punto di vista relazionale chi lavora di notte vive al contrario rispetto agli altri. È un lavoro che richiede grandi sacrifici dal punto di vista relazionale. E tra il resto il lavoro notturno presenta anche più rischi di infortunio, perché il livello di attenzione può essere facilmente compromesso dal sonno. L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può essere superiore a 8 ore in media nelle 24 ore. Il lavoratore notturno ha diritto ad una retribuzione aggiuntiva. Il Decreto legislativo 76 richiede un preventivo accertamento di idoneità fisica del lavoratore al lavoro notturno. Il lavoratore non può essere adibito a lavoro notturno se non passando da una visita medica che risulti che non vi siano controindicazioni.
In secondo luogo, il legislatore dice che il datore di lavoro deve apprestare idonee misure di sicurezza contro gli infortuni. In base al decreto 81/2008 lo deve fare sempre, quindi può sembrare una semplice ripetizione. Ma in realtà il decreto 76 richiede specifiche misure.