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DATORE DI LAVORO

Tecnicamente il datore di lavoro è colui che dà lavoro. Ma questa definizione non è molto

convincente. In Spagna (un paese che dal punto di vista linguistico è molto vicino al nostro) non si

parla di datore di lavoro, ma si parla di “empleador”: colui che impiega il lavoro. Lo stesso vale

anche per l’Inghilterra, in cui si parla di “employer”: colui che impiega il lavoro.

Noi invece, in Italia, usiamo “datore di lavoro”: colui che dà lavoro. Non è una cosa banale, perché

questa denominazione ha un’incrostazione ideologica molto forte: riflette una visione paternalistica

del lavoro; cioè sono io che ti do il lavoro. ma, dal punto di vista logico, se ci riflettiamo, il vero

datore di lavoro è il lavoratore: perché è il datore di lavoro che dà il lavoro, ma quello che noi

chiamiamo datore di lavoro è colui che riceve la prestazione di lavoro, per questo, sul piano

tecnico, è più corretto il termine “empleador”, perché in effetti, già su quanto abbiamo detto sull’art.

2094 cc., lavorare alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro significa che il datore di

lavoro impiega le energie lavorative del dipendente e le organizza nell’ambito della propria

struttura. Quindi, c’è una componente paternalistica nella definizione di datore di lavoro: ma se

riflettiamo sul rapporto, non è un dare un lavoro, è un ricevere lavoro, è un impiegare lavoro. La

concezione paternalistica si connette e ha trovato terreno fertile nel diritto fascista del lavoro, e

quindi ha ritento di riprodurre e ricalcare questa componente paternalistica, portandola alle vette

del diritto corporativo, dalle quali è poi precipitato. In ambito terminologico, noi siamo molto vicini al

diritto tedesco, perché nella loro lingua, l’equivalente sarebbe datore di lavoro. Il punto

fondamentale è che siamo costretti ,per dialogare tra noi, a darci dei riferimenti convenzionali, e

quindi necessariamente dovremmo adottare l’espressione “datore di lavoro”, altrimenti l’effetto

potrebbe essere deflagrante nelle relazioni collettive, sociali e istituzionali: dobbiamo darci un

punto di riferimento, e quindi parleremo di datore di lavoro; l’importante è essere consapevoli che

questa espressione non è tecnicamente molto convincente. È difficile trovarne delle altre, a meno

che non si adottino dei neologismi (come impiegatore di lavoro). L’elemento che dobbiamo mettere

in evidenza è che il datore di lavoro (da ora in poi lo chiamiamo così) è creditore di lavoro, è il

creditore della prestazione lavorativa (1° elemento); ma è al tempo stesso un debitore per ciò che

riguarda la retribuzione (2° elemento). Lo scambio contrattuale è infatti una prestazione lavorativa

(e quindi il datore di lavoro è creditore della prestazione lavorativa) ed è debitore della retribuzione,

così come il lavoratore è debitore della prestazione

lavorativa, ed è creditore della retribuzione: questo è un vincolo di corrispettività classico, cioè

uno scambio tra attribuzioni patrimoniali corrispettive. Ma la cifra del diritto del lavoro

contemporaneo (diritto del lavoro post costituzionale) è quella di individuare per il datore di lavoro,

oltre all’obbligo fondamentale della retribuzione, altri obblighi che sono al pari fondamentali. Per

decenni si è andato sostenendo che l’obbligo di sicurezza, cui è tenuto il datore di lavoro (cioè

garantire la sicurezza e la salute del lavoratore), fosse un obbligo accessorio rispetto agli obblighi

fondamentali; e l’idea stessa di accessorietà porta ad una sorta di sottovalutazione della portata di

quell’obbligo, come se fosse un elemento ulteriore, laterale rispetto all’obbligo fondamentale. Ma

così non è e così non può essere: l’obbligo di sicurezza non è un obbligo accessorio, ma è un

obbligo fondamentale. E’ connaturato alla struttura stessa del rapporto di lavoro e va anche al di là

della questione specifica dell’obbligo di sicurezza. Perché questo? Perché noi, quando parliamo

del rapporto di lavoro, dobbiamo sempre partire dal presupposto che c’è una prestazione

lavorativa che viene eseguita dal dipendente con le proprie energie psico-fisiche. Esempio: io

acquisto un bene da un venditore, pago il prezzo e ricevo il bene: questo è uno scambio di

corrispettività, ma il venditore non implica la sua persona in questo scambio (cede solo il bene e io

gli corrispondo il prezzo del bene). Se io stipulo un contratto di lavoro, il debitore implica se stesso

nella prestazione lavorativa, quindi mette a disposizione le proprie energie lavorative; quindi la

persona stessa del debitore è implicata nel rapporto. La circostanza che la persona stessa sia

implicata nel rapporto (ed è questo l’unico caso del diritto delle obbligazioni in cui c’è l’implicazione

personale di una delle parti nell’esecuzione della prestazione) ha delle conseguenze straordinarie

e uniche sulla ricostruzione del vincolo contrattuale, perché nel momento in cui il lavoratore

esegue la prestazione di lavoro ed implica se stesso nel rapporto come persona umana, ne

discende che il creditore della prestazione (datore di lavoro) ha degli obblighi di protezione verso

