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CHEMIOTERAPICI MODULANTI L’ATTIVITA’ DI ORMONI STEROIDEI ( SERM)
Il capostipite dei SERM è il Tamoxifene, un farmaco con un ridotto spettro d’azione in quanto può
essere utilizzato solo nei tumori della mammella in cui risulta elevato il numero dei recettori degli
estrogeni. La terapia con il Tamoxifene dura 5 anni e non da effetti collaterali importanti come i
chemioterapici citotossici. ( Il farmaco può causare alterazione del ciclo mestruale ma non
sterilità). Inoltre il Tamoxifene che agisce da antagonista dei recettori per gli estrogeni a livello
della mammella, funge da agonista per gli stessi recettori a livello dell’utero di conseguenza è
fondamentale fare dei controlli clinici quali pap-test durante l’intero trattamento con il
chemioterapico.
CHEMIOTERAPICI INIBITORI DEL PROTEASOMA
Il capostipite di questa categoria di farmaci è il Bortezomib, specialità medicinale del Velcade
utilizzato nel trattamento del mieloma multiplo. Questo farmaco inibisce sia il proteasoma che
l’immunoproteasoma con duplice effetto: nel primo caso avviene l’intossicazione della cellula con i
suoi stessi metaboliti nel secondo caso viene impedita l’attivazione di NF-KB, un fattore di
trascrizione molto sfruttato dalle cellule tumorali.
CHEMIOTERAPICI ANTICORPI MONOCLONALI
I bersagli degli anticorpi monoclonali sono: le cellule maligne circolanti ( nel caso di leucemie), le
cellule maligne dei tumori solidi, i fattori di crescita vascolari, le cellule stromali ( es: fibroblasti,
cellule infiammatorie, proteine della matrice) e le cellule endoteliali dei neovasi che hanno
caratteristiche differenti rispetto alle cellule endoteliali dei vasi pre-esistenti in quanto esse sono
più permeabili consentendo non solo un maggior apporto di sostanze nutritive ma anche
l’attraversamento delle cellule tumorali. Questa maggiore permeabilità è dovuta a condizioni di
ipossia tipica delle cellule tumorali e da altri fattori. Il primo anticorpo monoclonale entrato in
terapia è il Rituximab ancora usato nel trattamento del linfoma non Hodking. Il target di questo
farmaco è il CD20, una proteina espressa sulla superficie di cellule pre B e di cellule B mature ma
non presenti nei precursori staminali e sulle plasmacellule. Il meccanismo d’azione del Rituximab
non è ancora stato chiarito in quanto la funzione del CD20 è ancora oggetto di studio; si sa
soltanto che l’attivazione del CD20 induce l’apoptosi della cellula ma non si conosce ancora il suo
ligando naturale. Nelle ricerche condotte è emerso che il topo che non esprime il CD20 non ha un
fenotipo ( l’assenza del CD20 non sembra influenzare in alcun modo il sistema immunitario
dell’animale). In ogni caso il farmaco essendo un agonista recettoriale si lega al CD20 inducendo
l’apoptosi della cellula. Solo il 16% dei pazienti trattati con Rituximab hanno una remissione
completa. Gli effetti collaterali non sono particolarmente gravi: febbre, brividi,nausea, dispnea
Per migliorare l’efficacia del Rituximab sono stati introdotti gli “armed antibodies” costituiti da
anticorpi murini legati a radioisotopi marcati. La scelta dell’anticorpo ricade su quello murino
perché ha un più basso tempo di emivita e si riesce così ad evitare la tossicità causata dal
radioisotopo. L’isotopo radioattivo ha un’elevata energia di ionizzazione che danneggia sia le
cellule direttamente legate all’anticorpo che le cellule tumorali più interne difficilmente
raggiungibili perché meno vascolarizzate. Tra gli armed antibodies ricordiamo il Bevacizumab che è
il principio attivo dell’Avastin utilizzato per il cancro del colon retto ( a lenta proliferazione).
Questo farmaco ha come target i fattori di crescita dell’endotelio vascolare; legandosi a VEGF,
sovraespresso nei tumori in rapida proliferazione, ne impedisce l’interazione con il suo specifico
recettore e interrompe la via di trasduzione che conduce all’angiogenesi. Il farmaco causa la morte
delle cellule tumorali senza sopprimere le cellule immunitarie che possono così partecipare al
processo di eliminazione delle cellule maligne. . Il Trastuximab è invece il primo farmaco
introdotto per la cura dei tumori solidi ( tumore della mammella) e che ha come target il recettore
HER- 2 ( recettore dei fattori di crescita) appartenente alla famiglia dei recettori RENS. Quando il
recettore lega il fattore di crescita epidermale ( EGF) avviene la dimerizzazione e un’auto-
fosforilazione che va ad attivare una cascata di metaboliti. In condizioni normali il recettore HER-2
non è in grado di dimerizzare e saranno quindi gli altri membri della famiglia dei recettori per i
fattori di crescita ad avvicinarsi ad esso e indurre la dimerizzazione. In alcune cellule tumorali il
recettore HER-2 è sovraespresso e ciò aumenta la probabilità che due recettori HER-2, trovandosi
vicine dimerizzino con conseguente transfosforilazione anche in assenza del ligando endogeno. Il
risultato finale è una continua proliferazione cellulare, un aumento della mobilità delle cellule
tumorali e un aumento dell’invasività. Il Trastuximab agisce da antagonista di HER-2: legandosi ad
esso impedisce, per ingombro sterico, la dimerizzazione con un altro recettore HER-2 riducendo la
proliferazione. Inoltre questo farmaco con il frammento Fc può reclutare le cellule immunitarie o
attivare il complemento.
