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LA VARIETA’ DELLE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

La maggior parte dei reperti è costituita da rifiuti scartati nel corso delle attività legate alla vita quotidiana.

Condizioni estreme di temperatura e umidità hanno conservato molto, come nelle steppe russe il cui suolo è

permanentemente congelato (permafrost) o condizioni di disastri naturali come l’eruzione del Vesuvio. La

nostra conoscenza del passato, dunque, è determinata non solo dalle attività umane e dai processi naturali

che hanno formato la testimonianza archeologica, ma anche dai processi successivi da cui dipende ciò che è

scomparso o ciò che è sopravvissuto.

Testimonianze archeologiche: -Monumenti: qualcosa costruito per

durare nel tempo (Partenone) -Strutture: qualcosa costruito per non durare

nei secoli, ma per uso quotidiano (Abitazioni) -Elementi: reperto archeologico

inamovibile, manufatto non trasportabile

-Reperti: 1. Manufatti: oggetti costruiti, usati o

modificati dagli uomini. 2. Ecofatti

3. Resti organici o ambientali: comprendono le ossa animali e i resti vegetali, ma anche suoli o sedimenti

CONTESTO

Definito dalla sua matrice immediata, cioè il materiale che lo circonda, lo strato che contiene il mio reperto,

dalla posizione del reperto all’interno della struttura e dalla sua associazione, il rapporto dunque che hanno i

vari reperti tra di loro. (I tombaroli, con il loro sterro,

cancellano tutte queste informazioni, distruggendo il contesto originario del materiale, come però anche gli

agenti naturali.) PROCESSI DI FORMAZIONE.

La distinzione tra processi culturali di formazione

(trasformazioni C) e processi naturali o non-culturali di formazione (trasformazioni N) fu introdotta da

Michael Schiffer, archeologo americano. Trasformazioni C: implicano l’attività

deliberata o accidentale degli esseri umani. -Comportamento

originario dell’uomo che si riflette in quattro attività fondamentali: l’acquisizione del materiale grezzo, la

lavorazione manuale, l’uso e l’eliminazione o lo scarto quando lo strumento è logoro o rotto. Aspetto

importante è però anche il seppellimento deliberato di oggetti di valore o di defunti. -Comportamenti

successivi al seppellimento. Trasformazioni N: costituite dagli eventi naturali

che determinano sia il seppellimento sia la conservazione dei materiali archeologici.

I materiali possono essere:

1. Inorganici, come la pietra, l’argilla e i metalli, materiali di interesse archeologico che più comunemente si

conservano. -Strumenti in pietra: si conservano straordinariamente bene, spesso giungono a noi danneggiati

in misura talmente lieve rispetto al loro stato originario da permettere agli archeologici di esaminare le

tracce microscopiche. -Argilla cotta: pressoché indistruttibili (ceramici e mattoni cotti nelle fornaci) se la

cottura è stata adeguata. Questi manufatti infatti hanno costituito grande fonte di informazioni. -Metalli: si

conservano bene. L’ossidazione può essere un rapido e potente agente di distruzione per il rame e bronzo di

cui rimangono solo scarse tracce e del ferro che lascia solo una macchia sul suolo come traccia. Il mare può

essere al tempo stesso distruttivo a causa delle correnti e dell’azione delle maree ma anche positivo in

quanto può accadere che i resti sommersi vengano ricoperti da uno spesso involucro di sali minerali prodotti

dagli oggetti stessi. Questo favorisce quindi la conservazione.

2.Organici: conservazione determinata dalla matrice e dal clima e, occasionalmente, da disastri naturali. La

matrice è costituita da qualche tipo di sedimento o suolo; il gesso conserva bene sia le ossa umane e animali

che i materiali inorganici. I suoli acidi invece distruggono le ossa e il legno in pochi anni, ma presentano

colorazioni rivelatrici là dove una volta esistevano buche per palo o fondazioni di capanne. La matrice può

però contenere anche componenti addizionali che, come nel caso del rame, favoriscono la conservazione di

resti organici o come ad esempio le miniere di salgemma. (es. Sali e petrolio, in Polonia, hanno conservato

un intero rinoceronte con tanto di pelle e peli). Anche il clima svolge un ruolo importante per la

conservazione dei resti organici. Il clima locale come quello delle grotte è un conservatore naturale perché la

cavità interna della grotta non viene attaccata da agenti meteorici esterni. Ma il clima della regione è quello

più importante. I climi tropicali sono i più distruttivi a causa delle numerose precipitazioni e dei conseguenti

suoli acidi, delle temperature elevate, dell’erosione, della vegetazione rigogliosa e del grande numero di

insetti. I climi temperati non sono comunque adatti alla conservazione dei resti organici per l’andamento

variabile delle elevate temperature e per le precipitazioni non costanti che accelerano i processi di

decomposizione. Paradossalmente, spesso i disastri naturali, quali violente tempeste, frane di fango o

eruzioni vulcaniche, possono determinare la conservazione di un sito e dei suoi materiali organici.

Quest’ultimi dunque si conservano solo in ambienti con condizioni estreme di umidità, come aridità

(ambienti secchi), congelamento (ambienti freddi che possono fermare il processo di decomposizione.

Ritrovamenti eccezionali furono i resti di mammut in Siberia. o impregnazione d’acqua (ambiente umido e

privo d’aria che favorisce la conservazione. Gli ambienti umidi variano molto per quanto riguarda la

conservazione. Le torbiere acide sono adatte a conservare legno e resti vegetali, ma possono distruggere

ossa, ferro, ed anche ceramica.) DOVE?

