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ESEMPIO DI CONTO ECONOMICO – APPENDICE ILLUSTRATIVA DELLO IAS 1
Perdita dell’anno per operazioni non più nell’esercizio, discontinuate
È un tipo di rappresentazione in bilancio che può essere una perdita o un utile d’esercizio.
IFRS 5
Attività non correnti possedute per la vendita e attività operative cessate.
Questo standard impone una rappresentazione separata degli effetti economici di quei beni non correnti intesi come beni
materiali e immateriali o eventualmente partecipazioni che il gruppo o l’impresa per qualsiasi motivo ha deciso che non devono
più rimanere all’interno del gruppo ma che sono destinate a essere vendute. Per questo motivo gli effetti economici di questi beni
destinati a uscire dal compendio del patrimonio aziendale vengono esposti separatamente. Questa è un’informazione utile per gli
analisti di bilancio e per gli investitori perché più volte gli investitori cercano, attraverso tutte le informazioni a disposizione
derivanti dal bilancio, di ipotizzare quella che sarà la generazione di cassa futura. L’EBITDA prima e l’utile sono un indicatore futuro
di un andamento/trend che può generare cassa. Sapere che certe attività sono destinate a uscire, quindi non produrranno più utili
o perdite, è un’informazione molto importante, per questo motivo lo standard richiede questa informazione separata nel CE.
Cosa si intende per attività non correnti?
Le attività non correnti possono essere un bene singolo ma il più delle volte è un insieme, un ramo d’azienda in cui ci sono oltre
alle immobilizzazioni materiali e immateriali anche un minimo di crediti, debiti, magari scorte e forse anche dei costi del personale
che viene ceduto assieme al ramo d’azienda. Si tratta di un ramo d’azienda relativamente poco importante; se fosse un ramo
d’azienda molto consistente allora si applica più o meno lo stesso principio ma con qualche precisazione/dettaglio in più. In questo
caso parliamo di vendita. Nel secondo caso, quando si tratta di qualcosa di molto più importante (come per esempio la divisione
di una parte del gruppo) può essere una vendita ma può anche essere un abbandono.
Cosa vuol dire vendita?
Vuol dire che l’impresa non è che ha l’intenzione di vendere ma si è già attivata sul mercato per vendere questo ramo di azienda,
che deve essere però disponibile per la vendita nella sua configurazione attuale. Non si possono comprare altre cose o aggiungerne
altre; il ramo d’azienda da vendere è quello configurabile così com’è nelle sue condizioni.
La vendita non è una mera intenzione, ci devono essere delle trattative già avviate quindi si deve avere già “invitato” dei possibili
acquirenti e si devono essere già avviate le trattative perché la vendita deve avvenire entro l’anno. Se l’intenzione è di vendere
ma in un futuro più lontano, non si qualifica questo trattamento contabile separato. Se entro l’anno continua a essere parte
integrate delle operazioni, non è un’informazione giusta da fornire agli analisti finanziari.
In questo caso le attività e le passività all’interno di questo ramo d’azienda sono classificate separatamente e l’effetto economico
finisce in una riga particolare del bilancio, sotto a tutte le operazioni c.d. normali/ricorrenti.
MISURAZIONE
Come vengono misurare?
Vengono misurate al minore fra il valore di bilancio e il fair value, cioè il prezzo che si suppone scontare dalla vendita meno i costi
necessari per la vendita. Se si misura questo gruppo di attività e passività al minore fra i due, questo può generare degli utili o
delle perdite.
Tutte le attività e le passività vengono misurate in base a questo criterio: il minore fra l’ultimo valore di iscrizione in bilancio e il
fair value desumibile dalla vendita meno i costi della vendita. Fanno eccezione quelle attività eventualmente ricomprese in questo
ramo d’azienda che già sono al fair value, per esempio quelle attività finanziarie che possono essere valutate a fair value in forza
dello IAS 39 o dell’IFRS 9 sugli strumenti finanziari. Altra voce che rimane non toccata sono le imposte differite perché anche quelle
sono calcolate in modo tale che rappresentano un fair value loro stesse. Al di là delle voci che in forza di altri principi sono già al
fair value, tutto il resto viene misurato al minore tra il valore d’iscrizione in bilancio e il fair value.
La cosa particolare è che ancorché la vendita debba avvenire entro l’anno, è possibile che il passaggio del tempo abbia un effetto.
Una volta con certi tipi di tassi di interesse aveva un effetto notevole anche nell’arco di 6-8 mesi piuttosto che a lungo termine.
Adesso la cosa è meno importante però concettualmente rimane. Se c’è un effetto di passaggio del tempo, prima che sia incassato
il fair value di questo bisogna tenerne conto e quindi fare la solita attualizzazione.
Time value of money ricorre pressochè sempre in tutti questi standard contabili.
