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L'ILLUMINISMO ITALIANO
Le teorie moderniste si accentueranno in Italia con la cultura illuminista. Quest'ultima è nuova, proviene dalla Francia ed è radicale. È una cultura che applica metodi razionali anche nelle attività pratiche: iniziarono infatti ad essere sottoposte a riflessione molte attività pratiche come agricoltura ed economia.
L'illuminismo in Italia ebbe due centri di diffusione: Napoli e Milano. A Milano, in particolare, troviamo i fratelli Verri e Cesare Beccaria.
I FRATELLI VERRI
I fratelli Verri partono dal fatto che la lingua sia uno strumento solo comunicativo. In quanto tale la lingua è estranea a elementi stilistici esterni. Se la funzione è la comunicazione, bisogna preoccuparsi della funzione della lingua e non dei suoi caratteri estetici.
Alessandro Verri dice "cose, non parole!". Verri vuole definire che nella lingua si deve dare più attenzione a ciò che si dice piuttosto che alla forma estetica.
lingua stessa che si utilizza.>> La lingua si definisce in base a ciò che riesce a comunicare, al di là dei suoi aspetti estetici.
La lingua è tanto più capace a comunicare qualcosa quanto più la sintassi risulta lineare e chiara.
Gli illuministi definirono lo stile “copeau” (rotto) della lingua:
- L’ordine delle parole e delle frasi doveva essere determinato dall’ordine dei pensieri;
- Vennero eliminate le congiunzioni subordinative e i nessi di collegamento tra una frase el’altra. Gli illuministi seguivano una scrittura di tipo paratattico senza gerarchizzazione delle frasi.
Secondo loro bisognerebbe anche eliminare i nessi che collegano le frasi, senza esplicitare il rapporto logico. Questo perché nel momento in cui si esplicita il nesso logico, lo scrittore impone la sua logica al discorso. La logica, invece, dovrebbe emergere spontaneamente solo dai concetti che vengono espressi.
Alessandro Verri pubblicò
un articolo sulla rivista Il Caffè di Milano chiamato Rinunzia avantinotaro al vocabolario della Crusca. Questo articolo era un finto atto notarile in cui Alessandro Verri rinuncia all'idea del vocabolario della crusca. Esso era scritto in un linguaggio pieno di arcaismi >> si trattava di una parodia.PIETRO VERRI
Pietro Verri focalizzò la sua attenzione sulla lingua comune italiana. Egli fece riferimento alla lingua "comunemente intesa", cioè una lingua che sia capita da tutti.
Se la funzione fondamentale della lingua è la comunicazione allora questa funzione viene dimostrata solo nella misura in cui quella lingua viene compresa da tutti. 39>> La condizione fondamentale di una lingua è che essa debba essere capita da tutti.
Pietro Verri si era preoccupato per la prima volta dei soggetti ai quali ci si rivolgeva. Si basava sul momento della ricezione e non della trasmissione>> si preoccupa per
primo dei destinatari. Dall'altra parte era facile dire che gli scrittori avrebbero dovuto comunicare con una lingua comune. Passando alla pratica, infatti, la lingua comune in Italia non esisteva ancora in quel periodo. Secondo Verri, perché un discorso potesse essere compreso bisognava usare una lingua comune. È proprio da questo punto che partirà la riflessione di Alessandro Manzoni (riguardante la mancanza di una lingua comune).
MELCHIORRE CESAROTTI
Cesarotti scrisse "Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana" e partì da un'osservazione: ogni lingua ha un carattere misto. Esso credeva che ogni lingua fosse impura e contaminata. >> Cesarotti credeva che tutte le lingue naturali fossero impure e prodotto di un processo di contaminazione continuo. Questa fu la vera causa della variabilità delle lingue. Cesarotti per "variabilità naturale" intendeva:
- Il fatto che le lingue siano molto
articolate;- La loro mutazione nel tempo e- La stratificazione sociale >> si diversificano a seconda del grado di cultura delle persone che le usano.
Cesarotti distingue anche diversi livelli di variabilità:
- Opposizione tra lingua parlata e scritta. La lingua parlata è la lingua nella quale la variabilità tende a manifestarsi più direttamente; è nella lingua parlata che si osservano le variazioni. La lingua scritta è caratterizzata da maggiore fissità, che le serve anche per rimanere inalterata nel tempo e nello spazio;
- Opposizione tra genio grammaticale (sintassi) e genio retorico (stile e registro). Riguardo il genio grammaticale, la struttura morfo-sintattica rimane fissa nel tempo e nello spazio. Il genio retorico, invece, è sottoposto a maggiore variabilità. Lo stile è legato all’intenzione comunicativa (che varia a seconda della situazione e di ciò che si vuole dire).
Cesarotti portò il
dibattito sulla lingua ad un alto livello di complessità.>> Variabilità e fissità servono a descrivere livelli diversi del linguaggio.LA LINGUA DELLA COMMEDIA
La commedia consente alla cultura italiana una maggiore espansione e visibilità. La commedia nasce all'inizio del '500 e fin dall'inizio si trova ad affrontare un problema linguistico: essa si fonda sulla realtà quotidiana contemporanea. Spesso la realtà che si rappresenta è una realtà "normale", delle classi popolari e inferiori: è proprio lì che si trovavano gli spunti comici.
