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Sosour; egli faceva una linguistica storico comparativa e di lui abbiamo molti scritti tra cui un
saggio del 1879.
Quando abbiamo a che fare con un sistema linguistico abbiamo a che fare con una norma e questo è
importante perché quando abbiamo a che fare con una lingua, spesso ci troviamo di fronte alla
differenza tra ciò che risponde alla norma che sta al centro e lo spazio di aspetti meno frequenti,
cioè la periferia. Coserio, un linguista tedesco, era solito distinguere tra sistema e norma di una
lingua: in un enunciato possiamo trovare dei fatti che rispondono alla norma, ma anche fatti che non
sono di uso frequente, ma che sono riconoscibili all’interno di un sistema (ad esempio quando
formiamo un nuova parola o nel caso delle parole possibili, ma non esistenti). Poi abbiamo fatti che
nascono dal desiderio di espressività e si tratta di errori che in realtà sono cmq accettabili in un
sistema linguistico (un allievo di Sosour scrisse un libro, “La grammatica degli errori” con
l’intenzione di porre al centro dell’attenzione quegli aspetti che appartengono alla periferia di un
sistema linguistico).
Circa il rapporto tra lingua e scrittura (che è la rappresentazione grafica di una realtà fonica)
dobbiamo dire che la lingua è un sistema di segni e che un segno è costituito da due elementi, cioè
l’espressione e il contenuto (in più nel caso della linguistica verbale possiamo intravedere una certa
natura simbolica). Se penso all’espressione che costituisce il segno della linguistica verbale posso
pensare che questa espressione è ciò che collochiamo al livello della seconda articolazione.
Occupandoci di fonetica ci occupiamo della sostanza dell’espressione, occupandoci di fonologia ci
occupiamo della forma di questa espressione; quindi potremmo pensare che se sostituisco la materia
fonica con una materia grafica, io passi dalla lingua alla scrittura.
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Una scrittura è anch’essa un sistema di segni, un linguaggio grafico e se mi soffermo sul segno di
questo sistema di segni che viene definito scrittura e penso alla sua espressione e al suo contenuto,
mi accorgo che questo segno ha come espressione la forma grafica e come contenuto una unità
linguistica che è il suono (la diversità dei segni salta all’occhio se guardo la diversità del rapporto
tra la loro espressione e il loro contenuto).
Il contenuto di un segno grafico è quindi un suono, può essere anche una parola o una sillaba, cioè
una unità linguistica di un altro livello; esistono diversi tipi di scrittura che possiamo classificare se
come criterio di classificazione adotto quello che mi riporta al contenuto del segno: se prendo in
considerazione le scritture che hanno come contenuto del segno un suono ho i sistemi grafici che
chiamiamo alfabeti e in questo caso il grafemi viene chiamato lettera. Il contenuto dei segni grafici
può però anche essere una sillaba, cioè posso avere un sistema di segni in cui una certa forma
grafica come <p> mi rimanda a una sillaba che può essere pa e questo è il caso dei sistemi grafici
sillabici. Esempio di sistemi grafici sillabici sono il lineare B e il cipriota, attestati nel II millennio,
che sono gli unici dialetti greci in cui ogni segno corrisponde a una sillaba (in molte scritture vi è la
tendenza a omettere la nasale alla fine di una sillaba), ad esempio
a-to-ro- qo
anthropos
In una scrittura sillabica il nesso th non può essere reso, quindi bisogna introdurre una vocale
quiescente (in questo caso o); con l’alfabeto posso rappresentare più fedelmente i nessi
consonantici, mentre nel caso della scrittura sillabica c’è una minore corrispondenza tra grafia
corrente e pronuncia e in più nella scrittura sillabica non si distingue la breve dalla lunga. Circa
l’ultima sillaba –qo la grafia micenea dimostra uno stadio più antico di un mutamento fonetico che
ha portato alla p di anthropos che non è una p originaria, ma deriva da qualcos’altro, cioè da una
consonante kw. Il problema di una grafia sillabica è quindi dato dai nessi consonantici per cui non
vi è corrispondenza tra grafia e pronuncia; ma una grafia sillabica mi dice qualcosa in più sulle
sillabe, ad esempio: otre aste
o-to-re a-se-te
scrivendo o-to voglio indicare che la t appartiene alla o, mentre se voglio indicare che tutte e due le
consonanti appartengono alla sillaba seguente la grafia giusta è o-te-re, così come nel caso di aste;
quindi vediamo come anche la grafia può dirci qualcosa sulla grafia fonica e queste osservazioni
sono importanti soprattutto per le lingue del passato.
Esiste una distinzione tra alfabeti e sillabari: l’alfabeto è il sistema grafico in cui il contenuto del
segno grafico è quella unità linguistica che chiamo suono, nel sillabario il contenuto del segno
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grafico è costituito da una unità linguistica che è una sillaba (sillabogramma); in entrambi i casi
sono cmq tipi di scrittura in cui l’unità linguistica del segno grafico è di tipo fonologico.
Esistono scritture in cui il contenuto del segno grafico appartiene al livello di analisi di prima
articolazione in cui incontro unità dotate di significato (in cui cioè un suono corrisponde a una
parola), ad esempio x lo leggiamo per in riferimento alla lingua italiana oppure 3 si legge tre.
