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2. SOCIETA’ CHIUSA E INESPERIENZA DEMOCRATICA

Società brasiliana come società in transizione. La società chiusa del Brasile coloniale, schiavista, senza

popolo, riflessa, antidemocratica, è il punto di partenza della fase di transizione.

Il Brasile è nato e cresciuto in condizioni negative per qualsiasi esperienza democratica. La caratteristica della

nostra colonizzazione, ingiusta, basata sullo sfruttamento economico della grande proprietà terriera dove il

potere del signore si estendeva dalle terre alle persone, e sul lavoro degli schiavi, che dapprima furono gli

indigeni poi gli africani, non offriva le condizioni necessarie per sviluppare nell’uomo brasiliano una mentalità

permeabile, flessibile, caratteristica del clima culturale democratico. l’economia nazionale, basata sul regime

schiavista, non comportava una struttura politica democratica e popolare. La storia della colonizzazione fu un

impresa commerciale.

Di qui trae la sua origine il mutismo brasiliano. La società in cui è negato il dialogo e che al posto del dialogo

riceve dei comunicati, mescolanza di coercizione, diventata muta. Il mutismo non vuole sempre dire

mancanza di risposta, bensì una risposta cui manca lo spirito critico. Per dialogare ci vuole un po' di mentalità.

Il dialogo implica la responsabilità sociale e politica dell’uomo ed un minimo di coscienza transitiva, che nella

grande proprietà terriera non trova condizioni adatte alla sua crescita.

Il lavoro degli schivi generò ostali che strangolarono ogni incipiente mentalità democratica, ogni permeabilità

della coscienza, ogni possibile esperienza di partecipazione e di autogoverno.

Oliviera Viana ha definito lo strangolamento dei fragili centri urbani da parte della grande proprietà agricola col

nome di: funzione disintegrante delle grandi proprietà. All’interno della struttura economica della grande

proprietà, e col lavoro degli schiavi, non c’era posto per rapporti umani che creassero attitudini mentali

flessibili, capaci di condurre l’uomo a forme di solidarietà che non fossero quelle esclusivamente private: mai

quelle della solidarietà politica.

La formazione si è sempre caratterizzata dalla esagerazione del potere. Al potere esagerato, si unisce la

sottomissione. Dalla sottomissione derivano l’adattamento, l’accomodamento e mai l’integrazione. Il problema

dell’adattamento e dell’accomodamento si lega a quello del mutismo. nell’adattamento l’uomo non dialoga,

non partecipa ma si accomoda a determinazioni che si sovrappongono a lui.

Questa è la costante della storia coloniale. l’uomo è stato sempre schiacciato dal potere dei signori delle terre,

dai governatori generali.

Come dice Berlink, in questo paese non si sono avute aspirazioni democratiche. l’uomo comune era escluso

dal processo elettorale, poiché gli era proibita qualsiasi ingerenza nei destini della sua comunità, era

inevitabile che emergesse una classe di gente privilegiata che governasse da sola la comunità municipale. Ci

si trovava adattati ad un tipo di vita rigidamente autoritario, con esperienze esperienze antidemocratiche,

quando circostanze impreviste alterarono il ritmo della vita coloniale.

Nel 1808 arriva a Rio De Janeiro Re Giovanni VI. Questo fatto doveva modificare profondamente la vita

brasiliana. I cambiamenti che ne derivarono furono realmente grandi, ma a causa del regime schiavista (che

impediva i nuovi tentativi di sviluppo che il lavoro libero avrebbe provocato) non si aveva la forza necessaria a

promuovere l’uomo.

Solo a partire dalla spaccatura della società brasiliana e della sua entrata nella fase di transizione, si può

parlare di impero popolare, la voce del popolo che comincia ad emergere.

La democrazia che prima ancora di essere una forma politica, è una forma di vita, si caratterizza per una forte

dose di coscienza transitiva nel comportamento dell’uomo. Transitività che nasce e si sviluppa solo in certe

condizioni che proiettino l’uomo verso il dibattito, verso l’esame dei suoi problemi e dei problemi comuni, verso

la partecipazione.

Una riforma democratica, dice Zevedei Barbu, deve essere fatta non solo col consenso del popolo ma con le

mani del popolo. Per costruire una società con le proprie mani i membri di un gruppo devono avere una

notevole esperienza e conoscenza della vita pubblica. Tra noi invece, prima della spaccatura della società

brasiliana che generò le prime condizioni per la partecipazione, si verificò il contrario.

E’ negli anni venti, dopo la prima guerra mondiale, e più evidentemente dopo la seconda, che lo sviluppo

industriale ricevette un grande impulso. Con esso si verificò lo sviluppo crescente dell’urbanizzazione in tutte le

zone fortemente popolate del paese. Ne derivò l’insorgere di alcuni centri urbani. Il paese iniziava ad

incontrarsi con se stesso. Il suo popolo emerso dava inizio alle proprie esperienze di partecipazione.

Ma tutto ciò era coinvolto negli scontri tra i vecchi e i nuovi temi.

3. L’EDUCAZIONE CONTRO LA MASSIFICAZIONE

Siamo convinti con Lipset che “ quanto più una nazione è povera e quanto più sono bassi i livelli di vita delle

classi inferiori, tanto più forte sarà la pressione che gli strati superiori fanno su di loro, considerandoli

spregevoli, inferiori, una casta senza alcun valore. Le differenze rilevanti tra lo stile di vita delle classi inferiori e

quello delle classi superiori sono psicologicamente necessarie, perché è naturale che gli strati più elevati della

società tendano a sbarrare i diritti politici degli strati inferiori, specialmente il diritto di interferire nel potere,

come assurda e immorale”.

