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EPISODIO MISTO
Un è costituito da un periodo di rapide alternanze di umore,
almeno una settimana,
in cui sono presenti quasi ogni giorno le caratteristiche dell’episodio depressivo
maggiore alternate a
quelle dell’episodio maniacale.
DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE
[Un (riassunti – ripreso da
me sopra) è stimato tra il 10% ed il 25% per le donne e tra il 5% ed il 12% per gli
uomini. E’ più comune tra i familiari di primo grado. Il decorso è variabile.
Spesso fa seguito ad un grave evento stressante, come la morte di una persona cara o
un divorzio.
Beck, ha pubblicato nel 1967 la “Depressione”, in quest’opera Beck considera
secondarie le
modificazioni del tono dell’umore nel corso della depressione e primarie le distorsioni
che il sistema 65
cognitivo del soggetto opera nell’analisi degli eventi e nell’interpretazione della realtà.
Depressione è
dunque il viraggio che si viene ad operare da un processo di valutazione e
interpretazione più o meno
equilibrata dei dati di realtà verso un’elaborazione che distorce sistematicamente e
negativamente la
valutazione del Sé, la visione del mondo e le aspettative sul futuro. L’opera di Beck
rappresenta una
svolta nell’intendere la depressione per più ordini di motivi:
• Consentiva di trovare una linea di continuità al di sotto delle diverse manifestazioni
depressive normali come patologiche;
• Superava la contrapposizione tra una depressione nevrotica ed una psicotica;
• Per l’equilibrio che determinò tra aspetti psicologici e biologici;
• Perché dette via all’enorme allargamento del ricorso alla psicoterapia nella cura della
depressione.
Un disturbo distimico si caratterizza per un umore cronicamente depresso,
accertato lungo periodo
di almeno due anni. E’ caratterizzato da sintomi meno gravi, che creano però,
sofferenza e
compromissione del funzionamento lavorativo e sociale.]
[Un disturbo bipolare è caratterizzato da un decorso clinico con uno o più episodi
maniacali o
episodi misti (disturbi bipolare I) oppure dall’alternanza di episodi ipomaniacali con
episodi depressivi
maggiori (disturbo bipolare II).
Un disturbo ciclotimico è invece un’alterazione dell’umore cronica, fluttuante, con
periodi con
sintomi ipomaniacali e numerosi periodi con sintomi depressivi.]
PSICOSI MANIACO-DEPRESSIVA
Il disturbo bipolare era noto in passato come . Tra
tutti i disturbi psichiatrici, è quello che presenta la più alta componente genetica. Il
tasso di concordanza tra i gemelli monozigoti è del 79-87%. I familiari di primo grado
hanno un rischio del 10% di sviluppare un disturbo bipolare, un disturbo depressivo o
un disturbo schizoaffettivo. Il meccanismo eziologico è ritenuto simmetrico a quello
della depressione: in questo caso si registrano livelli aumentati di monoamine
neurotrasmettitoriali. Episodi maniacali o ipomaniacali possono essere scatenati
dall’azione di cocaina e amfetamine, che infatti aumentano l’attività monoaminergica;
gli episodi possono pure essere innescati dalla rottura del ciclo circadiano, da eventi di
vita, da gravi stress.
Il trattamento fa ricorso a stabilizzatori dell’umore. Il farmaco d’elezione è il
carbonano di litio, efficace nel 75% dei casi; la sospensione brusca può innescare un
episodio maniacale da sospensione. Date le oscillazioni d’umore di tali pazienti,
l’aderenza terapeutica può essere problematica, molti sospendono, nonostante gli
avvisi del medico, una volta superata una fase depressiva e così innescano o facilitano
l’insorgere di un episodio maniacale.
Il trattamento farmacologico è d’obbligo; la psicoterapia può avere un ruolo parallelo
importante, ma non sostitutivo.
INTERVENTO PSICOLOGICO:
- Aiutare il paziente ad accettare la propria malattia e a raggiungere una
valutazione realistica delle limitazioni che nel suo caso comporta, ristrutturando
i propri progetti di vita; 66
- Aiutare il paziente a fronteggiare le fasi depressive e valorizzare
produttivamente le proprie competenze (coping skills);
- Aiutare la famiglia a mantenere una propria omeostasi, a riconoscere segni
prodromici delle fasi maniacali, a cooperare nella compliance farmacologica e
nel fronteggiamento sia delle fasi depressive sia degli episodi maniacali
Si distingue tra disturbo bipolare I e II.
- DISTURBO BIPOLARE I è caratterizzato da un decorso clinico con uno o più
episodi maniacali o episodi misti, mentre…
- DISTURBO BIPOLARE II: è costituito da un decorso con uno o più episodi
depressivi maggiori e almeno un episodio ipomaniacale (e non maniacale).
- DISTURBO CLICLOTIMIC: è invece un’alterazione dell’umore cronica,
fluttuante, con numerosi episodi ipomaniacali e numerosi periodi con sintomi
depressivi che non raggiungono l’intensità di un episodio depressivo maggiore.
SUICIDIO
Suicidio è un qualunque atto a esito fatale in cui un individuo provochi
suicidio mancato
deliberatamente la propria morte. Un è l’atto suicidario fallito, ma
potenzialmente mortale.
