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La tecnica è la traduzione italiana del termine greco techne, termine che viene tradotto anche con arte
dell’artigiano. È quella competenza, quella capacità pratica – non teorica – di realizzare determinati prodotti .
Si ha una conoscenza pratica e non una conoscenza teorica. La tecnica per realizzare questi prodotti ha
bisogno di strumenti, ovvero gli strumenti tecnici, che rivelano qualcosa di specificamente umano: ne
abbiamo bisogno perché (come diceva l’antropologo Gehlen) siamo degli esseri con delle mancanze, non
siamo specializzati; noi siamo adatti a creare e usare strumenti tecnici perché la nostra specializzazione è nel
nostro cervello, nel nostro vedere le cose per un fine: possiamo farlo perché abbiamo le nostre capacità di
pensiero e le nostre mani dotate di pollice opponibile, che ci permettono di usare gli strumenti (esempio
2001: Odissea nello spazio). Questa è la caratteristica per cui l’essere umano è un essere tecnico. La tecnica
è la capacità di certi oggetti di essere mezzi usati dall’essere umano per potenziare le proprie capacità; però
progressivamente succede che gli elementi tecnici vengono messi assieme, coordinati tra di loro, posti in
sistema, e ciò è possibile grazie a un ragionamento poiché vengono pensati e programmati per stare insieme.
La tecnologia è normalmente definita il sistema della tecnica, cioè il fatto che elementi tecnici sono messi
insieme. Noi viviamo oggi in un’epoca tecnologica perché in buona parte non abbiamo il controllo dei
processi tecnologici e gli strumenti tecnologici che utilizziamo. Questa è la differenza tra tecnica e
tecnologia:
- nella tecnica il controllo è proprio dell’essere umano;
- progressivamente nella tecnologia questo controllo viene meno: assistiamo a una sorta di progressiva
automatizzazione di quelli che non possono più essere degli strumenti ma sono degli apparati, cioè
significa che sono in parte in grado di autoregolarsi. Non è necessario il concreto intervento umano.
È sulla base di questo elemento che dobbiamo distinguere tra tecnica e tecnologia.
15.10.2018____ 13
Lo scimmione del film di Kubrick nell’osso non vede solo un osso, ma nell’osso ha una visione, un progetto,
una prospettiva, cioè interpreta l’osso come un’arma. Inserisce l’oggetto in uno scenario diverso rispetto a
quello in cui l’oggetto si trova. Questo è tipicamente umano: è l’elemento prospettico, progettuale dell’essere
umano. Per l’essere umano la cosa non è semplicemente cosa, la cosa può inserirsi in diversi scenari che
aprono diverse possibilità. A seconda delle necessità sono in grado di adattare una cosa in uno strumento
utile che mi aiuti in quel contesto (posso usare una penna come arma). In realtà riscontriamo questo
comportamento anche negli animali (castori che fanno le dighe, ad es.), però gli esseri umani lo fanno in
maniera articolata, costante e libera mentre gli animali sono sistematici e adottano un’unica soluzione
“continua” alle loro necessità. Questo spiega perché la tecnica è lo strumento umano che ha fatto sviluppare
le nostre civiltà.
I primi che riflettono sulla macchina sono i greci antichi del V/IV sec a.C., che usano e definiscono la tecnica
con la parola techne e parlano di un esperto di questa techne che è il techniche, cioè l’artigiano. E si rendono
conto che da una parte è bello il potenziamento dovuto alla tecnica, ma dall’altra costituisce un elemento di
preoccupazione perché è un potere, e quando si acquisisce un potere sempre più forte la questione è: come si
controlla questo potere? Chi lo controlla?
Fin dai miti greci la tecnica diviene qualcosa di importante, di fondamentale, di bello, di buono, ma diventa
anche il frutto di un peccato, di una colpa, che viene punita radicalmente. (Prometeo). C’è sempre questa
ambiguità collegata alla approvazione e al timore, all’esaltazione delle sorti progressive dell’umanità e alla
paura che tutto questo sfugga al nostro controllo. La tecnica è qualcosa di esaltante e di terribile. Nel primo
coro dell’Antigone di Sofocle c’è una esaltazione dell’essere umano come essere tecnico proprio perché è nel
contempo l’essere umano esaltante e terribile, perché attraverso la tecnica può fare cose esaltanti e cose
terribili, ma soprattutto perché la tecnica in sé è esaltante e terribile – questo riescono a capire i greci: perché
la tecnica è in grado di modificare radicalmente il corso della natura, è un elemento che modifica le leggi
delle cose. L’essere umano è in grado di incidere radicalmente sugli equilibri naturali e lo fa attraverso
l’artificio. Il mondo che crea l’essere umano è un mondo analogo a quello della natura e opposto a quello
della natura: è il mondo artificiale.
