Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
CCNL.
Le appellanti denunciano la violazione dell’art. 36 Cost. per la sentenza che ha negato l’indagine sulla congruità
della retribuzione.
La sentenza precedente ha trascurato l’unicità sostanziale del rapporto di lavoro, in quanto oltre al
mutamento della denominazione dell’azienda: i compiti, i luoghi di lavoro e il potere direttivo sostanzialmente
sono rimasti in capo alla stessa persona. Nella fattispecie in esame il conferimento è avvenuto tra una ditta
individuale e una società, perciò non sarebbe sottoposta alla disciplina dell’art. 2498 C. Civ. che attiene al
trasferimento da società a società.
Tuttavia nel momento in cui il trasferimento investe l’intera struttura aziendale o parti di essa idonee a costituire
autonome unità organizzative e produttive bisogna sottostare alle disposizioni dettate dagli Artt. 2558 C. Civ.
(successione nei contratti) e seguenti, nonché al 2112 C. Civ (mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimento d’azienda).
Conclusioni
La Cassazione decide per accogliere il ricorso delle lavoratrici reputando che il giudice di merito abbia trascurato
il valore indiziante di numerose circostanze che possono far leggere la vicenda come un mero cambio di veste
giuridica della società e pertanto farla rientrare sotto la disciplina dell’Art. 2498 C. Civ (continuità dei rapporti
giuridici).
Trattasi quindi di trasferimento d’azienda ove la responsabilità è solidale in merito ai crediti dei lavoratori.
Riguardo poi ai crediti privilegiati (cioè a quei crediti da soddisfare prima che nei confronti di altri creditori),
chiarisce debbano corrispondersi anche quando derivino dall’applicazione in sede giudiziale dell’art. 36 Cost.
combinato con l’art. 2099 C. Civ..
Questione della sentenza 4 Cassazione civile, sez. lav., 18 novembre 2016, n. 23525
Fattispecie
Un lavoratore chiede di accertare e dichiarare obbligati in solido i vari datori di lavoro (tra i quali c’è stato
trasferimento d’azienda) all’applicazione del fondo di previdenza aziendale del 3 aprile 1991.
Le società resistevano contro la sentenza del giudice del lavoro di Livorno del 2007 che le dichiarava obbligate in
solido accogliendo il ricorso del lavoratore e obbligandole in solido all’applicazione dell’accordo del 1991.
La Corte di Appello di Firenze nel 2010 rigettava la domanda del lavoratore.
Conclusioni
La Cassazione appoggia le conclusioni del giudice di merito, e considera infondate le pretese del lavoratore.
Dall’istituzione del fondo di previdenza del 1973, sono intercorsi successivi accordi modificativi e a ridosso del
2003 il lavoratore posto davanti ad una scelta necessaria non l’aveva espressa. L’attore aveva domandato alla
Cassa il pagamento dei contributi dal 2004 in poi, fino alla maturazione dei requisiti per il pensionamento,
pagamento da ritenersi ingiusto in quanto lo stesso non aveva maturato i requisiti per il pensionamento e in luce
del fatto di poter chiedere tutela solo nei confronti di diritti quesiti.
Il contratto collettivo nazionale regola il contratto individuale dall’esterno e le clausole del contratto collettivo
non si incorporano nel contratto individuale, questo in quanto altrimenti, in virtù dell’art. 2077 C. Civ. le clausole
del contratto individuale (che può derogare solo in melius) potrebbero prevalere sul contratto collettivo e le parti
sarebbero impossibilitate a ritrattare e ridefinire i contenuti del CCNL.
L’operare dall’esterno del CCNL implica che se tra contratti collettivi successivi sono previste clausole
peggiorative queste operano dall’esterno e incidono anche sul contratto individuale, salvo il limite dei diritti già
acquisiti. Conflitto collettivo e condotta antisindacale
Tematiche generali
L’art. 28 Stat. Lav. disciplina dei profili di rilievo in merito alle condotte antisindacali. La ratio dell’art. 28 è
quella di dare effettività agli altri diritti tutelati, rendendo cioè giustiziabile chi li viola.
Riguardo alla condotta antisindacale la norma non identifica le singole casistiche, dispone di reprimere quei
“comportamenti” in generale, in grado di “impedire o limitare”... Classifica invece i “beni protetti” (libertà
sindacale, attività sindacale, diritto di sciopero).
Ci sono dei casi eccezionali in cui la condotta è tipizzata, nell’ipotesi del trasferimento d’azienda ad esempio il
cedente deve informare e consultare l’RSU e qualora non lo fa gli viene contestata condotta antisindacale.
La norma tutela un interesse collettivo, del sindacato, ma in alcuni casi indirettamente anche un interesse
individuale (licenziamento delle RSU che poi viene tutelato dall’art. 18 Stat. Lav. “tutela reale”). La norma non
impedisce cioè al lavoratore di agire per la tutela dei propri interessi secondo le vie ordinarie.
In caso di condotta antisindacale posta in essere, quale sindacato è legittimato ad agire?
La condotta poi deve essere “cessata”, ciò implica che sia “attuale” cioè che sia ancora posta in essere.
Per una condotta cessata ma la cui portata intimidatoria possa protrarsi nel tempo si può agire?
Uno dei beni protetti dall’art. 28 Stat. Lav. è il diritto di sciopero, che essendo riconosciuto come un diritto
civilisticamente non va a costituire un inadempimento contrattuale.