Il tasso di suicidio nella popolazione normale in Italia è 13,5 su 100.000, ma il dato
deve essere considerato una sottostima a causa dell’evidente difficoltà di distinguere i
casi di suicidio da molte morti per cause accidentali (per esempio overdose); è più
frequente tra gli uomini.
Per PARASUICIDIO si intende qualunque atto a esito non fatale in cui un individuo
provochi deliberatamente danno a se stesso, per esempio ingerendo deliberatamente
una sostanza in dosi maggiori di quelle generalmente ammesse come terapeutiche. Si
presenta come un tentativo di suicidio, mancato in genere perché i mezzi impiegati
non sono appropriati. Al contrario dei suicidi, sono 3 volte più frequenti nel genere
femminile; sono pure più frequenti nelle classi di età giovanili, in alcuni disturbi di
personalità, particolarmente nel disturbo borderline di personalità. Ricordiamo che i
ideazione suicidaria
pensieri di suicidio ( ) sono comuni nella popolazione normale,
specialmente in età adolescenziale.
Nell’esame clinico di un paziente depresso è doveroso esplorare i pensieri attinenti al
suicidio e cercare di mettere in luce l’esistenza di un progetto suicidario (nel presente
come nel passato). La sofferenza e il senso di disperazione presenti in un episodio
depressivo possono indurre la persona a ritenere la morte preferibile alla propria
condizione. Il suicidio può apparigli l’unica soluzione possibile.
La stragrande maggioranza dei suicidi è associata a malattia mentale (95%) ciò non
toglie che i tentativi e i suicidi portati a termine possono essere frutto di una scelta
responsabile e non debbano essere ascritti necessariamente a un disturbo mentale.
suicidio assistito
Tema attuale: che coinvolge talvolta psicologi clinici
valutazione
Allo psicologo clinico è richiesta la dell’ideazione suicidaria: quanto a
lungo il paziente sia assorto in pensieri suicidari, quanto gli sia difficoltoso distogliere
l’attenzione e pensare a cose diverse. Va pure valutato il ‘’rischio suicidario’’, cioè la
probabilità teorica che un soggetto presenti condotte suicidarie (suicidio o
parasuicidio).
Affrontare nel corso del colloquio clinico un simile tema è particolarmente delicato e
richiede indubbiamente tatto, tempismo e sensibilità. L’idea che parlare di suicidio sia
pericoloso e possa far precipitare gli eventi è solo un mito ingiustificato e
controproducente; affrontare in termini pratici e concreti la questione è utile non solo a
67
livello informativo, ma è accompagnato spesso dal senso di sollievo del paziente che
ha modo di condividere un imbarazzante segreto.
DISPERAZIONE
Il costrutto da esplorare è chiamato e può essere rappresentato da
‘’la vita non vale la pena di essere vissuta
pensieri e convinzioni: ’’.
Accanto all’ideazione, occorre valutare il grado della sofferenza interiore, mentale o
emozionale, la presenza/mancanza di motivi per vivere, la presenza e la consistenza di
fattori che trattengono dal suicidio (convinzioni religiose, persone che sarebbero
messe in difficoltà o ne soffrirebbero). Altri aspetti da indagare sono l’impulsività, la
tendenza al passaggio all’atto e l’atteggiamento verso il suicidio. Per alcuni costituisce
una resa (non ce la faccio più) per altri una soluzione e una via d’uscita (sono soltanto
un peso per gli altri, senza di me avranno sollievo).
Una condizione di solitudine e isolamento, uno statu socioeconomico e culturale
basso, una diagnosi psichiatrica pregressa o diagnosi psichiatriche multiple sono
considerati fattori di rischio. Ci sono 8 elementi per valutare il rischio di suicidio: la
gravità dei tentativi precedenti, la storia dei tentativi precedenti, la presenza acuta di
ideazione suicidaria, una condizione psicologica di grave disperazione etc…
Tra coloro che in passato hanno avuto un tentato suicidio, il rischio di suicidio aumenta
40 volte rispetto alla popolazione generale. L’informazione di aver tentato il suicidio in
precedenza ha pertanto un altissimo valore prognostico e implica la necessità di
approfondimenti.
Una volta accertate le intenzioni suicidarie, lo psicologo clinico è tenuto a operare in
prima istanza per proteggere la vita del paziente. Il suo lavoro avrà innanzitutto lo
scopo di alleviare nell’immediato la sofferenza del paziente e aiutarlo a intravedere
soluzioni alternative.
L’accertamento di un rischio consistente può costringere lo psicologo a infrangere il
segreto professionale anche accettando il rischio di compromettere la relazione
terapeutica; può essere opportuno informare e mettere in allerta i familiari e suggerire
varie precauzioni.
CAPITOLO 7
DISTURBI D’ANSIA
L’ANSIA E LA SUA STRUTTURA
L’ansia di per sé non è un fattore patologico, ma rappresenta un meccanismo utile
all’adattamento
ed alla sopravvivenza, perché consente di riconoscere un pericolo e permette di
mobilitare le risorse appropriate per fronteggiare la situazione. La funzione informativa
dell’ansia è quindi paragonabile a quella del dolore: si tratta di un segnale che
distoglie l’individuo dalle attività in atto e lo spinge a prendere provvedimenti atti a
prevenire danni futuri e a fare qualcosa per porre termine al disagio che avverte.
Il problema dei disturbi d’ansia non è la presen