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CORSO DI DIRITTO COMMERCIALE (2015)
per oggetto o effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza
all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
Del tutto analoga è la formulazione dell’art. 101 del TFUE, quello che cambia è chiaramente l’ambito
geografico.
Sia la norma italiana che quella comunitaria contengono un elenco di carattere esemplificativo e non tassativo
di intese considerate anticoncorrenziali. La lista comprende sia intese orizzontali, cioè tra imprese che operano
allo stesso livello economico, p.e. tra produttori dello stesso bene, sia intese verticali, p.e. tra produttori e
rivenditori.
Le ipotesi tipizzate (di comportamenti rilevanti ai fini della normativa antitrust, comportamenti vietati o
problematici in quanto anticoncorrenziali) concernono:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di
transazione;
p.e. se la Fiat decide si mette d’accordo con tutte le altre case produttrici di automobili di non vendere
autoveicoli a meno di 15.000 €, questa è senz’altro un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza. Il
consumatore che qui è un soggetto direttamente tutelato viene danneggiato dal fatto che non trovo più
neanche una macchina a meno di 15.000 €.
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
p.e. non pongo nessuna regola sul prezzo, però non produrrò più di 3 macchine l’anno. Riducendo la
produzione molto spesso si alza il prezzo di vendita, perché l’utilità marginale è decrescente. L’effetto
è analogo, sto riducendo la quantità e non il prezzo.
p.e. il problema del monopolio dal punto di vista dell’efficienza del sistema economico non è quello
che ci sia un solo monopolista. Il male del monopolio, a meno che non sia un monopolio naturale, dal
punto di vista dell’efficienza del sistema, sta nel fatto che il monopolista sceglie il prezzo che
massimizza il suo profitto, producendo meno di quanto sarebbe socialmente ottimo.
Il monopolio ha due problemi: uno è che tutto il profitto arriva in capo ad un unico soggetto, ma il
monopolio ha anche il problema della dimensione della torta perché il monopolista pone un livello di
produzione, una quantità di prodotto tale da massimizzare il suo profitto e questa quantità di prodotto
che massimizza il suo profitto individuale non è la quantità di prodotto socialmente efficiente. Tutto
questo funziona perché il monopolista è costretto ad utilizzare un unico prezzo. Se il monopolista
potesse frammentare il mercato e vendere al consumatore, che valuta il primo lt. d’acqua 100 miliardi
di € altrimenti muore, 100 miliardi di € e invece l’ultimo lt. d’acqua venderlo a 1 €. Se potesse
discriminare il prezzo allora il monopolista non si fermerebbe più ad una quantità inferiore ma
produrrebbe tutto, perché la quantità aggiuntiva non gli costerebbe in termini di prezzo più del costo
del prodotto 1, 2 e 3. La ripartizione tra i mercati potrebbe essere la discriminazione perfetta dei prezzi
da parte dei produttori. Discriminazione perfetta che in realtà avvicina il sistema a quello della
concorrenza perfetta. L’unico problema è che, in caso di monopolio con discriminazione perfetta dei
prezzi (la curva della domanda è tale per cui il primo bene la gente è pronta a pagarlo tantissimo e
l’ultimo bene prodotto è disposta a pagarlo pochissimo, quindi il monopolista invece di fissare un
prezzo unico che massimizza il suo profitto, applica al primo cliente un prezzo altissimo e all’ultimo
un prezzo bassissimo), tutto il profitto se lo prende il monopolista (il consumatore non ha nessun
surplus perché paga sempre il massimo di quello che è disposto a pagare per quella quantità di bene),
mentre nel caso di concorrenza perfetta la torta è divisa in due tra produttori e consumatori.
c) Intese volte a ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
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p.e. tu vendi qui e io vendo là, per cui siamo entrambi monopolisti.
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
p.e. se sei monopolista legale, allora devi trattare tutti allo stesso modo, assicurando le loro richieste.
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con
l'oggetto dei contratti stessi (c.d. tying contracts che significa legare insieme due prestazioni che non
centrano nulla).
p.e. Microsoft ti vende il computer, ma con il computer sei obbligato a comprarti anche outlook.
Un’altra azienda che produce lo stesso software non riesce a competere perché si trova il mercato
bloccato.
Tutto ciò è vietato e civilisticamente nullo.
All'indagine è preposta un'autorità indipendente, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM),
organo collegiale composto da cinque membri nominati dai presidenti delle camere o la Commissione Europea.
È vietato nel senso che l’autorità, cioè la Commissione o l’AGCM, a seconda se siamo in ambito europeo o
italiano, prende l’intesa e la analizza. Se vede che c’è un’intesa che limita il gioco della concorrenza, adotta i
provvedimenti per rimuovere gli effetti ed eroga una sanzione assai pesante.
