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APITOLO
Il Testo Unico Bancario contiene 2 articoli fondamentali in tema di attività bancaria:
l’art. 10, che recita che “la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito
costituiscono l’attività bancaria, che ha carattere d’impresa ed è riservata alle banche,
che esercitano inoltre ogni attività finanziaria, secondo la disciplina propria di
ciascuna, nonché le attività connesse o strumentali, escluse le riserve di attività previste
dalla legge”;
l’art. 11, che indica “la raccolta del risparmio” e “l’acquisizione di fondi con obbligo di
rimborso” come operazioni con le quali la banca acquista la disponibilità
temporanea di moneta ed “esercizio del credito” come operazione con cui la banca
concede la stessa al cliente.
Il cliente nei cui confronti viene efettuata la raccolta, e la banca che eroga il credito,
sopportano il rischio economico derivante dall’eventualità che la controparte non sia
in condizione di restituire il denaro nel momento dovuto. L’inadempimento (o
l’insolvenza) è un rischio coerente con la raccolta e l’erogazione bancaria.
Allo stesso modo è presente il rischio di cambio, che si ha qualora la moneta oggetto
di raccolta o erogazione sia diversa da quella oggetto della restituzione.
Incompatibile risulta invece il rischio d’impresa, poiché il rimborso del risparmio e la
restituzione del credito non possono giuridicamente essere condizionati dal risultato
economico dell’impresa nella quale sono investiti.
C 6
APITOLO
Solo alle banche era concessa la possibilità di svolgere attività bancaria, ma questa
doveva essere l’unica funzione da esse esercitata.
Il sistema derivante dalla Legge Bancaria del 1936 era caratterizzato dalla distinzione
tra le attività a breve termine e attività a medio-lungo termine. La separazione era tale
che a svolgere queste operazioni dovevano essere due soggetti distinti: nel primo
caso si parlava di imprese che svolgevano attività di raccolta a vista, nel secondo di
istituti di credito che svolgevano attività di raccolta ed erogazione mutualistiche.
Per quanto elastica fosse, la Legge Bancaria non poteva stare al passo dei rapidi
cambiamenti del settore fnanziario, provocando lo sviluppo di fenomeni “atipici”.
Le attività fnanziarie sono operazioni riassumibili in 3 diversi schemi:
denaro-tempo-denaro, ovvero operazioni creditizie;
denaro-spazio-denaro, ovvero operazioni di pagamento o di trasferimento;
denaro-denaro, ovvero operazioni di cambio.
Il Testo Unico Bancario, invece, stabilisce che tutte le banche possono esercitare tutta
l’attività bancaria, sia a breve che a medio-lungo termine, e ogni altra attività
fnanziaria, salvo le riserve di legge. Ciò ha portato a un passaggio dai gruppi
polifunzionali, caratterizzati dall’esercizio di attività non-bancarie tramite imprese
controllate, alle imprese universali, in cui tutte le attività sono esercitate da un unico
soggetto.
Il divieto di raccolta del risparmio ai soggetti diversi dalle banche interviene qualora vi
sia oferta di denaro, intesa come disponibilità a ricevere capitale di credito,
strutturata in modo tale da poter essere rivolta a una pluralità indeterminata di
soggetti. C 7
APITOLO
Nel rapporto tra banca e cliente ricorrono le disposizioni delle “condizioni generali di
contratto” o dei “contratti conclusi mediante moduli o formulari”. Si tratta di disposizioni
che non fanno alcun riferimento all’impresa bancaria e ai contratti bancari, ma sono
rintracciabili nel Testo Unico Bancario.
Il complesso delle regole proprie del contratto tra banca e cliente si trova però nelle
Norme Bancarie Uniformi (NBU), ovvero schemi contrattuali predisposti
dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI). L’adesione a questa associazione non
comporta vincoli per le banche e dunque l’adozione di tali norme è libera. Nonostante
ciò, tutte le banche applicano queste disposizioni in modo uniforme.
Esistono delle Norme Bancarie Uniformi, intitolate “Condizioni Generali relative al
rapporto banca-cliente”, che si applicano in tutti i contratti tra banca e cliente.
Per quanto concerne le “disposizioni generali di contratto”, queste riguardano le
circostanze in cui uno dei contraenti predisponga delle condizioni generali all’altra
parte non in riferimento a un’operazione specifca, ma a una serie indeterminata di
contratti: queste sono efcaci nei confronti della controparte se, al momento della
conclusione del contratto, questa le ha conosciute, o avrebbe dovuto conoscerle
usando l’ordinaria diligenza. Non è quindi necessario che l’altra parte le abbia
espressamente volute.
Nel caso di “contratti conclusi mediante moduli o formulari”, predisposti per disciplinare
in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, la fattispecie prevede che la
conclusione debba avvenire in forma scritta, con un esemplare consegnato al cliente,
in occasione di un incontro diretto tra le parti. Per motivate ragioni tecniche,
particolari contratti possono essere stipulati in forma non scritta. In tutti gli altri casi,
l’inosservanza della forma scritta rende nullo il contratto. Il Testo Unico Bancario, per
fornire ulteriore garanzia al cliente, aferma che solo quest’ultimo può far valere la
nullità, sempre che il fatto avvenga in buona fede.
