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I SOMMERSI E I SALVATI

1942: iniziato a trapelare le prime notizie sui campi di sterminio

CAP 1

La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace, con il tempo i ricordi si modificano e

si degradano. Mantenendo in esercizio la mente e portando alla luce alcuni ricordi si può far sì che

non vengano dimenticati, ma ricordare troppo spesso un avvenimento può diventare uno

stereotipo e può venir perfezionato.

Vittima e carnefice possono soffrire del ricordo ma non è giusto che sia la vittima a farlo, quanto

all’oppressore si spera che possa soffrirne.

Jean Amery “chi è stato torturato rimane torturato. Chi ha subito il tormento non potrà più

ambientarsi nel mondo, l’abominio dell’annullamento non si estingue mai. La fiducia nell’umanità,

già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita poi dalla tortura, non si riacquista più”.

Vittima e carnefice cercheranno per tutta la vita un rifugio e una difesa dal fatto che è stato

commesso.

Quando si chiede al carnefice perché ha agito in quel modo le risposte sono tutte molto simili tra

di loro (Speer, Eichmann, Stangl o Hoss): l’ho fatto perché mi è stato comandato, data l’educazione

che ho ricevuto, se non lo avessi fatto io lo avrebbe fatto un altro con maggiore durezza, non

potevo fare altro. Si sono fabbricati una realtà di comodo per non impazzire, provano ripugnanza

per le cose fatte e subito e le sostituiscono. Iniziano in modo consapevole fino a far diventare il

racconto reale e ci credono anche loro. Louis Darquier de Pellepoix, commissario addetto alle

questioni ebraiche, ha dichiarato che le foto dei cadaveri erano montaggi, che le statistiche sugli

ebrei morti erano state create dagli ebrei, non sapeva verso dove erano mandati i deportati e le

camere a gas servivano per uccidere i pidocchi. Eichmann e Hoss invece dichiarano di aver agito

così a causa del contesto e dell’educazione ricevuta, non avevano la possibilità di decidere quindi

dovevano comportarsi per forza così.

Uno stato totalitario può esercitare pressione sui cittadini in tre modi: propaganda diretta,

sbarramento al pluralismo di informazioni e terrore. Entrambi i sopracitati erano nati ed erano

stati educati prima del regime totalitario di Hitler quindi hanno modificato i ricordi. Vengono

alterate le motivazioni che hanno spinto a commettere determinate azioni e non le azioni stesse

che sono facilmente dimostrabili. Spesso i ricordi troppo dolorosi non vengono registrati dal

cervello, in questo modo non c’è il rischio di soffrire. Per fare ciò veniva distribuito alcool a volontà

e i nomi come soluzione finale servivano anche come difesa in modo da non allarmare i

condannati e per non far sapere agli altri quello che stava realmente accadendo.

Alberto cambia nel giro di poche ore quando il padre viene scelto per la selezione. Dal non

raccontarsi bugie si convince che quella selezione era differente e che il padre non era stato

mandato nelle camere a gas. Durante la marcia del 1945 anche Alberto scompare e i familiari in

Italia si sono creati una verità consolatoria.

CAP 2

Per farci comprendere semplifichiamo la storia e la riduciamo a uno schema e di dividerci in due:

noi e loro. Nel lager non c’erano solo due fazioni ma era tutto confuso. I prigionieri non si

aiutavano tra di loro, non esisteva un noi. I nuovi venivano invidiati dai vecchi, in modo illogico

perché i nuovi soffrivano di più dato che non erano abituati. Veniva deriso e sottoposto a scherzi

crudeli. C’era anche la volontà di alzare il proprio rango e di diventare “qualcuno”, di avere

qualcuno in una posizione peggiore della sua. La maggior parte dei sopravvissuti era un

privilegiato, pochi all’interno del campo ma molti finita la guerra; per sopravvivere infatti serviva

un sovrappiù alimentare altrimenti si sarebbe morti di fame. Zona grigia della protekcja e della

collaborazione. Per legare a sé i “privilegiati” serve fargli fare compiti sanguinari e

compromettenti, inoltre più l’oppressione è dura e più gli oppressi vorranno collaborare con il

potere. C’erano funzionari di basso rango che controllavano pidocchi e scabbia, erano lava-

marmitte o altro e lo facevano per poter avere un mezzo litro di zuppa in più. Non erano violenti

ma difendevano ad ogni costo il loro lavoro da qualsiasi persona potesse portarglielo via. I più

pericolosi erano i Kapos che occupavano posizioni di comando nelle squadre di lavoro,

capibaracca, scritturali e altri avevano addirittura posizioni presso gli uffici amministrativi del

campo. Alcuni di loro (Langbein, Kogon, Marsalek) sono riusciti ad aiutare i compagni nel campo

studiando le SS o trovando documenti importanti. A parte questi pochi casi, gli altri erano corrotti

dal potere, venivano picchiati solo se si dimostravano poco violenti, mentre non c’erano punizioni

nel caso contrario. Dal 1943 in poi viene introdotta la regola che i prigionieri potevano essere

picchiati ma non uccisi, perché serviva la manodopera. Diventavano Kapos coloro in cui il

comandante del Lager o i suoi delegati vedevano buone possibilità oppure altri lo cercavano

spontaneamente. Anche alcuni ebrei sono riusciti a diventare Kapos per cercare di sfuggire alla

soluzione finale. Alcuni oppressi si identificavano negli oppressori e cercavano di somigliare a loro.