Se l'italiano del '500 era in grado di parlare degli antichi eroi e di grandi concetti, d'altra parte esso era una lingua inadatta a parlare della realtà contemporanea.
La lingua italiana era una lingua inadatta a rappresentare la realtà quotidiana. Ecco perché gli autori della commedia si
indirizzarono verso le lingue che più rispecchiavano la realtà: i dialetti. Essi erano le uniche lingue parlate e le uniche lingue che possedevano un rapporto profondo con la realtà e la quotidianità. La commedia fu il prodotto di letterati colti che nella scrittura delle commedie preferirono i dialetti. In particolare troviamo Ruzzante che rappresentava personaggi che parlavano il dialetto padovano. Esso frequentava anche i circoli padovani che erano dominati dalla figura bembiana (italiano del '300 visto come perfezione). La scelta del dialetto per la commedia ha a che fare con il riconoscimento della lingua italiana come lingua colta >> i dialetti erano meno colti e, perciò, potevano rappresentare meglio la realtà. Il modo in cui venne riprodotto il dialetto delle classi popolari non fu realistico: i commediografi usavano un dialetto con espressività comica. >> Un dialetto faceva tanto più ridere quanto piùLontano dalla lingua letteraria del periodo. I commediografi accentuavano molto i dialetti e li portavano sulla scena in maniera caricaturale e deformata. Questo voleva sottolineare i difetti dei dialetti rispetto alla "perfetta" lingua letteraria. Si parlò anche di "uso riflesso" dei dialetti ed il primo ad usare questa espressione fu Benedetto Croce con alcuni studi sulla cultura dialettale. Fino al '400 i dialetti erano stati usati spontaneamente anche per scrivere. Quando nacque il codice della lingua italiana della letteratura, però, non si poteva più scrivere spontaneamente in dialetto. Gli scrittori iniziarono così ad utilizzare il dialetto in modo "riflesso", cioè con consapevolezza, per far ridere. Questi tratti ridicoli del dialetto, vennero selezionati e codificati nel senso che nel corso del tempo essi vennero sottoposti a una sorta di codificazione. I dialetti di ogni regione avevano proprie caratteristiche.
Che rimanevano sempre uguali. Questi trattiservivano anche ad identificare la provenienza degli attori. I personaggi che parlavano questi dialetti venivano portati tutti sulla scena contemporaneamente (in un' unica scena comparivano insieme il napoletano, il veneziano, il milanese...).
Ogni personaggio era portatore di un dialetto diverso.
LA COMMEDIA DELL'ARTE
Questo tipo di commedia confluirà nella commedia dell'arte, la quale ebbe un enorme successo tra '600 e '700. Le compagnie non solo si esibivano in Italia, bensì anche all'estero.
La commedia dell'arte è caratterizzata da alcuni aspetti principali:
- I personaggi non sono veri ma sono maschere fisse della tradizione comica italiana. I personaggi sono "tipi fissi" perché ognuno ha il proprio modo di fare e di parlare stabile (dialetti non effettivamente parlati, bensì dialetti grotteschi e comici);
- Aveva una struttura basata sul canovaccio.
Su di esso venivano indicate solo le scene ma non le battute (le quali erano improvvisate dai singoli personaggi sulla base del loro tipo) >>“commedia all’improvviso”. La bravura degli attori stava nel saper improvvisare.>> La commedia dell’arte fu una delle espressioni dell’uso riflesso dei dialetti.
CARLO GOLDONI fu fautore di una riforma: voleva fare della commedia uno specchio della società del suo tempo con la borghesia colta e mercantile di Venezia. Goldoni voleva rappresentare la realtà e lo strumento attraverso cui Goldoni giungerà a questo scopo fu la scrittura del testo della commedia per intero.
Per iniziare, la commedia dell’arte era caratterizzata dal canovaccio che era ben diverso dal copione. Per improvvisare, gli attori dovevano basarsi sul loro repertorio per non avere grossi problemi. Goldoni capisce che per dare una rappresentazione realistica c’era bisogno di scrivere tutte le battute di tutti i personaggi.
non come nel canovaccio.>> Si supera il canovaccio e si preferisce il copione.
Goldoni era un vero uomo di teatro e sapeva bene quanto la sua riforma avrebbe potuto rivoluzionare il teatro. C’era bisogno che il mondo del teatro “sorbisse” e assimilasse le novità poco alla volta.
Scrivendo le battute di tutti i personaggi si appropria del testo e l’autonomia dell’attore diventa minima; egli non può inventare le battute ma deve attenersi a ciò che viene scritto dall’autore.
Goldoni era d’accordo con il superamento delle maschere, che si comportavano sempre nello stesso modo, a favore dei personaggi.>> Vengono eliminate le maschere.
Nella commedia dell’arte si avevano dialetti stilizzati e non dialetti realistici. Ogni maschera aveva la sua caratterizzazione stabile.
In Goldoni, invece, il dialetto era il vero dialetto veneziano; era la lingua della comunicazione a Venezia e c’erano minime caratterizzazioni.
locali.I personaggi vengono distinti per la loro espressione e per i tipi linguistici.