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LEGGE DI GRASSMANN
Questa legge descrive il comportamento delle occlusive sonore aspirate in sanscrito e in greco. Se due
aspirate ricorrono in sillabe contigue, per dissimilazione la prima delle due si deaspira, perde l’aspirazione.
Questo si vede soprattutto nei verbi con raddoppiamento, come διδωμι. Se però in sanscrito la legge di
Grassmann si applica prima del semplificarsi di gh in h, in greco questa si applica dopo il passaggio delle
occlusive sonore aspirate a occlusive sorde aspirate. Inoltre si applica anche ad [h] quando è esito della s
iniziale i.e.
LEGGE DI GRIMM
Per quanto riguarda invece gli esiti delle occlusive sonore e sorde, tendenzialmente restano intatte. Fanno
eccezione le lingue germaniche, nelle quali le occlusive i.e. sono andate incontro ad una riorganizzazione
(prima rotazione consonantica)
le occlusive sorde indoeuropee *p, *t, *k diventano in germanico le fricative sorde *f, *θ (trascritta
"þ"), *h; così, per esempio, dall'indoeuropeo *pətér ("padre") viene il gotico fáðar (cfr. invece il
latino pater);
le occlusive sonore indoeuropee *b, *d, *g diventano in germanico le occlusive sorde *p, *t, *k;
così, per esempio, dall'indoeuropeo *dekṃ ("dieci") viene in lingua gotica taihun (cfr. invece il
latino decem);
le occlusive sonore aspirate indoeuropee *bh, *dh, *gh diventano in germanico le occlusive sonore
*b, *d, *g ; così, per esempio, dall'indoeuropeo *ghostis ("straniero") viene l'alto tedesco antico
gast (cfr. invece il latino hostis). 7
Ci sono molti casi in cui però questa legge non è rispettata. Ne è un esempio il caso in cui l’occlusiva sorda è
preceduta da un’altra fricativa e quindi l’occlusiva non muta ( i.e. *esti >ted ist egli è). Inoltre la legge non
viene rispettata nemmeno quando le lingue germaniche non presentano, al posto delle occlusive, le
fricative sonore che dovrebbero ma le rispettive fricative sorde.
Tutto ciò è stato spiegato da Verner, nella seconda metà dell’Ottocento. Questo studioso prende in
considerazione il contesto originario di queste occlusive e anche la posizione dell’accento mobile dell’i.e.
(l’accento mobile è quello che non è legato ad un posto fisso, come l’accento della lingua italiana. Una
lingua ad accento fisso è invece il francese). Secondo Verner quindi nelle lingue germaniche le occlusive
sorde originarie evolvono non in fricative sorde ma in fricative sonore quando le occlusive si trovavano fra
elementi sonori e quando non erano precedute immediatamente da un accento i.e.
Questa è la LEGGE DI VERNER, e sebbene sia presentata sempre come completamento alla legge di Grimm,
si tratta in realtà di una legge indipendente.
Nonostante queste leggi, le eccezioni alle leggi fonetiche sono moltissime e i neogrammatici le spiegano per
mezzo dei prestiti e delle analogie. Nei prestiti infatti si mantengono le caratteristiche fonetiche della lingua
di partenza. L’analogia invece è il processo di regolarizzazione in base alla quale al posto delle forme attese
abbiamo delle altre forme modellate su forme che ricorrono nel paradigma o ottenute mediante
l’allineamento ad altri moduli. Un caso di analogia a forme interne al paradigma è l’esempio fatto in
precedenza del rotacismo. Honos è diventato honoR per analogia che le altre forme del paradigma. (La
sorte di i.e. *s in latino: *s a inizio di parola seguita da vocale non cade. La s intervocalica invece può
arrivare, attraverso una fase di sonorizzazione, a [r] rotacismo. Molto spesso si trova l’alternanza tra la
forma rotacizzata e la forma in –s all’interno dello stesso paradigma (vedi genus-generis). A volte una
parola ha subito il fenomeno del rotacismo per imitare un determinato paradigma e non per ragioni
fonetiche. Ad esempio la parola robus-roboris anticamente faceva robosem, non roborem.)
Un esempio invece di analogia ad altri moduli è l’it pongo, che viene dal latino PONO. Di norma ad una n
intervocalica latina corrisponde una –n italiana. Il segmento –ng- nasce in seguito all’allineamento del verbo
PONO al paradigma del verbo vengo, dal latino VENIO. “Vengo” italiano deriva da una forma antica vegno,
esito regolare del latino NJ.
Nel caso do honor, si tratta di una modificazione a pressione paradigmatica. Alcuni mutamenti sono però
riconducibili a pressione sintagmatica ad esempio l’italiano su viene dalla forma suso, mentre giù viene
da giuso, forma modificata di GIOSO. Questa modifica, che sostituisce a o una u, per analogia alla regolare u
di su, è avvenuta probabilmente perché spesso i due avverbi ricorrono insieme in locuzioni e modi di dire.
CAPITOLO 5: Geolinguistica e sociolinguistica, la variabilità
La geografia linguistica nasce con la realizzazione degli atlanti linguistici:
1) 1870 ca, parlate tedesche, ideato da Georg Wenker. Raccoglie il materiale tramite corrispondenza
2) Atlas Linguistique de la France (ALF) di Jules Gullieron 1902-1920
3) Sprach-und Sachatlas Italiens und der Sudschweiz (atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e
della Svizzera meridionale AIS) di karl Jaberg e Jakob Jud. 1928-40.