Tuttavia, nella misura in cui le classi popolari emergono, esse scoprono e diventano sensibili all’immagine che

di loro si fanno le èlites e si dispongono sempre meglio a dar risposte regressive autentiche. Le èlites,

impressionate, a loro volta, finché sono al potere cercano di zittire le masse popolari, addomesticandole con la

forza e con stratagemmi paternalistici, cercando di bloccare il processo che porterebbe all’emersione del

popolo, con tutte le relative conseguenze.

Quanto più si parlava di necessità di riforme, di ascesa del popolo al potere, in termini spesso emotivi, per i

quali poteva sembrare che non si prendesse in considerazione che le èlites ancora detenevano il potere, come

se queste èlites avessero scoperto oramai che i loro privilegi non corrispondevano solo a dei diritti, ma

sopratutto a dei doveri verso la nazione, tanto più le èlites si stringevano in file serrate, irrazionalmente, per

difendere privilegi inautentici, tanto più si raggruppavano intorno ai loro interessi; bel lontani dell’identificarsi

con la nazione, sono anzi l’antinazione.

Gran parte del popolo che emergeva, era disorganizzato, ingenuo e impreparato con rilevanti indici di

analfabetismo e semianalfabetismo, diventava lo zimbello degli irrazionalismi.

Bisognava convincersi che era ovvia l’urgenza di riforme totali nell’educazione in una società che subiva e

subisce cambiamenti profondi. Queste riforme dovevano riguardare sia l’organizzazione sia il contenuto del

lavoro educativo in altre istituzioni, oltre i limiti strettamente inerenti alla pedagogia. Avevamo bisogno di un

educazione alla decisione, alla responsabilità sociale e politica.

Mannheim dice: “ ma in una società in cui i più importanti cambiamenti si operano con deliberazione collettiva

e dove la collocazione di nuovi di nuovi valori deve basarsi sul consenso e sulla comprensione intellettuale, si

richiede un sistema di educazione completamente nuovo”.

Ci sembrava che la principale preoccupazione di un’educazione per lo sviluppo e per la democrazia dovesse

essere quella di offrire all’educando i mezzi per resistere alla violenza dello “sradicamento”; infatti è questa

l’arma forte della civiltà industriale cui apparteniamo, anche se essa è provvista di molti messi, per migliorare

sempre più le condizioni di vita dell’uomo.

L'educazione dovrebbe mettere l'uomo in costante dialogo con l'altro; prepararlo a continue revisioni, alle

analisi critiche delle sue scoperte; identificarlo con metodi e processi scientifici, provocarlo a percepire i propri

rapporti dialettici con la realtà che deve essere trasformata; dovrebbe essere un'educazione che,

problematizzando la presenza dell'uomo nel mondo, lo aiuti ad assumere di fronte al mondo una posizione

sempre più critica.

Escluso dalla sfera delle decisioni, sempre più ristretta ad una minoranza, l'uomo è comandato dagli strumenti

della pubblicità a tal punto che non confida più in niente, all'infuori di quello che ascolta alla radio, che vede

alla televisione o che legge. Ne deriva la forma mitica di spiegarsi il mondo. Il suo comportamento è quello

dell'uomo che perde dolorosamente il proprio indirizzo. Diventa un uomo sradicato.

Risulta importante riformulare il compito educativo nel senso di una formazione autentica alla democrazia.

Compito educativo che senza dimenticare e senza ignorare le condizioni culturali della nostra formazione

paternalista, verticale, e perciò antidemocratica, non trascurasse le nuove condizioni della realtà, che erano

poi le condizioni propizie allo sviluppo della nostra mentalità democratica.

Alla transitività della coscienza si univa il fenomeno della ribellione popolare. Il popolo brasiliano doveva

guadagnarsi la sua responsabilità sociale e politica, ed acquistare attraverso la partecipazione una sempre

maggiore influenza sull'orientamento della scuola dei suoi figli, sul suo sindacato, sulla sua impresa, attraverso

assemblee, club, comitati.

In realtà, se esiste un sapere che si incarni nell'uomo tramite l'esperienza e la vita, questo può solo essere il

sapere democratico.

Ma i brasiliani, insistendo nella loro tendenza alla verbosità, pretendono di trasferire al popolo il sapere tramite

le nozioni, come se fosse possibile insegnare la democrazia e allo stesso tempo giudicare “assurda e

immorale” la partecipazione del popolo al potere.

È indispensabile un'educazione coraggiosa che affronti la discussione con l'uomo comune circa il suo diritto

alla partecipazione. Un'educazione che conduca l'uomo ad un atteggiamento nuovi di fronte ai problemi del

suo tempo e del suo spazio, ad avere dimestichezza con entrambi; alla ricerca, invece che alla noiosa

ripetizione di testi e di affermazioni slegate dalla sua vita reale. L'educazione dell'io mi meraviglio e non solo

dell'io fabbrico.

L'educazione dovrebbe consis

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Publisher
A.A. 2017-2018
9 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher letiziadr91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e metodi della formazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Cardarello Roberta.