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La stima dei pesi delle fonti che compongono la struttura finanziaria (W e W)

NB: in futuro, i portatori di capitale. Se l'impresa ha una struttura finanziaria "target", è corretto utilizzarla per la stima del WACC. In alternativa si può fare riferimento alla struttura finanziaria media di aziende del settore con attività operativa comparabile.

La stima dei pesi delle fonti che compongono la struttura finanziaria è semplice perché è sufficiente effettuare il rapporto tra l'ammontare delle singole fonti e il totale del passivo, che rappresenta la struttura finanziaria dell'impresa.

Tuttavia, non ha molto senso fare riferimento ai pesi che occupano D ed E nello SP, in quanto:

  • Sono espressi a costi storici
  • Possono risentire di recenti operazioni che alterano temporaneamente la struttura finanziaria

Nella realtà, dunque, la prassi operativa più corretta è quella di considerare i valori di mercato, che vanno in qualche modo a correggere i

risultati contabili dell'impresa tenendo conto di tutta una serie di fattori di rischio che provengono dal mercato. Questo metodo richiama il c.d. "principio del fair value", che è alla base delle rilevazioni contabili improntate sui sistemi internazionali. La valutazione "a valori di mercato" è sicuramente più semplice per le società quotate, per cui innanzitutto è richiesta un'informativa di disclosure molto più approfondita rispetto a quella richiesta alle non quotate, e poi perché sono disponibili i dati di mercato che consentono di valorizzare la capitalizzazione di borsa della società, e quindi il valore di mercato della struttura finanziaria dell'impresa. Più complesso è invece il caso delle società non quotate, per cui la soluzione semplificatrice che in genere si adotta è quella di andare a fare il confronto con imprese simili, che operano nel medesimo settore di riferimento.e che hanno delle caratteristiche strutturali assimilabili a quelle dell'impresa che valutiamo. Quindi, l'attenzione che dobbiamo avere rispetto all'individuazione dei pesi relativi del debito e dell'equity sulla struttura finanziaria dell'impresa è innanzitutto quella di non considerare i valori contabili, che comunque ci offrono una prima rappresentazione di quella che è la composizione della struttura finanziaria dell'impresa, ma preferibilmente utilizzare i valori di mercato, in quanto ritenuti più rappresentativi di quella che è la reale situazione dell'impresa. In secondo luogo inoltre, dobbiamo fare attenzione al tipo di società di cui ci occupiamo; la valorizzazione sarà infatti più semplice nel caso di società quotate, e invece più complessa e limitata nel caso delle non quotate. LA STIMA DEL COSTO DELL'EQUITY (K) In generale, possiamo definire K come uncosto-opportunità perché, come detto in precedenza, rappresenta la rinuncia da parte dei soggetti che partecipano al capitale di rischio dell'impresa (soci) a ricevere flussi in forma di dividendi, e alla possibilità quindi di investire questi flussi in alternative economicamente più convenienti, il tutto per andare a sostenere l'autofinanziamento dell'impresa. La difficoltà che caratterizza la determinazione del costo dell'equity è rappresentata dalla natura di costo-opportunità di questo valore, cioè dalla completa assenza di rilevatori contabili. In altre parole, non abbiamo a disposizione un onere esplicito come nel caso degli OF, ma dobbiamo andare a fare una stima. I principali modelli teorici utilizzati per la stima del costo dell'equity sono: CAPM (capital asset pricing model), APT (arbitrage pricing theory) e DDM (dividend discount model). Il modello più utilizzato è il CAPM, inRisk-Free Rate - Rm = Expected return on the market portfolio - K = Cost of equity Quanto all'APT, presenta delle complessità molto superiori rispetto al CAPM che lo rendono poco adottato nella pratica. D'altra parte, il DDM ha la criticità di essere troppo semplicistico rispetto al CAPM. La stima del costo dei mezzi propri (K) secondo il CAPM può essere ottenuta utilizzando la formulazione del modello vista precedentemente. In questa formula, sostituiamo alla nostra variabile dipendente il valore del costo dell'equity, cioè K. Gli altri termini che compaiono nella formula sono il tasso privo di rischio, il premio al rischio (rappresentato come differenza tra il rendimento atteso per il portafoglio di mercato M e il rendimento dell'attività priva di rischio) e il coefficiente beta, che rappresenta la componente di rischio sistematico collegato al mercato che non può essere eliminato per diversificazione. La formula per calcolare il costo dell'equity (K) secondo il CAPM è la seguente: K = Rf + β*(Rm - Rf) Dove: - Rf = Tasso privo di rischio - β = Rischio sistematico (non diversificabile) - Rm = Rendimento atteso sul portafoglio di mercato

rendimento del portafoglio di mercato - R – R = premio per il rischio di mercato (Market Risk Premium)

Andiamo adesso ad approfondire l’analisi dei termini che compaiono nella formula di calcolo dell’equity che utilizza il modello del CAPM, cioè approfondiamo le eventuali criticità connesse rispettivamente alla stima del rendimento dell’attività priva di rischio, cioè R , alla stima del coefficiente β, e alla stima del premio al rischio (R – R ).