Le scritture che chiamiamo logografiche presentano quindi segni il cui contenuto è una parola
(logogramma); a volte può succedere che i logogrammi, usati in un altro sistema linguistico,
vengano chiamati ideogrammi quando abbiamo a che fare con segni che mantengono la loro
iconicità dal punto di vista dell’espressione; ma ideogramma non è un termine del tutto appropriato
per indicare il logogramma perché nell’ideogramma la parola ideo rimanda al concetto di idea:
esistono dei sistemi grafici che presentano segni il cui contenuto è un’idea, un concetto e questi
segni sono chiamati pittogrammi. Posso quindi chiedermi se c’è la possibilità di un’evoluzione da
un sistema all’altro: è facile che un pittogramma diventi un logogramma, quindi è facile il passaggio
da un segno che rimanda a un significato a quello che rimanda alla parola più frequentemente
utilizzata per quel significato; un passaggio del genere lo posso immaginare nell’evoluzione da un
sistema logografico (in cui un segni indica una sillaba, ad esempio so) a uno fonologico (in cui un
segno indica una lettera, ad esempio s).
La possibilità di evoluzione esiste, ma ci possiamo trovare in uno stadio in cui questi sistemi
coesistono; quindi non abbiamo a che fare con classificazioni rigide e non dobbiamo pensare che si
abbia a che fare con un evoluzione da ciò che è primitivo a ciò che è elevato. Quando studio una
scrittura dobbiamo confrontarci anche con un problema di carattere antropologico, quindi studiare
una scrittura è un aspetto di quel settore della linguistica che potremmo chiamare etnolinguistica.
Anche le scritture sono fatti di ordine storico e, come le lingue, sono oggetto di evoluzione, ma non
si evolvono di pari passo con la lingua; anche i sistemi di scritture sono articolati come le lingue:
vediamo che c’è un utilizzo limitato di segni per indicare la materia fonica perché la scrittura riflette
l’articolazione linguistica che è formata da unità di livello inferiore (lettere) più numerose rispetto a
quelle di livello superiore (sillabe) a loro volta più numerose di quelle di livello ancora superiore
(parole) che posso combinare combinando le varie sillabe (principio di economia); l’alfabeto è
costituito da un numero di segni inferiori rispetto a quelli di un sillabario.
L’IPA è un sistema grafico convenzionale; si tratta di un alfabeto fonetico che è necessario ai
linguisti per potere rappresentare i suoni in maniera univoca. Sappiamo infatti che non c’è mai una
corrispondenza univoca tra il suono e il simbolo che usiamo per rappresentarlo (a volte per indicare
un suono posso usare tre simboli), quindi era necessario uno strumento che mi permettesse di
indicare in un unico modo un suono. 8
I linguisti nel corso del tempo hanno proposto diversi alfabeti fonetici e nella storia della linguistica
abbiamo diverse proposte; oggi quello che usiamo comunemente è l’alfabeto dell’IPA, ma cmq ne
esistono anche altri (alcuni alfabeti fonetici hanno lasciato dei segni che sono stati usati in altri
ambiti di studio). Un alfabeto linguistico è frutto di una convenzione e quindi deve esserci anche
una certa coerenza nell’uso dei simboli; essendo un alfabeto che si basa su una convenzione, esso
ha una sua storia e può essere modificato nel corso del tempo, cioè degli aggiornamenti anche
considerando le più recenti acquisizioni della fonetica (la prima elaborazione dell’IPA risale a Passy
nel 1888, ma nel 1855 già era stato elaborato un alfabeto linguistico generale da parte del Lepsius).
L’alfabeto fonetico serve quindi a ritrovare la biunivocità tra il suono e la sua rappresentazione
grafica, ma come di fa a rappresentare tutti i suoni, data la vasta gamma di suoni che è in grado di
articolare l’apparato fonatorio umano?
Si prende un numero limitato di simboli (che in parte riproducono le lettere dell’alfabeto latino, in
parte di quello greco e così via) che stanno a indicare determinate vocali e consonanti; per indicare
le altre vocali e consonanti si usano altri segni, i segni diacritici che, aggiunti a un segno di base, lo
modificano (così si mette in atto il principio di economia) e questi segni mi danno un’informazione
ulteriore sul mio simbolo.
Ho un dittongo quando ho due vocali che appartengono alla stessa sillaba, mentre quando una
vocale costituisce il nucleo di una sillaba e l’altra manca il valore sillabico, questa è una
semivocale, cioè una vocale non sillabica e in questi due casi non posso usare la stessa vocale per
indicarle, ad esempio, quando scrivo la i di oi scrivo i, nel caso di pino e spinta, per la i di pino
scrivo i: (segno che ha la funzione di indicare la lunghezza della i), mentre per la i di spinta scrivo ĩ
(segno che indica che le due i non sono uguali non solo perché quella di pino è lunga e quella di
spinta è breve, ma anche perché la i di spinta è una i nasalizzata).
La trascrizione fonetica è la trascrizione che fotografa tutte le caratteristiche articolatorie dei suoni
che devo rappresentare; la trascrizione larga o fonologica tiene conto solo di quelle caratteristiche
distintive. Quando ho la trascrizione di un suono o di una sequenza di suoni che definisco fonetici
uso diverse parentesi: