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Il regime di protezione dell'impiego (RPI)
Boeri e Garibaldi hanno cercato di individuare che effetti avessero le riforme al margine sull'impresa. Una serie di evidenze empiriche circa i costi di licenziamento (quindi diverse forme contrattuali) per le imprese (distinguendo tra permanenti e temporanei) tra i diversi paesi OCSE e come questi costi sono cambiati negli ultimi 30 anni. I costi e le procedure di licenziamento sono chiamati regimi di protezione all'impiego che sono quindi tutte le norme e procedure che devono essere rispettate in caso di licenziamento. Queste procedure obbligano le imprese a pagare un indennizzo al lavoratore. Sono una delle più importanti (e dibattute) istituzioni del mercato del lavoro. In quasi tutti i paesi, i RPI obbligano i datori di lavoro a pagare al lavoratore un indennizzo monetario in caso di interruzione anticipata di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, sia in caso di licenziamenti individuali che collettivi, lalegge prevede il rispetto di complesse procedure. Infine, in alcuni paesi, la decisione finale sulla legittimità di un licenziamento può dipendere dal giudizio di un tribunale. Il jobs act ha cercato di ridurre queste inefficienze riducendo le volte in cui il giudice poteva intervenire. E ha sostituito questo giudizio con una ricompensa diretta. Questo dal lato dell'impresa ha sicuramente dato molti benefici in quanto ha velocizzato la burocrazia e ha fatto sì che anche gli indennizzi non fossero così onerosi. L'OCSE ha cercato di misurare e confrontare quanto questi regimi di protezione all'impiego sono stringenti nei diversi paesi. Negli anni '80 ha creato questo indicatore di regimi di protezione all'impiego che distingue tra licenziamenti individuali, collettivi (entrambi per lavoro permanente) e in più c'è un indicatore a parte per il lavoro temporaneo, non si misura la difficoltà di licenziamento ma ladifficoltà di utilizzo. Per tutte queste tre voci ci sono una serie di indicatori che vengono considerati. Per ciascuna di queste voci viene dato un punteggio da 1 a 6, dove 1 significa massima flessibilità e 6 massima rigidità. Più il livello di questo indicatore è alto più vuol dire che in quel paese è difficile e costoso licenziare lavoratori. Gli Usa sono il paese con la regolamentazione più bassa quindi più flessibile. L'Italia, soprattutto con riferimento all'occupazione permanente, non è mai stata così diversa dagli altri paesi europei, quello che la contraddistingueva negli anni '80 era una rigida regolamentazione per i lavori temporanei. Questo grafico invece presenta i dati più aggiornati con riferimento ai licenziamenti individuali e collettivi. L'altezza dell'intera barra ci dice qual è la regolamentazione per tutta l'occupazione permanente. La parte grigiaRiguarda la regolamentazione dei licenziamenti individuali e quella dei licenziamenti collettivi. Nel complesso l'Italia è inferiore a 3 anche se siamo tra i paesi più regolamentati (prima del jobs act) ma siamo comunque in buona compagnia in Europa. All'interno dell'Europa l'Italia non spicca come paese rigido, invece all'interno dei paesi OCSE sì.
Se i punti si distribuiscono sulla diagonale principale o nell'intorno vuol dire che i punti hanno le stesse coordinate sulla x e sulla y quindi gli indicatori che sto misurando non sono cambiati molto nel tempo, se invece si distribuiscono sopra il valore è aumentato, sotto invece si è ridotto.
Il grafico a sinistra ci dimostra la regolamentazione dei licenziamenti dei contratti permanenti. Non sono cambiati molto da fine anni '80 al 2003, gran parte dei punti si distribuiscono sulla diagonale.
Nel caso dei contratti temporanei, nello stesso arco di tempo c'è
È stata una forte deregolamentazione, infatti la maggior parte dei punti non sono sulla diagonale, come nel caso dell'Italia. Nei paesi europei, da fine anni '80 a inizio 2003, è diventato sempre più facile e meno costoso usare i contratti temporanei. Questa è quella che chiamiamo una riforma di regime dell'impiego al margine perché colpisce solo alcune categorie di lavoratori senza modificare le condizioni dei lavoratori permanenti.
Negli anni '90 molti paesi OCSE hanno attuato riforme di questo tipo. Se confrontiamo l'indicatore dell'OCSE per i contrati permanenti tra fine anni '80 e inizio anni 2000, a parte dei casi isolati (Spagna, Portogallo, Finlandia e Austria che hanno tutti ridotto i costi di recezione dei contratti permanenti), ci sono state poche riforme del regime di protezione all'impiego in questa forma contrattuale, dei contratti cosiddetti permanenti o a tempo indeterminato. Al contrario, un
Il maggiornumero di paesi tra cui l'Italia, ha deregolamentato l'uso dei contratti atipici, flessibili, soprattutto di natura temporanea. In particolar modo tra la fine degli anni 80 e il 2003 in Italia ci sono state due grosse misure in questo senso: il cosiddetto pacchetto Treu 97', che ha introdotto come principale misura in questo ambito i contratti di lavoro interinale ma ha reso più flessibile anche l'utilizzo di altri contratti, ma soprattutto in questo aspetto è intervenuta nel 2003 la legge di Biagi che ha introdotto tutta una serie di nuove tipologie contrattuali flessibili come il lavoro a chiamata. Quindi l'Italia è proprio uno di quei paesi che in questo periodo storico ha attuato questo genere di riforme cosiddette al margine.