quel prestatore di lavoro: questi obblighi sono connaturati alla caratteristica stessa del rapporto (io

ho l’obbligo di ricevere la prestazione salvaguardando la salute e l’integrità fisica di quel

lavoratore). Questo la dottrina tedesca lo diceva 100 anni fa che esistono degli obblighi di

protezione e lo diceva senza che esistesse neanche un riferimento di diritto positivo: ci si può

arrivare anche sul piano della costruzione giuridica (il diritto non coincide con le disposizioni; il

diritto non è la legislazione: la legislazione è un insieme di disposizioni che nulla hanno a che

vedere con il diritto, se non che ne sono il presupposto; è chiaro che abbiamo bisogno delle leggi,

ma le leggi diventano norme solo per effetto dell’interpretazione. Il diritto può anche rivendicare

una sua autonomia dalla legislazione e per questa via, dalla politica, e costruire delle categorie che

vanno al di là della contingenza normativa; se non è così, il ruolo del diritto è un ruolo simile a

quello dei giornalisti che fanno cronaca e opinione; il diritto, invece, è costruzione di categorie che

vanno al di là della contingenza normativa, perché sono in grado spesso di sopravvivere alla

contingenza normativa). Se questo è vero, è evidente che l’idea che ci sia un vincolo dal quale

nascono obblighi di protezione ci porta a fare altre riflessioni: qual è o quale dovrebbe essere il

quadro delle responsabilità che sono riconducibili al datore di lavoro? A questa domanda si può

rispondere con una riflessione di carattere generale: colui che utilizza la prestazione lavorativa

altrui è il datore di lavoro; cioè, nel momento stesso in cui A utilizza la prestazione di B, A è datore

di lavoro e non è rilevante che lo sia formalmente, che ci sia un contratto, ad esempio, che gli

attribuisce questa denominazione; il diritto del lavoro, in questo senso, manifesta su questo

aspetto tutta la sua effettività, la sua materialità, il suo essere legato ai patti, alla materialità dei

rapporti umani, e ci dice una cosa molto chiara: chi utilizza una prestazione di lavoro è

responsabile degli effetti di quella utilizzazione, non può sottrarsi alle proprie responsabilità.

Questa affermazione si descrive, in termini tecnico-giuridici, con la seguente denominazione:

DIVIETO DI DISSOCIAZIONE FRA TITOLARITA’ FORMALE DEL RAPPORTO ED EFFETTIVA

UTILIZZAZIOEN DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA. Questa affermazione è una di quelle

fondamentali per comprendere il diritto del lavoro. Divieto di dissociazione: se io utilizzo una

prestazione lavorativa non posso dire che io non sono responsabile, ad esempio, del trattamento

retributivo, della sicurezza, degli obblighi contributivi di quel dipendente, non lo posso dire perché

se io potessi dir questo, allora verrebbe meno la nozione stessa di

responsabilità dal punto di vista, prima di tutto etico, e, in secondo luogo, giuridico. Il principio di

responsabilità è connaturato alla ragione stessa del diritto in senso generale, e del diritto del lavoro

in particolare: non ci si può sottrarre alle proprie responsabilità nel momento in cui si utilizza una

prestazione lavorativa altrui. Questo elemento viene ad essere enucleato dal diritto del lavoro fin

da tempi risalenti, perché la violazione del divieto d dissociazione è stata sperimentata sulla pelle

di milioni di persone (è quello che i francesi chiamano “la marchandage du travaille”, cioè il

commercio del lavoro). Ma allora il lavoro è un bene scambiabile nel mercato come tutti gli altri?

Qualcuno, molti anni fa, disse che “il lavoro non è una merce”, e questa affermazione è molto

importante; a noi sembra ovvio questo, perché se noi affermiamo che il lavoro è una merce

dobbiamo poi dire che, quindi, è possibile la mercificazione del lavoro; però un attimo dopo

vediamo che c’è un contratto in base al quale un lavoratore esegue una prestazione: ma allora il

lavoro è una merce; Mazzotta afferma che “il lavoro non è una merce come le altre”: per dire che

non possiamo operare un’equiparazione del lavoro ad una merce però è inevitabile che nel lavoro

ci sia un elemento che può essere oggetto di una dinamica di mercato (altrimenti non si spiega

come mai c’è il contratto, gli obblighi: c’è un offerta di lavoro perché c’è uno scambio di natura

corrispettiva). Il lavoro, quindi, non può essere parificato ad una qualunque merce: non è un

qualsiasi bene che può essere scambiato sul mercato, prescindendo da alcuni limiti che derivano

dalla circostanza che nel lavoro è implicata la persona umana. E’ una questione di limiti, che

derivano anzitutto da una visione etica della convivenza sociale, quella che noi abbiamo fatto

nostra attraverso le costituzioni, di tutti i paesi europei e non solo, costituzioni temporanee che

sono radicate su questa visione etica, sulla convinzione secondo cui non è possibile una

equiparazione del lavoro ad una merce qualsiasi, ma occorre muovere dal presupposto che nel

lavoro è implicata la persona umana e, per questo, non è possibile trattare il lavoro come una

qualsiasi merce di scambio (non si possono cedere esseri umani, e n

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Publisher
A.A. 2016-2017
246 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiuLsss.94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Albi Pasqualino.