Una cosa particolare è che se ho classificato beni (materiali e immateriali) soggetti ad ammortamento all’interno di un ramo
d’azienda destinato alla vendita, dal momento in cui applico questo principio dicendo che questi beni usciranno entro un anno dal
perimetro del patrimonio aziendale, si interrompe l’ammortamento. Se quei beni, ancorchè destinati alla vendita, continuano a
partecipare al processo produttivo ci si chiede perché il deperimento fisico non debba concorrere a formare i costi di produzione
e quindi anche le scorte. L’argomento contrario è relativo al fatto che così facendo si diminuisce il valore e siccome deve essere il
minore tra fair value e costo di vendita automaticamente si aumenta il differenziale. Quindi si cessa di fare l’ammortamento perché
questo è quello che viene richiesto.
In nota integrativa bisogna dare dettagli, quindi le attività e le passività eventualmente comprese nel ramo d’azienda vengono
disaggregate in modo da far capire quanto esce di immobili, quanto esce di scorte e quanto esce di crediti. Sempre in nota
integrativa/illustrativa/disclosure note, quindi nelle note al bilancio, bisogna dare anche le motivazioni per cui si è deciso di
procedere alla vendita.
Se la vendita non avviene entro un anno?
Dovrebbe essere un caso eccezionale perché vuol dire che tutti i piani formali di vendita sono falliti, quindi che la cosa non ha
funzionato. L’IFRS 5 dice che una cosa del genere può capitare solo se ci sono degli eventi successivi alla decisioni/trattative che
non dipendono dalla volontà del management (es. è successo qualcosa nell’economia oppure è cambiato una fiscalità per esempio
sulle plusvalenze per cui non è più appetibile quel ramo d’azienda). Dovrebbe essere un caso eccezionale e non dipendente dalla
volontà del management ma, pur essendo eccezionale, può capitare. Se capita, questo gruppo di attività e di passività lo si deve
riportare all’interno di tutte le attività e passività dell’impresa al minore fra il precedente valore e l’eventuale minor valore
derivante dallo IAS 36. C’è il sospetto fondato che se questa vendita non è avvenuta vuol dire che qualcuno ha ritenuto che questo
bene non fosse particolarmente apprezzabile, quindi si deve procedere all’impairment test in base allo IAS 36. Assumendo che
l’impairment tenga, prendo il valore precedente di questo gruppo di attività e di passività (del ramo d’azienda) ma ci ricalcolo gli
ammortamenti che non ho fatto, quindi nel CE avrò la ripresa di questi ammortamenti e un minor valore degli immobilizzi materiali
e immateriali per non aver fatto gli ammortamenti.
Caso in cui il ramo d’azienda sia una parte importante dell’attività dell’impresa, quindi non un insieme di attività e passività che,
sì hanno una certa significatività all’interno del bilancio, ma non così tanto rispetto al complesso del business totale dell’impresa.
Per esempio potrebbe essere un segmento operativo così come definito dall’IFRS 8. Il termine che usano è “major line of business”,
ossia maggiore linea di attività imprenditoriale. Distinguere tra un ramo d’azienda relativamente importante e una “major line of
business” non è sempre così semplice, bisogna esercitare il buon giudizio di chi prepara il bilancio, tenendo conto anche di quelle
che sono le considerazioni che eventualmente gli analisti e gli investitori fanno su questi tipo di rami d’azienda più o meno
importanti. In genere si tratta di una divisione che è autonoma rispetto al resto dell’impresa, quindi genera i suoi ricavi e i suoi
costi autonomamente. In questo caso l’uscita dal patrimonio aziendale può avvenire o per vendita (del ramo aziendale) o perché
semplicemente si abbandona quel tipo di attività (caso tipico: rami d’azienda in perdita, a un certo punto ci si stufa di mettere
soldi dentro e quindi si liquida o si abbandona). All’interno del gruppo ci possono essere attività che effettivamente producono
perdite (quindi sono discontinue); se invece sono ancora appetibili sul mercato allora si può procedere alla vendita.
In tutti e 2 i casi, queste attività e passività relative a un semplice ramo d’azienda vengono esposte separatamente e il criterio di
misurazione dell’impatto economico è lo stesso: il minore fra il fair value meno i costi di vendita ovvero il fair value dell’eventuale
vendita “spezzatino” e i costi di vendita; se invece si abbandona proprio fa 0. A volte si potrebbe andare anche in negativo, ad
esempio se devo dismettere un impianto che nessuno vuole comprare e per il quale devo sostenere dei costi di smantellamento.
Può accadere anche nel caso di vendita di una partecipazione di controllo (formata da attività, passività, costi e ricavi) dove è il
venditore che ha dato dei soldi al compratore, ad esempio perché quest’ultimo dopo l’acquisto dovrà fare delle ristrutturazioni.
Quando si calcola l’utile o la perdita da questa dismissione bisogna tener conto dell’eventuale impatto delle imposte differite.
Qual è la differenza tra il “major line of business” e uno che non è un “major line of business”?
Le differenze sono sostanzialmente 2. I criteri di misurazione sono sostanzialmente gli stessi.
- Per quello che riguarda un “major line of business” devo dare anche l’effetto sull’anno precedente, come se fosse già uscito
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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