STIMA DEL TASSO PRIVO DI RISCHIO (R )

Il tasso privo di rischio rappresenta il termine meno critico. Solitamente, come proxy del valore R vengono utilizzati i rendimenti medi annui che il mercato riconosce ai titoli emessi da Stati sovrani su un orizzonte temporale di lunga durata. In particolare, la soluzione preferibile è quella di titoli che abbiano una durata uguale, o comunque paragonabile, a quella dell’alternativa che vogliamo valutare (ad esempio, se

vogliamovalutare un'alternativa di investimento di 10 anni, la cosa migliore da fare sarebbe quella di utilizzare come proxy il rendimento di un titolo di Stato di durata decennale). Vengono utilizzati i titoli di Stato perché si assume che siano le attività in cui vi è assenza di rischio di fallimento dell'emittente (c.d. "default risk"). Le difficoltà incontrate recentemente dagli Stati nell'onorare le proprie obbligazioni imporrebbero un'attenzione maggiore rispetto a questa valutazione di assenza di default risk da parte dei titoli di Stato, in ogni caso nella prassi è stato dimostrato che sono le attività che meglio approssimano il concetto di titolo privo di rischio. Quando è stata teorizzata la quantificazione del costo dell'equity attraverso il modello CAPM, era stato previsto, come ipotesi semplificatrice, che l'attività che doveva essere considerata come priva di rischio non doveva

Il più corretto sarebbe quello di utilizzare dei titoli che hanno una durata uguale o comunque paragonabile a quella dell'alternativa valutata.

STIMA DEL MARKET RISK PREMIUM (R - Rm f)

La problematica maggiore rispetto a questo termine è rappresentata dall'individuazione del portafoglio di mercato M, che è alla base di tutta la teoria sul CAPM.

Una soluzione che possiamo adottare per approssimare il rendimento atteso del portafoglio di mercato M, cioè Rm, è quella di fare riferimento al valore degli indici che rappresentano il mercato dei capitali, cioè gli indici di borsa. In particolare, nel caso del mercato italiano, il principale indice di riferimento che rappresenta l'andamento dei titoli azionari è il "FTSE Italia All-Share", che dal 2009 ha sostituito l'indice MIBTEL, in cui sono considerati nel paniere di calcolo tutte le azioni negoziate sui nostri mercati a esclusione delle small capital.

cioè le imprese a bassa capitalizzazione. Quindi, possiamo utilizzare come rendimento atteso del portafoglio di mercato M il valore assunto da questo indice, e poi andare a fare la differenza con il valore R determinato in precedenza. Si può anche approfondire l'analisi del premio al rischio di mercato, inteso come variabile aleatoria per cui non è noto il rendimento atteso, attraverso strumenti di analisi che utilizzano i procedimenti dell'inferenza statistica per stimare il premio al rischio più rappresentativo dell'evoluzione nel tempo del mercato azionario, andando cioè ad analizzare la serie storica dei differenziali tra i rendimenti del mercato, quindi dei valori degli indici di mercato, e i rendimenti delle attività prive di rischio nel corso del tempo. Le serie storiche utilizzate per l'inferenza devono essere di lungo periodo. Si tratta anche in questo caso di procedure molto complesse, per cui volendo semplificare, laLa soluzione che possiamo adottare è quella di andare a considerare il rendimento offerto sul mercato dai titoli azionari nel momento in cui facciamo la nostra valutazione, e andare a determinare la differenza rispetto a quello che è il rendimento dell'attività priva di rischio che abbiamo selezionato. STIMA DEL BETA (β) Il β può essere definito come rapporto fra la covarianza di un generico titolo i-esimo rispetto al mercato M, e la varianza del mercato. β = cov / σ^2(mercato)(azienda, mercato) Il β può essere anche definito diversamente, cioè come prodotto fra il coefficiente di correlazione, che rappresenta il modo in cui i rendimenti di un certo titolo si muovono rispetto all'andamento del mercato, e il rapporto fra lo sqm riferito al singolo titolo e lo sqm del mercato. β = [σ(azienda) / σ(mercato)] * ρ(azienda, mercato) Dove: - σ^2 = varianza dei rendimenti al quadrato - σ = deviazione standard

dei rendimenti- ρ = correlazione del titolo con il mercato- cov = covarianza del titolo con il mercato

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
165 pagine
1 download
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/11 Economia degli intermediari finanziari

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ItaloBalbo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Finanziamenti d'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Nadotti Loris.