Gli ultimi due raccolgono il materiale non per corrispondenza ma inviando dei raccoglitori. Negli atlanti
linguistici in un certo numero di località sono riportate delle forme che caratterizzano la lingua parlata in
quella determinata zona dal punto di vista fonetico, morfologico, sintattico e lessicale. 8
Secondo quanto dice il principio di ineccepibilità delle leggi fonetiche, i confini linguistici dovrebbero essere
netti un determinato mutamento da una lingua madre deve trovarsi solo in una determinata zona,
mentre un altro mutamento sempre dalla stessa lingua madre deve trovarsi in un’altra determinata zona.
Dove troviamo il mutamento A non possiamo trovare il mutamento B e viceversa. Questo principio eprò
viene smentito proprio dallo studio degli atlanti linguistici! Ad esempio Wneker studia le varietà del basso
tedesco, parlato nelle pianure del nord, e l’alto-tedesco, parlato nelle colline del sud della germania. La
principale differenza tra le due lingue è la presenza nell’alto-tedesco della seconda rotazione consonantica:
modificano le occlusive sorde p, t e k nelle realizzazioni affricate o fricative a seconda della posizione. I
confini della seconda rotazione semantica non sono però netto, ma vengono a diventare via via meno netto
lungo il corso del Reno (ventaglio renano). La lingua quindi non emerge come un organismo omogeneo,
manca l’uniformità. Il distribuirsi articolato degli esiti della seconda generazione è dovuto al fatto che tra il
medioevo e l’età moderna quelle zone erano occupate da staterelli autonomi che permettevano o meno la
libertà di movimento. I confini linguistici riflettono infatti sì delle barriere naturali, ma molto più delle
barriere create dagli uomini stessi, barriere religiose, politiche e culturali. I confini linguistici sono costituiti
da più isoglosse che hanno lo stesso tracciato, e una isoglossa è invece una linea che unisce i punti estremi
ai quali arriva un dato fenomeno. Un confine è più marcato quanto maggiore è il numero delle isoglosse
che lo formano.
La geografia linguistica è possibile però solo con le lingue vive, nelle quali possiamo osservare se in un certo
periodo e in un dato punto, accanto alla forma standard, si trova anche una forma magari arcaica o più
recente. Tutto questo invece non è possibile con le lingue che non sono più parlate, nemmeno con quelle di
cui abbiamo moltissimi documenti scritti come il latino. Questo perché a noi è arrivata una lingua
standardizzata, che da l’impressione di essere una lingua liscia, senza eccezioni o irregolarità, una lingua di
cui non conosciamo le variabilità diatopiche e diastatiche, se non per rari casi ed in modo fortemente
frammentario i linguisti si rapportano all’oggetto di studio in modo diverso a seconda che si tratti di lingue
si
note solo attraverso corpora chiusi o di lingue vive e variabili parla quindi di linguistica storica e
linguistica romanza.
Ciò provoca anche dei diversi approcci ad uno stesso fenomeno linguistico, come ad esempio i fenomeno
delle occlusive sorde latine, che in toscano (e quindi in italiano) possono avere sia esiti sordi che esiti
sonori:
P > it p/v : SCOPA >it scopa ma PAUPERU>povero
T>it t/d: ACETU>it aceto ma STRATA>strada
K>k/g: FOCU>fuoco ma SPICA>spiga
Soluzioni di stampo indoeuropeista sono quelle di Ascoli e Meyer-LubKe. Ascoli ritiene infatti che ala sonora
d sia da attribuire a un effetto sonorizzante della a accentata in penultima sillaba (vedi strada), mentre la
contrapposizione tra g/k è per lui dovuta ad un diverso punto di partenza fono-morfologico. Le parole che
mantengono la sorda si sarebbero formate da un nominativo latino sincopato, mentre le parole con la
sonora da un accusativo latino. Meyer-LubKe elabora invece la “teoria degli accenti”, secondo la quale le
occlusive rimangono sorde se si trovano dopo una vocale tonica in parola accentata sulla penultima sillaba,
ma diventano sonore se ricorrono prima della vocale tonica (sempre in parole con accento in penultima
sillaba) come PATELLA>padella e dopo la vocale tonica con accento in terzultima sillaba come
PICULA>pégola(pece liquida). A queste due spiegazioni però si oppone i fatto che non sono rari i casi in cui,
da una stessa base latina, in toscano/italiano abbiamo 2 parole con significato diverso (RIPA> riva e ripa,
STIPARE> stipare e stivare) o appartenenti a diversi registri linguistici (LACRIMA> lacrima e lagrima che è +
aulico), una con la sorda e una con la sonora. 9
Nel novecento quindi si affacciano due diverse spiegazioni: quella di Merlo e quella di Rohlfs. Il primo vede
come toscano l’esito sonoro e giustifica la presenza di parole con la sorda con una pressione colta
esercitata dalla chiesa, dai notai ecc… Rohlfs vede invece come prettamente toscana la forma sorda e
motiva la presenza di occlusive sorde con l’influsso esercitato sul toscano dalle lingue dell’italia
settentrionale (lingue galloitaliche) , del francese e del provenzale (lingue gallorimanze). In queste lingue
infatti le occlusive sorde subiscono un processo di sonorizzazione per poi arrivare a fricative e poi
addirittura ad un grado zero. Molte solo e prove a favore di quest’ultima teoria. Infatti sappiamo che nella
morfologia italiana raramente si assiste alla sonorizzazione di occlusive originariamente sorde. inoltre per
altri esiti consonantici si riscontra l’influsso dell’esito galloitalico sull’esito indigeno (vedi BAS