L’AGCM può accertare, quindi, la violazione del divieto, adottare i provvedimenti necessari per rimuoverne
gli effetti anticoncorrenziali (come nel 2599 la sentenza può inibire la prosecuzione e adottare i provvedimenti
necessari per eliminarne gli effetti) ed emettere sanzioni pecuniarie, che sono notevolissime. Nonché disporre
in caso di reiterata inottemperanza la sospensione dell’attività d’impresa fino a 30 gg.
Questa è un’ipotesi di nullità e secondo le regole generali della nullità, chiunque può farla valere, chiunque
abbia un interesse. Il consumatore ha sicuramente un interesse a farlo, quindi, indipendentemente da ogni
provvedimento dell’AGCM, cioè a prescindere che l’AGCM funzioni bene o meno, chiunque piò adire al
tribunale, può andare davanti al giudice, per far dichiarare la nullità dell’intesa.
Come mai oltre alla nullità serve la sanzione?
Perché molto spesso essendo comportamenti che convengono all’imprenditore vengono seguiti anche se
dichiarati nulli.
Questo argomento è collegato alla figura della pratica concordata. È una figura discussa ma nel testo si dà
un’interpretazione lata di questa figura, che ricomprende anche il c.d. conscious parallelism (parallelismo
consapevole) delle imprese che uniformano il loro comportamento sul mercato (esempi sotto posti al vaglio
dell’AGCM hanno riguardato le imprese di telefonia, quelle petrolifere e in genere le imprese operanti in un
regime di oligopolio, ove si assiste spesso a variazioni dei prezzi dei beni quasi simultanee per lunghi periodi
di tempo). Quindi un comportamento che non è un accordo vero e proprio, non c’è stato nessun incontro tra
imprenditori nel quale hanno siglato alcuni impegni giuridici, non c’è stata nessuna riunione di associazioni di
imprese, di consorzi, ecc. in cui si è deliberato, d’ora in poi, vendiamo tutti allo stesso prezzo, però stranamente
se la Shell aumenta il prezzo della benzina, tutte le altre compagnie petrolifere aumentano il prezzo della
benzina. E stranamente se il giorno dopo la Shell lo diminuisce, anche tutte le altre compagnie lo diminuiscono.
Questa è una pratica concordata, non c’è un vero e proprio accordo però in sostanza ci si muove come se ci
fosse. Ovviamente non basta, per dimostrare una pratica concordata, un unico momento bisogna che sia un
comportamento cronologicamente rilevante. Inoltre serve che ci siano elementi di fatto che qualifichino il tutto
come una scelta consapevole, p.e. la prova di scambi di informazioni.
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Quindi, intesa vuol dire senz’altro l’accordo ma non solo, p.e. le decisioni di associazioni di imprese e di
consorzi e perfino un comportamento di fatto che in qualche modo assomiglia a quello che sarebbe il
frutto di un’intesa.
Si ritiene che non rientrino nel concetto di intese vietate quelle intercorrenti tra società dello stesso gruppo, in
quanto, nell’ambito dell’antitrust, vale una nozione economica di impresa che prescinde dalla distinta
soggettività giuridica delle società. Viene valorizzato il dato sostanziale ossia che queste imprese appartengono
ad un gruppo la cui attività è diretta e coordinata unitariamente (2497 e ss.)
Le intese non sono vietate in generale, ma solo quando impediscano, restringano o falsino in maniera
consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale (o comunitario) o di una sua parte
rilevante.
Ma cosa si intende per mercato rilevante?
Solo se definiamo l’ambito del mercato, siamo poi in grado di capire qual è l’effetto di un’intesa su tale
mercato. È un parametro utile a valutare l'esistenza di una lesione della concorrenza. Questo vale in particolare
per le intese che non sono presenti nell’elenco visto in precedenza per capire se sono idonee a rientrare nella
definizione dell’art. 101.
Diventa importantissimo qui come per le altre figure di illecito concorrenziale, l’abuso di posizione dominante
e le concentrazioni, avere in mente come si definisce il mercato rilevante. Tutte le analisi della normativa
antitrust si fanno, avendo a riferimento un certo mercato.
Il mercato rilevante si identifica:
• sia dal punto di vista del prodotto, dal punto di vista merceologico è simile al concetto di
→
intercambiabilità o sostituibilità dei prodotti da parte del consumatore in relazione alle loro
caratteristiche, al prezzo e all'impiego.
• sia dal punto di vista geografico bisogna riferirsi all'area ove le imprese agiscono in concorrenza.
→
Non esiste una definizione legislativa generale ma si tratta di un concetto economico e ha a che fare con la
sostituibilità del prodotto agli occhi del consumatore.
Se io devo valutare l’intesa nel mercato come potenzialmente nulla ai sensi delle norme sopra analizzate, devo
andare a definire il mercato. Solo dopo aver fatto questo posso capire se ho un&rsquo