Dal 1980 in poi, si passa a una tecnica definitoria: si definiscono lo sciopero e i criteri di legittimità. La cassazione
dice che non c’è una definizione aprioristica di sciopero ma deve essere considerato tale quello che da prassi è
definito tale.
Sentenza 1 - Cassazione civile, sez. lav., 26 gennaio 2016, n. 1350
La società Poste Italiane ha richiesto la sostituzione di un collega portalettere in una area che non era di
competenza di un lavoratore che ha rifiutato la prestazione e si è assentato arbitrariamente dopo aver chiesto un
giorno di ferie che gli era stato negato.
Il lavoratore ricorre contro la società per le sanzioni disciplinari che gli vengono irrogate che consistevano nella
sospensione dal servizio per quattro giorni per inadempimento contrattuale.
In primo grado il lavoratore si appella al fatto di non aver eseguito la prestazione perché intesa quale
“prestazione aggiuntiva” e pertanto non tenuto a svolgerla come previsto da apposito accordo sindacale 27
aprile 2004 che permetteva lo sciopero. Inoltre il Tribunale respinge il ricorso della società per non aver accolto
la domanda del lavoratore di essere ascoltato sul luogo di lavoro e alla presenza di un rappresentante sindacale.
La società resisteva sostenendo l’inadempimento.
Il tribunale ribadiva l’illegittimità di entrambe le sanzioni disciplinari: riguardo la prima sostenendo si trattasse di
normale esercizio del diritto di sciopero, riguardo la seconda in quanto la società era a conoscenza dell’esigenza
del giorno di ferie per presidiare ad un’udienza in tribunale.
Il caso è quello di un invocato sciopero di mansioni, che per la Cassazione in questa occasione non rientra
sotto la garanzia dell’art. 40 Cost. (diritto di sciopero) in quanto il rifiuto di svolgere la prestazione lavorativa
legittimamente richiesta (vi era uno specifico accordo che prevedeva la sostituzione di colleghi assenti) non è
avvenuto per l’adesione ad uno sciopero e non ha comportato il venir meno della retribuzione.
La Cassazione in questa sentenza aderisce ad un orientamento già consolidato in tema di sciopero delle mansioni,
quello della sentenza n. 711/1980 in tema di sciopero articolato (per lungo tempo si era dubitato della legittimità
dello sciopero articolato “a singhiozzo” o “a scacchiera” dicendo che il rifiuto parziale della prestazione non
costituisce diritto di sciopero bensì inadempimento parziale. Quindi il lavoratore o si astiene da tutta la
prestazione (con relativa perdita di retribuzione) o può essere soggetto a sanzioni disciplinari. Con questa
sentenza, la n. 711/1980 si definisce quindi un limite interno dell’attività di sciopero.
La sanzione disciplinare irrogata viene considerata legittima in Cassazione.
Riguardo alla scorretta applicazione dell’art. 7 Stat. Lav. denunciata dal lavoratore per non essere stato ascoltato
nel luogo ed in orario di lavoro, bensì di esser stato convocato in una sede facilmente raggiungibile, la Cassazione
precisa che non vi è violazione da parte dell’azienda.
Sentenza 2 – Cassazione civile, sez. lav., 10 luglio 2015, n. 14444
Il caso è quello di una società di supermercati, datrice di lavoro, che di fronte a due episodi di sciopero cerca di
mitigare i danni utilizzando personale non aderente allo sciopero. Nello specifico il datore di lavoro utilizza per le
sostituzioni dei lavoratori (capi reparto e capi settore) che devono svolgere mansioni inferiori rispetto al loro
mansionario adoperandoli non per operazioni marginali ed eccezionali o di vigilanza e sicurezza, bensì per le
normali mansioni di cassa e di reparto, facendoli spostare da altri supermercati in quantità consistente.
Per marginali si intendono quelle operazioni non riferite strettamente alla produzione ma anche alle mansioni.
Per eccezionali non si fa riferimento alla durata ma alla tipologia di evento che il datore di lavoro fronteggia,
sarebbero quindi eccezionali reazioni per esigenze di sicurezza e non uno sciopero.
Il dubbio è: il datore di lavoro rispetta il dispositivo dell’art. 2103 C.Civ.?
Se non l’ha rispettato si instaura un giudizio ex art 28 Stat. Lav., cioè è passibile per condotta antisindacale?
Per la Cassazione il datore di lavoro non ha rispettato il 2103 C. Civ. e va confermata la condanna per la
condotta antisindacale.
Riguardo l’antisindacalità della condotta precisa che non sono tipizzati tutti i casi e spetta al giudice di volta in
volta, determinare quando le condotte sono lesive dei diritti sindacali. Riguardo il concetto di “attualità della
condotta”, la Cassazione precisa che è sufficiente il carattere intimidatorio per considerarla “attuale”, quel
permanere degli effetti della condotta e, nel caso in esame il fatto è proprio quello di aver reiterato nei due
scioperi un comportamento definibile “intimidatorio”.
Sentenza 3 – Cassazione civile, sez. lav., 5 novembre 2015, n. 22617
Il caso è quello di una sospensione dell’attività produttiva decisa dalla società automobilistica e durata 7 ore e
mezza, in risposta ad uno sciopero di mezz’ora. Nel caso di specie la società non era poi in grado di appellarsi
all’art. 1256 C.Civ. (impossibilità sopravvenuta della prestazione), perciò era tenuta a far svolgere ai lavoratori