CHEMIOTERAPICI INIBITORI DI TIROSIN CHINASI
Il capostipite di questa classe di farmaci è il Gleevec detto anche Imatinib introdotto in terapia
negli anni 2000. Il Gleevec è una piccola molecola, meno costosa rispetto agli anticorpo
monoclonali e utilizzato nella leucemia mieloide cronica, considerata una malattia rara in quanto si
manifesta in 2 persone su 100.000 all’anno. Il 95% dei pazienti affetti dalla leucemia mieloide
cronica sono portatori di una mutazione genetica a carico del cromosoma 22 nota come
cromosoma Philadelphia. In condizioni fisiologiche la proteina Abl è una tirosino-chinasi a valle dei
RENZ molto controllata. Nella leucemia mieloide cronica invece è presente la Bcr-Abl che non è
controllabile e quindi attiva in modo costitutivo. Il Gleevec agisce come inibitore della Bcr-Abl
legandosi al sito dell’ATP e inibendo la fosforilazione. Il Gleevec è in grado di inibire anche altre
due chinasi espresse nei tumori stromali gastrointestinali. In alcuni pazienti è già insorta
resistenza a questo farmaco e perciò sono stati realizzati degli inibitori di tirosin-chinasi di seconda
generazione. Questi farmaci possono essere somministrati per via orale e non presentano effetti
collaterali particolarmente gravi. Il Gleevec è inoltre usato come farmaco immuno-regolatore
nell’artrite reumatoide.
Altro bersaglio terapeutico per la terapia delle neoplasia potrebbe essere la proteina Ras. È stato
infatti osservato che nel 33% dei tumori è presente un’alterazione a livello di questa proteina che
fa in modo che essa leghi irreversibilmente il GTP. Per il momento sono stati sperimentati farmaci
che inibiscono l’ancoraggio della proteina Ras alla membrana cellulare ma questo approccio non si
è rivelato efficace. La mutazione è abbastanza esposta ma la difficoltà sta nel fatto che Ras è una
proteina globulare e non presenta delle tasche a livello delle quali il farmaco potrebbe agire. Oggi
si sta pensando ad un farmaco in grado di legare una cisteina alla base della mutazione per indurre
un cambiamento conformazionale della proteina e favorire lo scambio del GTP con il GDP.
CHEMIOTERAPICI INIBITORI DEL CHECK-POINT
I farmaci che fanno parte di questa classe sono anticorpi monoclonali che non colpiscono la cellula
tumorale ma le cellule stromali. Dopo 48 ore dalla sua attivazione il linfocita T esprime il CTLA-4
che è un segnale di spegnimento in quanto esso ha un’affinità 1000 volte maggiore rispetto al
CD28 per il CD80 e il CD86. Nel tumore il fattore CTLA-4 è espresso ad altissimi livelli. Il farmaco
che viene utilizzato in questi casi è l’Ipilimumab che lega il CTLA-4 impedendo l’interazione con il
CD80/86. Cosi come il CTLA-4 anche il PD-1 è un segnale di spegnimento dei linfociti T
sovraespresso nelle cellule tumorali. In questo caso si somministra il farmaco Nivolumab. Entrambi
questi farmaci sono anticorpi monoclonali completamente umani. Una somministrazione
combinata dei due farmaci in caso di tumore melanoma metastatico permette di guarire fino al
60% dei pazienti.
INFIAMMAZIONE
L’infiammazione è un processo sequenziale e stereotipato caratterizzato da sintomi quali: calor,
rubor (rossore dovuto all’aumento della circolazione sanguigna causato da vasodilatazione), tumor
(rigonfiamento dovuto ad edema), dolor e functio laesa (perdita della funzione delle cellule).
Un’infiammazione acuta che può essere causata da batteri, virus, tossine può andare incontro ad
una risoluzione con riparazione dei tessuti danneggiati; può andare inoltre incontro a fibrosi se le
cellule coinvolte vengono danneggiate a tal punto che non sono più in grado di esplicare la propria
funzione; Può inoltre trasformarsi in un’infezione cronica. L’infezione cronica può a sua volta
risolversi determinando fibrosi oppure evolvere verso patologie autoimmuni. Oltre
all’infiammazione su base infettiva esiste anche l’infiammazione su base sterile che può essere
provocata per esempio dall’asbesto che viene inalato e si deposita a livello polmonare attivando il
processo infiammatorio.
La finalità del processo di infiammazione è quello di localizzare ed eliminare la noxa patogena
(causa del danno) e riparare le lesioni. Si verifica un’alterazione del microcircolo con
vasodilatazione e aumento della permeabilità: queste condizioni fanno si che la noxa patogena
non si sposti dal suo sito permettendo contemporaneamente alle cellule dell’infiammazione di
arrivare al sito di infiammazione.
Il processo di infiammazione ha inizio con il riconoscimento del microbo da parte del macrofago
che produce dei mediatori chimici che agiscono a livello della cellula endoteliale inducendola ad
esprimere dei fattori di adesione per i neutrofili responsabili del processo di diapedesi. I fattori
chimici che sono coinvolti nell’infiammazione sono:
Fattori plasmatici prodotti dal fegato e immessi in circolo in forma inattiva. Tra questi il
primo ad attivarsi è il fattore XII. Il fattore XII si attiva quando, in seguito al danno tissutale,
si ha un’esposizione del collagene e della membrana basale oppure in seguito
all’attivazione delle piastrine. Il fattore XII attivato porta all’attivazione attraverso una
cascata di eventi della bradichinina e della plasmina; quest’ultima va ad