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L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA
L’individuazione del soggetto cui imputare la qualità giuridica d’imprenditore è regolata dal criterio formale della spendita del nome, un criterio
formale e di facile accertamento, rispetto all’art.2082cc.
Nel caso in cui l’imprenditore agisca direttamente vi sarà perfetta identità tra soggetto nel cui nome si compie l’attività e soggetto nel cui interesse
l’attività d’impresa è esercitata.
L’imprenditore può scegliere di agire attraverso l’istituto del mandato con rappresentanza, art.1704. in questo caso il soggetto agente, mandatario,
esercita l’impresa in nome e per conto dell’imprenditore-mandante. Soltanto al mandante spetta la qualifica d’imprenditore ed è responsabile degli
atti giuridici compiuti dal mandatario.
Spesso, un soggetto decide di svolgere un’attività utilizzando un “prestanome”, questi agirà solo formalmente in nome proprio. Il vero imprenditore,
dal punto di vista economico, è il soggetto che fornisce capitali, dirige l’impresa e ne introita i profitti. Il problema sorge nel riconoscere l’imprenditore
dal punto di vista del diritto.
Il “prestanome” è, si solito, un nullatenente o una società di comodo. Se gli affari proliferano, l’imprenditore rimasto occulto (dominus) ne trarrà
profitto e continuerà ad investire nell’impresa, ma in caso di dissesto egli non potrà essere giuridicamente chiamato a rispondere, con discapito dei
creditori che non potranno rifarsi sul “vuoto patrimonio” del prestanome.
Ai sensi dell’art.147 della Legge Fallimentare:
Fallisce il socio occulto di società palese;
Fallisce il socio occulto di società occulta;
Fallisce l’imprenditore occulto, pur in assenza di vincolo societario, con un soggetto apparente che ne manifesta la volontà.
Es: società ORO snc di Aldo e Giovanni Palese. Se la società fallisce, falliscono anche gli imprenditori. A fianco dei fratelli Palese, si aveva anche il
consocio Giacomo Occulto che compartecipava alla società: fallisce anche lui.
Es: Giacomo acculto era socio di Aldo Palese e la società non appariva formalmente, ma si aveva una ditta individuale. Falliscono entrambi, anche
Giacomo Occulto.
Es: Giacomo Occulto era il dominus, colui che forniva capitali e dirigeva l’azienda, e Aldo Palese era soltanto il “prestanome”.
In questo caso la dottrina si divide in due differenti correnti di pensiero:
Alcuni sono favorevoli e non trovano nessun dubbio, nell’estendibilità del fallimento anche all’imprenditore occulto;
Altri studiosi contestano la teoria dell’imprenditore occulto, affermando che l’imputazione dei debiti d’impresa deve ritenersi sempre retta da
indici formali ed oggettivi. Sebbene non chiamando il dominus occulto a rispondere, si danneggiano i creditori dell’imprenditore “prestanome”;
l’opposta soluzione vede il vantaggio oltre i limiti di tali creditori della tutela dell’affidamento, poiché finirebbero col giovarsi di un patrimonio su
cui non potevano fare affidamento quando concessero credito al prestanome, tutto ciò a danno dei creditori personali del dominus, che non
conoscevano l’esistenza di un’attività economica del proprio debitore gestita tramite un prestanome.
SOGGETTI INCAPACI E QUALITÀ DI IMPRENDITORE
La capacità dell’esercizio dell’impresa si acquista con la piena capacità di agire, cioè al 18 anno d’età e si perde in seguito ad interdizione o
inabilitazione. La capacità di agire è il presupposto per l’acquisto della qualità d’imprenditore.
Il minore, l’interdetto e l’inabilitato non possono in alcun caso iniziare l’esercizio di attività commerciale e possibile però, la continuazione, nel loro
interesse, di un’attività commerciale pervenuta a titolo derivativo.
I provvedimenti di autorizzazione saranno inscritti nel registro delle imprese, e l’attività sarà poi esercitata dal rappresentante legale nel caso
dell’interdetto e del minore, o con l’assistenza di un curatore nel caso dell’inabilitato.
Il minore emancipato (colui che ha contratto matrimonio prima della maggiore età) costituisce un’eccezione. Può essere autorizzato dal Tribunale,
non solo a continuare l’esercizio di un’impresa commerciale, ma pure ad iniziare ex-novo tale attività. Egli acquisterà la piena capacità di agire per la
gestione dell’impresa.(art.397) 5
FINE DELL’IMPRESA
Per determinare la fine dell’impresa, riusiamo la regola dell’effettività: l’espletamento delle formalità amministrative eventualmente previste (avvisi
al pubblico, cancellazione da albi..) non è condizione sufficiente perché l’impresa possa dirsi cessata.
Per la giurisprudenza, estinta è l’impresa solo a liquidazione ultimata, cioè quando sono state risolte tutte le posizioni debitorie e creditorie
dell’impresa stessa.
