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Less Deceived. È significativa perché costituisce una delle rare occasioni in cui Larkin parla del
della psiche, dell’anima, del paesaggio interiore. La caratteristica dell’io di
paesaggio interiore, ovvero è un io che guarda verso l’esterno. La lirica da
Larkin è quella di essere interocettivo,
sempre è una forma di esternazione dell’interiorità, dell’interiorità, dell’io che si mette a nudo. Per
Larkin, invece, la lirica descrive l’esterno. If my darling è una poesia insolita in cui il poeta prova a
parlare dell’interiorità e si immagina che la darling del titolo, come la Alice in Wonderland di L.
Carrol, entri nella psiche del poeta. Il poeta prova allora a descrivere ciò che lei troverebbe dentro la
sua interiorità. È come una Alice che sprofonda nel buco. Tuttavia, in questa poesia il poeta, nel
descrivere il suo paesaggio interiore, parla più di oggetti che di sentimenti. La sua è un psiche
anch’essa oggettiva. È una psiche arredata quasi con un po’ di tutto. Diche che lei non troverebbe il
mobilio tipico della piccola borghesia ma una luce animale che varia, un guanto di donna, un
pavimento malsano e che cede al contempo. È una psiche sulla quale non si può fondare alcun ché.,
come potrebbe essere la pelle di una tomba. È qualcosa di sottile. Poi vi troverebbe una statua greca
però mutilata nei genitali (= rappresentazione sordida della vita sessuale; non vita olimpica), un
mastello per risciacquare gli indumenti, ecc. C’è tutta una lista di oggetti e la sua darling
ascolterebbe una recita incessante intonata dalla realtà. È una poesia piena di termini tecnici che
di quel significato. Siamo nell’epoca della
hanno una duplice valenza: significato e confutazione
tecnica nel secondo dopoguerra. Per Larkin siamo nell’epoca del preponderare della realtà. Al posto
delle emozioni, dei sentimenti, della psicologia, dell’interiorità, troviamo una serie di oggetti dal
contraddittorio, perché i valori si sono persi. La tecnica ha contribuito all’alienazione
significato
dell’uomo e lo confonde. Se lei scoprisse che per lui il passato, e il futuro è neutro, lei sarebbe
sbalzata giù dal suo centro gravitazionale inestimabile, dalla sua sicurezza. La sua vita sarebbe stata
sconvolta. Ma cosa vuole dire Larkin? L’io è sostanzialmente acronico, senza tempo, ha perso la
sua memoria e il futuro è solo qualcosa di ipotizzabile, sulla quale non vale la pena insistere. È tutto
si trova in un presente schiacciato. Per P. Ricoeur è l’io dell’idem, sempre
senza tempo e l’uomo
uguale a se stesso, che non cambia, perché nulla ha significato. Il futuro è neutro e il passato non
vuole dire niente. Heiddeger e gli esistenzialisti sottolineano che l’essere creature temporali, nel
tempo, consapevoli della propria finitudine, permette all’io di proiettarsi nel tempo, consapevole
della morte. Larkin, invece, nega questa progettualità dell’uomo. Non c’è tempo e non c’è nulla.
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Non è un esistenzialista, è un nichilista sprezzante di qualunque filosofia e metafisica. Tuttavia, in
lui ci sono molti aspetti che si avvicinano alle tematiche esistenzialiste:
Il rapporto con la morte: il rapporto esistenza vita/morte è uno dei nodi della filosofia
esistenzialista.
Larkin scrive una poesia, una sorta di aubade. Per quanto riguarda questa particolare tipologia di
componimento, ci sono due tradizioni:
L’alba secolare: il peccatore, il meditatore religioso, l’asceta riflette sui grandi principi: Dio,
1. Dio, la sua venuta, ecc. Il pensatore religioso attende l’alba come momento
il rapporto con
della rivelazione divina. È un topos biblico
L’alba in senso erotico-amoroso: è l’incontro carnale e l’alba è il momento di separazione
2. tra i due amanti, che comporta delusione, rammarico e dispiacere
In questa poesia, Larkin non fa né l’una né l’altra cosa. Il poeta, mezzo brillo e annoiato, riflette
sulla inutilità dell’esistenza. La sua alba non appartiene né alla tradizione erotico-romantica né a
quella religiosa. È pieno di sconforto e trascorre una notte insonne. È solo, non si aspetta nulla
dall’alba. La poesia finisce con l’immagine dei postini che vanno di porta in porta come dottori. Il
sole è bianco come l’argilla: è un’alba senza sole, ma c’è del lavoro da fare e i postini vanno di casa
in casa. Qual è allora la soluzione secondo Larkin? Del lavoro da svolgere, la quotidianità: si lavora
e non si pensa, per non impegnarsi metaforicamente perché colui che pensa è perduto. I postini
sono in qualche modo dei medici dell’anima che ti rassicurano sull’esistenza di un mondo in cui c’è
del lavoro da fare, un lavoro che anestetizza il male di vivere. Tra l’altro, il lavoro, per Larkin, non
è davvero la soluzione. Lui, biograficamente parlando, ha fatto il bibliotecario tutta la sua vita in
provincia, nell’Inghilterra dell’est. Ha scritto poesie sul lavoro, qualificandolo come ‘rospo’
toad
work. Il toad work è un lavoro orribile, tedioso, che ti obbliga senza darti alcuna gratificazione. In
una poesia, Larkin scrive che il lavoratore dovrebbe dire al suo datore di lavoro ficcatela dove vuoi,
la pensione. Ma tutti, infine, sono schiavi del lavoro rospo. Quindi, anche il lavoro per Larkin non
si qualifica infine come un valore. Non siamo più in epoca vittoriana. Carlisle diceva ogni lavoro è
sacro, work produces. Il lavoro era la vera religione in epoca vittoriana. Larkin, invece, lo definisce
una necessità di routine quotidiana che non affranca l’uomo, il quale resta alienato.
