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Sin dalla sua prima lettera si possono desumere gli eventi più importanti che si susseguiranno:
Il testo inizia con una lettera di Jacopo dell’11 ottobre 1797 dai Colli Euganei:
“Il sacrificio della patria non è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa,
non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di
proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha
tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per
evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine
antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche
giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi,
purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può.
Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il
mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente
compianto da' pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra
de' miei padri”.
È utile, vista l’accusa di plagio rivolta a Foscolo, leggere la parte iniziale del Werther di Goethe:
“Ho raccolto con cura e qui espongo quanto ho potuto trovare intorno alla storia del povero
Werther, e so che me ne sarete riconoscenti. Voi non potrete negare la vostra ammirazione e il
vostro amore al suo spirito e al suo cuore, le vostre lacrime al suo destino. E tu, anima buona, che
come lui senti l'interno tormento, attingi conforto dal suo dolore, e fai che questo scritto sia il tuo
amico, se per colpa tua o della sorte non puoi trovarne di più intimi…”.
C’è un riferimento al Trattato di Campoformio in base al quale il territorio della Repubblica di
Venezia veniva ceduto da Napoleone agli austriaci in cambio della Lombardia. Viene subito
affrontato il tema politico in toni subito biblici E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le
mani nel sangue degl'italiani.
13 ottobre
“Ti scongiuro Lorenzo non ribattere più…” in questa apertura della seconda lettera si sente che
Lorenzo ha risposto:
“… ho deliberato di non allontanarmi da questi colli è vero che io aveva promesso a mia madre di
rifuggirmi in qualche altro paese ma non mi è bastato il cuore e mi perdonerà, spero. Merita poi
questa vita essere conservata con la viltà e con l’esilio? Oh quanti de’ nostri concittadini
gemeranno pentiti lontano dalle loro case! perché e che potremmo aspettarci noi se non se
indigenza e disprezzo; o al più, breve e sterile compassione, solo conforto che le nazioni incivilite
offrono al profugo straniero. Ma dove cercherò asilo? in Italia? terra prostituita premio sempre
della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi agli occhi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti e
non piangere d’ira? Devastatori de’ popoli, si servono della libertà come i papi si servivano delle
crociate. Ahi! sovente disperando di vendicarmi caccerei un coltello nel cuore per versare tutto il
mio sangue fra le ultime strida della mia patria. E questi altri? - hanno comperato la nostra
schiavitù racquistando con l’oro quello che stolidamente e vilmente hanno perduto con le armi.
Davvero ch’io somiglio un di que’ malavventurati che spacciati morti furono sepolti vivi, e che poi
rinvenuti si son ritrovati nel sepolcro fra le tenebre e gli scheletri, certi di vivere, ma disperati del
dolce lume della vita, e costretti a morire fra le bestemmie e la fame. E perché farci vedere e
sentire la libertà, e poi ritorcerla per sempre? E infamemente! …”
Gli stranieri in mezzo ai quali il patriota Ortis è attanagliato sono di due nazioni diverse: i francesi di
Napoleone, che ci hanno spogliati, derisi, venduti e gli austriaci, che hanno comperato la nostra
schiavitù.
Chiuso come in una morsa, Ortis comincia subito a vagheggiare il suicidio.
In favore di cosa compirà l’atto del suicidio? In favore della libertà. Jacopo vuole essere un uomo
libero. Ora è un oppresso ed è questo senso profondo di oppressione che attanaglia il suo animo,
facendolo vivere nella sofferenza.
“Che cosa potrei guadagnarne? Quanti si pentiranno non potendo godere della loro libertà. Io
voglio la libertà”
Già dalle prime istanze di quest’opera, la prolusione (premessa) di Lorenzo, le prime due lettere, noi
conosciamo l’intera opera e di fatto tutto il suo svolgimento.
16 ottobre
La terza lettera è incentrata sulla passione amorosa.
Foscolo non vuole scrivere un romanzo sentimentale ma sa che tra i salotti borghesi i temi
sentimentali sono quelli più ricercati e apprezzati, per questo strumentalizza la passione sentimentale
affinché il pubblico dei lettori possa goderne a pieno, ma lo fa con un inganno. Ci presenta Lauretta
che potrebbe sembrare la donna amata (rimanda alla Laura di Petrarca. Foscolo, infatti, in quegli anni
stava lavorando ad un altro romanzo epistolare Laura lettere).
Lauretta è simbolo di morte Ella amava Eugenio e l’è morto fra le braccia e di follia Bella e giovane
ancora, ha pur inferma la ragione.
Lauretta è l’emblema del sentimento che sconvolge l’animo. In realtà Lauretta non è la donna amata
da Jacopo e Foscolo utilizza questa strategia per intrigare il lettore e per rendere il romanzo
appetibile.