RICOGNIZIONE E SCAVO DI SITI E DI ELEMENTI ARCHEOLOGICI

Progetto di ricerca: 1. Formulazione di una strategia di ricerca.

2. Raccolta e documentazione delle testimonianze archeologiche. 3.

Elaborazione e analisi dei dati e interpretazione. 4. Pubblicazione

dei risultati.

La scoperta di siti e di elementi archeologici avviene in due modi, o seguendo un’indagine al suolo o con una

ricognizione aerea. Per identificare singoli siti il primo passo è quello di consultare le fonti scritte, come la

Bibbia, la toponomastica etc. Ruolo dell’archeologo è quello di individuare e documentare il maggior numero

possibile di siti prima che vengano distrutti dalla costruzione di strade, edifici e dighe. Per questo gli

archeologi attuano la cosiddetta archeologia di salvataggio. Metodo

valido per localizzare un sito è analizzare i più importanti resti presenti in un territorio, come ciò che resta di

edifici in muratura o di tumuli funerari, ma se in superficie troviamo solo manufatti sparsi, è necessario fare

un’analisi più approfondita che possiamo definire ricognizione territoriale. Veloce e relativamente non

distruttiva in quanto richiede solo carte topografiche, bussole e fettucce metriche, comprende una grande

varietà di tecniche, come anche il campionamento delle risorse naturali e dei minerali, oltre

all’identificazione dei siti e la raccolta e documentazione dei manufatti.

Pratica della ricognizione: -Delimitare la zona sottoposta a

ricognizione con confini che possono essere naturali e/o culturali -Esaminare la storia dello

sviluppo dell’area -Attuare indagini ambientali + tempo e fondi a

disposizione, facilità di raggiungere e documentare l’area.

Ricognizione (di superficie) asistematica: più semplice, consiste nel camminare in ogni settore dell’area,

esaminando la striscia di terreno sulla quale si cammina, raccogliendo e studiando i manufatti e registrando

la loro ubicazione. Ricognizione sistematica: avviene

con l’utilizzo di una griglia o di una serie di strisciate parallele ed equidistanti. L’area sottoposta a studio

viene quindi divisa in settori che sono esaminati sistematicamente. L’ubicazione di ogni singolo reperto sarà

così più facile da determinare, essendo nota la posizione esatta del ricercatore. Può essere lo stesso

necessario o utile condurre un piccolo scavo per arricchire e/o controllare i dati provenienti dalla

ricognizione di superficie o per verificarne le ipotesi formulato a seguito di essa.

Ricognizione estensiva: quando si collegano tra loro i risultati di una serie di progetti autonomi condotti in

regioni adiacenti per ottenere un’immagine su scala molto grande dei cambiamenti avvenuti nel paesaggio.

Ricognizione intensiva: condotta anche per coprire totalmente un solo grande sito o un gruppo di siti.

Ricognizione aerea: utilizzata non solo nella fase di scoperta dei siti archeologici, ma anche nel corso del

tempo per controllare i cambiamenti che avvengono nel sito.

-Fotografia aerea. Grande sviluppo di questa tecnica durante la Prima Guerra Mondiale, quando gli

archeologi si resero conto che essa poteva fornire una veduta planimetrica dei monumenti preistorici, ma

anche siti sommersi dalle acque. Le fotografie aeree possono essere oblique, per far risaltare i contorni e

dare effetti prospettici (sono le migliori per la scoperta di un sito), e zenitali, più utili per definire la

planimetria dei siti. Se vengono sovrapposte i due tipi di foto otteniamo un effetto

stereoscopico che permette di vedere i siti in tre dimensioni. Con questa tecnica si possono anche sottoporre

a ricognizione grandi aree. (pag 73-76)

Prospezione diretta: indagine al suolo attuata attraverso fonti scritte, archeologia di salvataggio, ricognizione

territoriale, sistematica e asistematica, e ricognizione estensiva (immagine su ampia scala collegando risultati

di una serie di progetti condotti in regioni adiacenti) e intensiva.

Prospezione indiretta: tramite ricognizione aerea, attraverso fotografie aeree (foto oblique, danno effetto

prospettico, e zenitali, definiscono una planimetria), telerilevamenti ad alta quota, attraverso scanner, space

imaging radar, GPS, GIS, e SLAR. Tutte le tecniche geofisiche sono fondamentali in quanto meno distruttive

ed invasive dello scavo.

Ricognizione di superficie di un sito: studio la distribuzione degli elementi conservati, documentando,

raccogliendo i manufatti

Indagine del sottosuolo: tramite sonde, trivelle, metodi sismici e acustici, metodi elettromagnetici, analisi

chimica del terreno

Lo scavo si divide in scavo orizzontale, nello spazio, con lo scavo per quadrati, per grandi aree e trincee a

gradoni, e in scavo verticale, nel tempo, con la stratigrafia. Inoltre, tutto viene catalogato per tipologia (prima

dalla più generica fino alla più specifica) e documentato con giornali di scavo, fotografie, disegni, manufatti, e

reperti in generale. GEOGRAPHIC INFORMATION SYSTEM

I GIS sono concepiti per la raccolta,

l’immagazzinamento, il recupero, l’analisi e la visualizzazione di dati tridimensionali. Fornisce un’interfaccia

basata su una mappa con una banca dati conservando informazioni sulla localizzazione e sulle caratteristiche

di ciascun sito p luogo documentato. I dati spaziali poss

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
10 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/10 Metodologie della ricerca archeologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Fionamega di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia della ricerca archeologica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Capulli Massimo.