L’uomo vive nel qui e nell’ora (here è un deittico molto ricorrente in Larkin). È difficile sfuggire a
questa pressezza dell’esistenza. Larkin si immagina cosa succederebbe se prendesse al porto una
nave in partenza. Ha scritto poesie che alludono al partire, all’andare, al viaggio e al tornare, ma
non vale la pena, infine. Partire, mollare tutto, cercare un altrove è fondamentalmente delusivo
perché non si può sfuggire alla deiezione, l’essere gettato dell’uomo nella sofferenza,
nell’incompiutezza. In Larkin, tutt’al più, troviamo ammissione del fatto che home is so sad. In rari
momenti, il poeta si immagina che la vita sia altrove, non qui e ora, ma dove non siamo forse è
possibile una qualche forma di epifania. The Witsun Weddings: quella dei matrimoni di pentecoste
era una tradizione diffusa all’epoca. Il viaggio di notte dalla periferia a Londra. Larkin racconta di
un viaggio in treno di coppie sposate. Ci fa vedere cosa succede alla fine del viaggio: montò un
senso di caduta, come una freccia temporale lanciata fuori dalla loro vita, lontano dalla loro
possibilità di vederla. Da qualche parte, però, la freccia diventa pioggia. Da qualche parte ciò che
si promette si mantiene, qualcosa succede, un’epifania che mantiene le aspettative. La promessa è
dell’affermatività che troviamo
mantenuta, la vita si manifesta, ma somewhere. Questo è il massimo
in Larkin. 55
c’è la sua celebre definizione della vita. Si tratta di una poesia in cui il poeta
In Dockery and Sons
confronta la sua esistenza con questo Dockery. La sua è una vita priva di alcunché, una esistenza
vuota e di fallimento. Non si è sposato, non ha avuto figli, né ha avuto successo nel commercio,
ecc. A paragone, il poeta si sente come l’escluso dalla vita, quello che non ha saputo lasciare
l’impronta: no house, no son, no wife, no land, ecc. Dopo una serie di esclamazioni euforiche,
scrive life is first boredom, then fear; whether we use it or not, it goes and leaves quel qualcosa di
nascosto a noi, che lei sceglie. La vita ci lascia qualcosa di nascosto ma noi non siamo destinati a
realizzarci, ad avere un’epifania. Life is age, vecchiaia and then the only end of age, death. È molto
leopardiano. Leopardi diceva che ‘la felicità è uno stato non guastato dalla noia né velato dal
dolore’. La felicità è fatta di barlumi brevi e sfuggenti. In Larkin, come anche il Leopardi, c’è
sempre questa riflessione tra vita e morte. Ma, perché si possa parlare di esistenzialismo in Larkin,
ci sarebbe bisogno dell’idea di progettualità, della vita in quanto scacco, insensatezza totale. Queste
poesie fanno toccare con mano il rapporto di Larkin con la realtà, come accade in tanti altri
componimenti.
La sua è una poesia della oggettività, piena di oggetti e del reale, di ciò che accade. L’oggettività
sostituisce l’interiorità, la rimanda ma non la svela. È tutta correlata, eliotianamente parlando. Non è
progettata o proiettata nel futuro. Non è fatta di un realismo proiettato verso il futuro, ma è
un’oggettività acronica.
Mr Bleaney: è una delle poesie più celebri di Larkin, inserita in The Witsun Weddings.
Biograficamente, la poesia potrebbe parlare di una esperienza vissuta dallo stesso Larkin che si recò
a Hall Town, città dell’Inghilterra orientale e prese in affitto una stanza. L’io poetico visiona e
prende possesso di una stanza che affitta da una padrona di casa (landlady). La stanza era
appartenuta prima a un certo Mr Bleaney, di cui l’io poetico ha notizia grazie alla padrona di casa.
La proprietaria gli dà notizie nel corso del tempo di questo signore che lo aveva preceduto come
affittuario (lodger).
Si tratta di una poesia metricamente molto tradizionale. I versi sono pentametri. Il pentametro è
l’unità metrica più tradizionale nella poesia inglese. Il pentametro giambico è ascendente. L’accento
cade sulla seconda sillaba. Non a caso, Ezra Pound dirà break the pentametre perché bisognava
lasciare spazio al verso libero. Pound era più radicale rispetto a Eliot, il quale prospettava una
saggia commistione dei due. Nella poesia la signora di casa parla di Mr Bleaney e del tempo che
aveva trascorso lì, lavorando per una ditta. Dopo Pound e Eliot, alcuni poeti riprenderanno la
metrica tradizionale. Anche per questo motivo Frazer parlò di un Neo Augustanesimo. Sono
quartine di rime alternate (ABAB); è lo schema rimico più tradizionale, canonico, tipico della
poesia inglese. È una poesia di una tradizionalità esemplare dal punto di vista metrico. Questa scelta
risalta in modo particolare perché, fino a quel momento, i poeti non avevano pi