Lauretta è impegnata sentimentalmente con un altro ragazzo, Eugenio. La lettera ci introduce due
temi: il sentimento amoroso e contemporaneamente anche quello civile perché Laura era fidanzata
con Eugenio, il quale è morto in guerra. Eugenio è la metafora di tanti giovani che sono scesi in
guerra e hanno lasciato le loro madri. Ciò permette a Foscolo di fare un salto dall’amore alla guerra,
si tratta di un climax (Eccoti libertà è un’espressione utilizzata dopo la presentazione di Laura.
Libertà ha sostituito la parola Rivoluzione che arricchiva ulteriormente il sentimento di pathos). I
giovani si rivedono in Eugenio e in Foscolo, in quanto stanno vivendo le loro stesse vicende; si
rispecchiano in essi e si crea tra loro un sentimento empatico. In contrapposizione ai giovani, Foscolo
presente anche i tristi, ovvero quelle persone che non si impegnano per il valore civile, sono i vili,
coloro che si svendono allo straniero.
Sullo sfondo vi è quella povera famiglia di patrioti-esuli, fratelli in spirito di Ortis, vittime come lui
della Libertà.
18 ottobre
Il divino Plutarco, libro-chiave della formazione foscoliana, è lettura prediletta di Jacopo. Qui Ortis
si specchia nei quasi primati dell’umano genere, che sono gli eroi delle Vite parallele (opera di
Plutarco), perché sa d’essere eroe a sua volta.
Inoltre viene presentato Michele, il garzone/servo, una figura di servizio che accompagnerà Jacopo
fino alla fine del romanzo. Il nome non è casuale. Pur non essendo molto religioso, profonda è la
conoscenza di Foscolo della Bibbia. Michele, infatti, è quell’Angelo messaggero che attraversa tutti i
mondi e che quindi accetta tutte le prerogative consegnando i messaggi. Sarà proprio Michele, infatti,
a consegnare e a spedire le lettere di Jacopo.
Nell’opera vi sono molti rimandi alla letteratura e alla filosofia di sempre, a volte esplicitati, altre
volte da rintracciare tra le righe (rimandi alle tragedie di Alfieri). Incontriamo Plutarco, autore di
un’opera che raccontava la vita dei personaggi più illustri dell’antichità, soprattutto greci. Foscolo
riconosce nel mondo greco le basi della civiltà moderna e Plutarco, che ha una conoscenza
approfondita della civiltà ellenica, viene preso ad esempio.
La storia è maestra di vita e Foscolo sa che per comprendere il presente non ci si può affrancare dal
passato.
Umana razza chiude la lettera con un senso dispregiativo. Essere civili non può prescindere dalla
conoscenza degli uomini illustri. Secondo Foscolo perché la razza umana diventi civiltà deve
riconoscere quei valori antichi rintracciabili nelle figure di tutti coloro che hanno fatto la storia. Se gli
uomini riescono a rintracciare tali valori, allora potranno dirsi appartenenti ad una civiltà, altrimenti
rimarranno rinchiusi nell’umana razza.
23 ottobre
È una lettera importante. È come se fosse divisa in due parti.
La prima parte presenta dei ganci con la lettera precedente: parla di Plutarco e di alcuni personaggi
di cui narra la vita ai contadini.
La focalizzazione della narrazione, fino ad ora incentrata su Jacopo, si sposta adesso sul paesaggio,
in particolare sul borgo. Si intravede un rimando a Rousseau e al mito del buon selvaggio. Egli
mette in evidenza le virtù delle persone semplici, perché la semplicità detiene i valori cari a Foscolo.
Se avesse recitato Plutarco in un salotto, probabilmente gli ascoltatori non avrebbero fatto tanta
attenzione a ciò che raccontava, ma sotto al platano, i contadini lo ascoltavano con stupore.
Foscolo invita i suoi lettori a riconsiderare ciò che è davvero essenziale.
Traspare una vena ironica; è come se Foscolo si prendesse beffa di tutti quegli intelligenti che
badano ancora alle cose inutili e squallide. I contadini sono molto più capaci rispetto agli intelligenti
di capire l’importanza di quei racconti che ascoltano con stupore.
Nella seconda parte della lettera viene presentato il signor T., padre di Teresa, che intreccerà
ulteriormente la vicenda di Jacopo. Il signor T. Viene presentato come il prototipo di uomo che
possiede i valori fondamentali per renderlo parte attiva di una civiltà. Sono tre le componenti che
secondo Aristotele formano l’uomo per eccellenza: l’atto, la potenza e la cinestetica. L’atto e la
capacità di tramutare in azione la potenza (cioè la capacità di strutturarsi secondo un’etica). Tutto ciò
avviene attraverso un movimento che è la cinestetica.
Il signor T. si rivelerà poi essere una persona diversa da quella che si era mostrato in precedenza. Sarà
una delle poche persone che Jacopo avrà accanto fino alla fine. Le altre scompariranno.
N.B.: Foscolo utilizza un modello a cerniera: l’ultima parte di ogni lettera funge da gancio a quella successiva.
24 ottobre
Vi è la metafora del ribaldo contadinello che ruba la frutta. Si tratta di un’invettiva contro coloro che
usurpano le cose degli altri. La lettera è significativa nella conclusione: fanno tutti così