Tutte le clausole eventualmente aggiunte al modulo o formulario prevalgono su
quelle in esso già iscritte, anche se queste ultime non sono state cancellate.
L’imprenditore, nel predisporre il contenuto standard dei contratti, ha la tendenza a
massimizzare il suo vantaggio, ma al tempo stesso deve venire incontro alle esigenze
della clientela. Ciò rappresenta un vantaggio soprattutto per coloro che si trovano in
una posizione di debolezza contrattuale, che li porterebbe ad accettare condizioni
anche peggiori di quelle standard.
L’esigenza di tutelare gli interessi della clientela ha portato all’elaborazione della
“Tutela del Mercato”, che si occupa di salvaguardare l’efettiva concorrenzialità del
mercato, anche contro l’interesse dei singoli imprenditori. Tale legge vieta e sanziona
sia “le intese restrittive della libertà di concorrenza”, sia “l’abuso di posizione dominante”.
In soccorso dei consumatori è venuta anche la disciplina della “trasparenza bancaria”,
che però afronta problemi diversissimi risolvendoli solo in modo parziale.
Secondo il “principio della pubblicità”, in ciascun locale della banca aperto al pubblico
devono essere esposti i tassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla
clientela e ogni altra condizione economica relativa alle operazioni e ai servizi oferti.
Sono nulle e si considerano non apposte tutte le clausole contrattuali che prevedono
condizioni più sfavorevoli per il clienti di quelle esposte; inoltre, si applicano i tassi
minimi a favore della banca e quelli massimi a favore del cliente. È possibile variare in
senso sfavorevole al cliente le condizioni del contratto, ma solo con la specifca
approvazione di questi mediante apposita frma. Se, nei contratti di durata, è
convenuta la facoltà unilaterale di modifcare le condizioni del contratto, queste
variazioni devono essere comunicate al cliente, il quale può recedere entro 15 giorni.
“La Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti o titoli abbiano un contenuto
tipico determinato”. Con ciò, il Legislatore concede alla Banca d’Italia il potere di
individuare un tipo di contratto usato nella pratica ma non regolato e di stabilirne il
contenuto, disponendo che “tutti i contratti e i titoli diformi sono nulli”.
Le Norme Bancarie Uniformi inizialmente contenevano la disciplina di vari tipi di
contratto e, tra le norme dettate in tal sede, quelle riguardanti il conto corrente di
corrispondenza si presentavano come “principi comuni” del rapporto banca-cliente. La
ragione di ciò stava nella funzione specifca del contratto di conto corrente bancario:
esso costituiva il rapporto base tra le due parti.
Nel 2000, si è giunti a stabilire alcuni principi generali chiamati appunto “Condizioni
Generali relative al rapporto banca-cliente”:
l’art. 4 stabilisce che “le comunicazioni, gli ordini e qualunque altra dichiarazione del
cliente diretti alla banca devono essere inviati alla succursale presso la quale sono
costituiti i singoli rapporti; il cliente curerà che le comunicazioni e gli ordini redatti per
iscritto, nonché i documenti in genere, diretti alla banca siano compilati in modo chiaro
e leggibile”;
l’art. 5 prevede che “l’invio al cliente di lettere o di estratti conto, le eventuali notifiche
e qualunque altra dichiarazione o comunicazione della banca saranno indirizzati al
cliente con pieno efetto all'ultimo indirizzo comunicato per iscritto”;
l’art. 7 recita che “le firme del cliente, e dei soggetti a qualsiasi titolo autorizzati ad
operare nei rapporti con la banca, sono depositate presso lo sportello ove il relativo
rapporto è intrattenuto; il cliente e i soggetti di cui al comma precedente sono tenuti a
utilizzare, nei rapporti con la banca, la propria sottoscrizione in forma grafica
corrispondente alla firma depositata”;
l’art. 8 dispone che “il cliente è tenuto a indicare per iscritto le persone autorizzate a
rappresentarlo nei suoi rapporti con la banca, precisando gli eventuali limiti delle
facoltà loro conferite; le revoche e le modifiche delle facoltà conferite alle persone
autorizzate, nonché le rinunce da parte delle medesime, non saranno opponibili alla
banca finché questa non abbia ricevuto la relativa comunicazione oppure la stessa sia
stata presentata allo sportello presso il quale è intrattenuto il rapporto, e non siano
trascorsi 5 giorni lavorativi dalla ricezione della predetta comunicazione”.
C 8
APITOLO
Il conto corrente civilistico è un contratto piuttosto raro che presuppone una
relazione d’afari tra due parti, dalla quale si prevede la nascita di reciproci rapporti di
credito-debito. Questo tipo di contratto non ha nulla a che vedere con il conto
corrente bancario. Con esso, infatti, le parti si obbligano ad annotare in un conto i
crediti e i debiti derivanti da qualsiasi tipo di operazione intercorrente tra le stesse.
Alle scadenze prestabilite, il conto si chiude e si efettua la somma dei relativi crediti e
debiti, così da determinare il saldo fnale. Questo diventa esigibile e