Se andiamo a vedere le stesse riforme nel corso degli anni della crisi analizziamo questo grafico che ci fa vedere per ogni paese quale tipo di riforma è stata applicata distinguendo tralicenziamenti.
Individuali e collettivi. La barra azzurra fa riferimento ai licenziamenti collettivi, la parte più scura fa riferimento al periodo di preavviso nella presenza o meno di una liquidazione in caso di licenziamento e così via. Il rombo fa riferimento al cambiamento complessivo nel regime di protezione all'impiego dei licenziamenti sia individuali che collettivi e contratti permanenti.
Queste sono le variazioni avvenute in 5 anni non in 15 come nel grafico precedente. Nel corso della crisi un numero più elevato di paesi ha deregolamentato, ha reso meno costoso il licenziamento di lavoratori permanenti. Tra questi c'è anche l'Italia, dove in realtà questo effetto di deregolamentazione non è dovuto al jobs act perché non ricade in questo periodo, ma a una prima deregolamentazione seppure più lieve avvenuta con la riforma Fornero che aveva ridotto le cause di reintegro da licenziamenti senza giusta causa dell'art. 18.
Il messaggio principale è che nella crisi le tendenze sono cambiate. Più paesi hanno fatto riforme per rendere meno costoso il licenziamento dei lavoratori permanenti mentre, salvo qualche rara eccezione tipo il Messico, un numero di paesi ha reso più costoso, meno facile, l'utilizzo dei contratti temporanei. Tendenze completamente diverse rispetto al periodo precedente.
Quale era l'obiettivo dei legislatori o dei policy makers nel rendere relativamente meno costoso licenziare i lavoratori permanenti proprio nel momento in cui le imprese, durante la crisi, avevano più bisogno di farlo? Nel periodo della crisi molte imprese rischiavano di chiudere e un modo per evitare la chiusura era ridurre i costi di licenziamento dei lavoratori permanenti perché l'impresa ha reagito alla crisi prima, come sappiamo dal modello di buffer stock, non rinnovando tutti i contratti temporanei, ma la crisi è stata in alcuni paesi.
in uno dei due sottomercati, è difficile passare all'altro. Questo crea una divisione tra lavoratori con contratti stabili e lavoratori con contratti precari, con conseguenti differenze di diritti e protezioni sociali. Inoltre, il mercato del lavoro duale può portare a una maggiore disuguaglianza economica e sociale. Per affrontare questi problemi, è necessario promuovere politiche che favoriscano la creazione di posti di lavoro stabili e di qualità, garantendo al contempo la flessibilità necessaria per adattarsi alle esigenze dell'economia. È importante anche investire nella formazione e nell'aggiornamento professionale dei lavoratori, in modo da renderli più adattabili e competitivi sul mercato del lavoro. In conclusione, il mercato del lavoro è un elemento chiave per l'economia di un paese e deve essere gestito in modo equo ed efficiente. È necessario trovare un equilibrio tra flessibilità e sicurezza, garantendo diritti e protezioni ai lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto che hanno. Solo così si potrà creare un mercato del lavoro più inclusivo e sostenibile.Nel mercato del lavoro con un contratto di lavoro temporaneo risulta difficile fare la transizione verso un contratto di lavoro permanente. In questo contesto, l'aumento della regolamentazione dei contratti di lavoro temporaneo serve proprio per ridurre le differenze di costo tra i due contratti e per disincentivare, per certi versi, o ridurre gli incentivi nell'utilizzo dei contratti temporanei e quindi dovrebbe essere anche questa una misura che dovrebbe almeno cercare di combattere la dualità del mercato del lavoro.
A noi interessano soprattutto queste prime ondate di riforme. Boeri e Garibaldi quello che osservano nella loro analisi è che se osserviamo cos'è successo all'andamento del PIL reale dagli anni '90 al 2002, rispetto all'andamento dell'occupazione vediamo che siamo passati da un periodo negli anni '90 di forte crescita economica accompagnata da una crescita meno sostenuta dell'occupazione -> periodo di
jobless growth (crescita economica senza creazione di lavoro). Dametà degli anni '90 le due tendenze sembrano essersi ribaltate. I tassi di crescita dell'occupazione sono notevolmente aumentati mentre, soprattutto nel 2002, si è avuta una contrazione nel tasso di crescita del PIL. Si è passati da un periodo di crescita economica senza creazione di lavoro a un periodo di di growthless job creation, ossia una creazione più sostenuta di occupazione non accompagnata da un aumento del PIL.
Boeri e Garibaldi partono dal modello che già conosciamo per cercare di spiegare questi fenomeni. Supponiamo di essere in un contesto di impresa rigida, la maggior parte delle imprese prima delle riforme avevano pochi incentivi ad utilizzare i contratti temporanei e i costi di licenziamento dei lavoratori permanenti erano alti.
Cosa succede all'occupazione nell'impresa rigida se si introduce la possibilità di utilizzare contratti flessibili, se
all'improvviso questa impresa potrà godere di una flessibilità parziale dell'occupazione determinata da queste riforme al margine del regime di protezione all'impiego?