Caso diverso sono i Sonderkommandos. La squadra speciale era formata da prigionieri e si

occupava dei forni crematori. Erano dai 700 ai 1000 uomini e avevano il compito di estrarre i denti

d’oro dai corpi, smistare le valigie, mantenere l’ordine tra i prigionieri nelle camere a gas,

trasportare i cadaveri nei forni e togliere la cenere. Ogni squadra, ad A. ce ne sono state 12,

rimaneva in funzione qualche mese, poi venivano tutti uccisi per non avere testimoni. Nel 1944

una delle squadre si ribellò facendo saltare uno dei crematori, vennero sterminati tutti.

Inizialmente venivano scelti dalle SS sulla base del fisico, altre volte per punizione, poi si è passati a

sceglierli appena scesi dal treno perché disorientati.

Il peso della colpa veniva spostato sulle vittime che non potevano più neanche consolarsi del fatto

di essere innocenti.

CAP 3

Nella maggior parte dei casi l’ora della liberazione non è mai stata né lieta né spensierata come

diceva invece Leopardi. Dopo la liberazione, con il ritorno ad essere uomini, tornavano anche le

pene come quella della famiglia dispersa, del non avere una casa o un posto dove tornare. Chi è

stato felice della liberazione sono stati i soldati, i politici o chi ha sofferto per poco tempo o solo

per sé e non per i propri amici/familiari. Filip Muller nel suo Eyewitness Auschwitz – Three years in

the gas chamber, dichiara di non aver provato niente dopo la liberazione ma di aver

semplicemente dormito. Vergogna provata verso il comportamento di altri, provata dai soldati

russi quando sono entrati nei Lager e dai prigionieri stessi che sono riusciti a sopravvivere.

Ci furono dei prigionieri, principalmente politici, che agirono dall’interno come nel maggio 1944

anno in cui un Kapos particolarmente violento venne “fatto sparire” dopo una settimana dal suo

arrivo. Gli addetti all’ufficio del lavoro all’interno del campo avevano inserito il suo numero tra

quelli destinati al gas. Per queste persone il senso di vergogna non esiste, o esiste in modo diverso,

come per Sivadjan, citato nel Canto di Ulisse.

Per mesi o anni avevano rubato, sofferto la fame, la sporcizia e alcuni sono arrivati anche a rubare

il pane al proprio compagno. Quando riuscivano ad uscire da questa condizione soffrivano perché

si rendevano conto della propria diminuzione. Per questo motivo i suicidi sono avvenuti

maggiormente dopo la liberazione, vi era un’ondata di ripensamento e di depressione. Durante la

prigionia i suicidi erano molto rari, Levi da tre spiegazioni. La prima è che il suicidio è un atto

effettuato dagli umani, e non dagli animali, e nel lager si viveva come degli animali che non hanno

la facoltà di scegliere e pensare. La seconda è che durante la giornata avevano molto da fare e

mancava il tempo di pensare alla morte, perché era costantemente imminente. La terza è che il

suicidio spesso è dettato dal senso di colpa che nessuna punizione è riuscita ad attenuare. La

durezza della prigionia era percepita come punizione e il senso di colpa veniva messo da parte per

poi spuntare dopo la liberazione.

Il senso di colpa è dovuto al pensiero di non aver fatto niente o di non aver fatto abbastanza

dentro al Lager e di aver “pensato ad altro”. Di non essersi ribellati, la vergogna spuntava ogni

volta che si osservava qualcuno che aveva avuto la forza di resistere, come l’uomo impiccato che

viene descritto in L’ultimo. Quasi tutti si sentono colpevoli di omissione di soccorso, il ricordo di

aver rubato ad altri viene quasi cancellato perché troppo doloroso. Non c’era quasi mai la

possibilità di avere solidarietà umana. La regola principale del campo era quella di badare prima di

tutto a se stessi.

Nell’agosto del 1944 faceva caldo e si soffriva la sete. Il gruppo di Levi era stato mandato a

sgomberare una cantina e l’angolo in cui lavorava lui era vicino ad un locale occupato da impianti

chimici. Vide un tubo collegato ad un rubinetto e dopo averlo aperto si accorse che vi usciva

dell’acqua. Decise di condividere il segreto solo con Alberto (nosismo, egoismo esteso a chi ti è

vicino). Daniele, un altro operaio del loro gruppo, si era accorto di tutto e Levi si sentì in colpa.

Quando si cambia codice morale si soffre; guardando all’episodio oggi, con un codice morale

diverso da quello del Lager, si prova vergogna.

Si prova vergogna per essere rimasti vivi mentre altre persone, giudicate migliori, sono morte.

Allora si va alla ricerca di comportamenti sbagliati che si possono avere avuti, c’è il dubbio di aver

soppiantato qualcuno e di vivere in vece sua.

Chi sopravviveva ai campi non era il migliore di tutti, anzi. Erano i violenti, i ladri, gli egoisti, i

collaboratori della zona grigia a rimanere vivi, perché erano i peggiori e i più adatti.

I sommersi sono la regola, i sopravvissuti l’eccezione. Nessuno ha potuto raccontare veramente

l’annullamento dell’uomo o la morta, è stato tutto raccontato per conto di terzi. Non sa se

raccontano per dimenticare o per una sorta di obbligo morale nei loro confronti. Non potevano

chiudere gli occhi come i tedeschi nella speranza di non sapere e di non soffrire, il dolore era tutto

intorno a loro.

CAP 4

Non è vero che non è possibile comunicare, il modo di farsi capire esiste sempre, va solo trovato e

si deve avere la volontà di farlo.

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
7 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/11 Letteratura italiana contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valencina13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Pacca Vinicio.