Il nuovo art.10 della Legge Fallimentare, ha introdotto delle novità: l’imprenditore, sia individuale che collettivo, che ha cessato l’esercizio
dell’impresa, può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente
alla medesima o entro l’anno successivo.
L’art.147 della Legge Fallimentare, comma 2, prevede che l’ex-socio illimitatamente responsabile possa essere dichiarato fallito solo entro un anno
dall’iscrizione dell’avvenuto scioglimento del rapporto sociale (recesso, esclusione) o della cessazione della responsabilità illimitata (trasformazione,
fusione, scissione) e se l’insolvenza attiene a debiti già esistenti alla data della cessione della responsabilità illimitata.
MODELLI ORGANIZZATIVI DELLE IMPRESE
Le imprese si differenziano tra loro in base alla tipologia svolta, alle dimensioni e al modello organizzativo adottato per l’esercizio dell’attività
economica. Per modello organizzativo si intende la forma giuridica che viene adottata per regolare l’organizzazione imprenditoriale ed è
caratterizzato in linea da un principio di libertà.
La scelta del modello organizzativo da adottare per l’esercizio di un’attività d’impresa è libera, in quanto lasciata dall’ordinamento giuridico alla
discrezione dei soggetti che assumono l’iniziativa economica.
Dalla scelta del modello organizzativo dipendono importanti effetti riguardo: alla responsabilità per le obbligazioni contratte, alla destinazione dei
risultati, alle regole relative alla gestione e alla rappresentanza dell’impresa, al suo finanziamento…
Non è concessa la facoltà di dar vita a modelli atipici d’impresa, del tutto diversi e nuovi rispetto a quelli previsti per legge (carattere di tipicità).
1) L’IMPRESA INDIVIDUALE
L’impresa individuale è direttamente riferibile a una persona fisica. Si tratta della più semplice tra le forme organizzative che possono essere adottate
per l’esercizio di un’attività economica e svolge pertanto un ruolo “marginale” nel quadro della disciplina delle imprese. È assoggettata alle norme
dello statuto generale delle imprese, e se ricorrono i presupposti a quello dell’imprenditore commerciale.
In linea di principio, per l’esercizio di un’attività d’impresa da parte di una persona fisica, in nome proprio e nel proprio interesse, si applicano le
disposizioni generali in tema di capacità giuridica e capacità di agire.
L’IMPRESA FAMILIARE
L’art.230-bis (1°libro del CC) individua l’impresa familiare, ovvero l’impresa agricola o commerciale, in cui collaborano in modo continuativo il
coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.
A questo tipo d’impresa viene riconosciuto un carattere individuale, con la conseguenza che il titolare sarà l’unico soggetto responsabile per le
obbligazioni assunte con i terzi.
La disciplina istituita dall’art.230-bis è inderogabile: non è possibile derogare quella minima tutela giuridica che il legislatore ha inteso assicurare ala
lavoro familiare nell’impresa. Infatti è finalizzata a tutelare i membri più deboli della famiglia, ai quali vengono riconosciuti una serie di diritti:
Sul piano patrimoniale:
o Diritto al mantenimento, secondo le condizioni patrimoniali della famiglia;
o Diritto di partecipazione agli utili, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
o Diritto di prelazione sull’azienda in caso di trasferimento o divisione ereditaria.
Sul piano gestorio:
o Ogni familiare ha diritto di voto nelle decisioni;
o Le decisioni devono essere assunte a maggioranza dei membri familiari appartenenti all’impresa.
Alla cessazione della partecipazione all’impresa, ovvero in caso di alienazione dell’azienda, la quota di un membro può essere liquidata in denaro.
L’AZIENDA CONIUGALE
La riforma del diritto di famiglia, nello stabilire la “comunione legale” quale regime convenzionale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, inserisce le
“aziende coniugali” tra i beni appartenenti alla comunione.
Esistono tre tipologie di aziende coniugali:
1) Aziende gestiste da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, l’azienda coniugale coincide con un’impresa coniugale poiché
entrambi i coniugi assumono la qualità di imprenditori.
I coniugi hanno poteri di gestione e diritto di rappresentanza disgiunti per gli atti di ordinaria amministrazione, e congiunto per
quelli di straordinaria.
2) Aziende costituite da uno solo dei coniugi anteriormente al matrimonio, e successivamente gestite da entrambi, in questo caso si ha
impresa coniugale (entrambi i coniugi sono imprenditori), ma non azienda coniugale.
3) Aziende di cui sia titolare uno solo dei coniugi, e gestite da uno solo di essi, non si ha impresa coniugale.
PATTO DI FAMIGLIA: art.768-bis “è patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e
nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, ad uno o più discendenti”.
Il contratto deve essere stipulato per atto pubblico a pena di nullità.
2) L’IMPRESA SOCIETARIA
La società è il soggetto giuridico che assume la titolarità dei rapporti che si vengono a creare nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. In altre parole,
la società è il