La tecnica è qualcosa che dà potere, che è di per sé meraviglioso e terribile e che può essere usato in maniera
buona o cattiva. (Importante).
- Etica della tecnologia: lo sguardo che noi abbiamo per giudicare l’impatto che strumenti tecnici
hanno sulla nostra vita
- Etica nella tecnologia: decidere cosa fare quando li utilizziamo, perché possiamo usarli bene o male
Uno degli esempi più utilizzati nell’antichità è l’Iliade e in particolare la parte inerente il cavallo di Troia.
L’espediente di Ulisse viene chiamato da Omero tecnologhia, cioè l’inganno, l’espediente, l’idea fatta a fini
ingannatori; è un ragionamento che fa uso della tecnica per ottenere un certo risultato. Qui in questo uso –
che è il primo uso importante intestato di tecnologia – vediamo un’accezione negativa e critica di questo
termine, collegata all’inganno. C’è questo senso di ingannare la natura. Quando uso uno strumento tecnico in
un certo modo io baro, perché non mi presento per come sono – con le mie uniche forze e capacità fisiche –
ma uso un’espediente.
Come abbiamo già visto, la tecnologia nasce mettendo insieme strumenti differenti coordinati tra di loro. Da
qui abbiamo già ricavato due aspetti della tecnologia: 1) c’è un logos, un pensiero articolato per cui
determinati strumenti tecnici servono a un fine; 2) mettere assieme strumenti tecnici diversi.
Il terzo aspetto è ancora più importante: fin dall’antichità l’uomo ha sempre voluto costruire una macchina
che funzioni da sola, una macchina che si autoalimenta. Vi sono stati vari tentativi, uno dei quali è dato dal
sistema tecnico che viene sviluppato a partire dal 600 e che diviene sempre più centrale all’interno di questa
dimensione: il sistema dell’orologio. L’orologio risponde almeno in parte a questa funzione di sistema
automatico: grazie a un sistema di molle, ingranaggi, etc, funziona per un certo periodo di tempo facendo il
suo lavoro automaticamente. Il terzo aspetto della tecnologia è proprio questa progressiva automazione: gli
strumenti tecnologici non sono più strumenti ma qualcosa che risulta sempre più automatico, capace di
regolarsi da sé. Certamente deve essere costruito programmato e mantenuto per questo scopo. A mano a
mano che questo aspetto diventa qualcosa di tecnologicamente approfondito, il problema è che nel momento
in cui accedo questo apparato ne perdo in qualche modo il controllo. Questo è l’elemento in più della
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tecnologia: progressivamente ha un certo grado di autonomia che fa sì che noi cediamo all’elemento
tecnologico una parte del nostro controllo. E cosa succede? Se fa lui può fare bene o fare male. Se io sono in
grado di prevedere quello che l’apparato farà e lo programmo per fare questo in maniera assolutamente
stretta ci possono essere degli effetti collaterali ma comunque abbastanza prevedibili e questo apparato
risulta sempre abbastanza sotto al mio controllo. Se invece l’apparato è in grado di imparare, di apprendere, è
in grado di interagire con il loro ambiente e sono in grado di modificare, sviluppare, i loro comportamenti, a
questo punto la mia previsione e il mio controllo diventano sempre più difficili.
Anche gli apparati tecnologici capiscono, in vari modi. Agisce in un certo modo – programmato – ma non
fermabile. Se anch’essi agiscono abbiamo anzitutto un problema di etica. Si parla di una sorta di
responsabilità proprio per l’agire di questi apparati. E non è un caso che si inizi a discutere delle
responsabilità dei robot come soggetti morali, come agenti artificiali morali.
Un altro aspetto ancora più importante è il nostro rapporto con questi apparati, che è molto articolato. Nel
momento in cui interagisco con apparati sempre più fuori dal mio controllo cambia la mia responsabilità nei
confronti di essi. Questo lo dobbiamo vedere soprattutto nel concreto nell’utilizzo degli strumenti tecnologici
di maggior uso sul piano comunicativo: computer, smartphone, alcuni robot.
Gli strumenti tecnologici aprono nuovi ambienti: oggi viviamo in altri mondi paralleli, in molteplici ambienti
virtuali rispetto al mondo naturale.
16.10.2018____
Oggi viviamo in un’epoca in cui non usiamo solo tecniche, usiamo tecnologie. O meglio: interagiamo con
l’agire che è proprio degli apparati tecnologici. Abbiamo già detto che sono due i modi in cui si possono
affrontare le nostre relazioni con questi apparati: 1) Un primo modo è quello che li considera, appunto, come
apparati e soggetti agenti. Nell’ambito della comunicazione abbiamo tre tipologie di questi apparati
(computer, smartphone, robot). 2) L’altro modo è quello per cui questi strumenti non sono solo strumenti in
sé, ma sono strumenti che fanno qualcosa finora inedita: aprono nuovi ambienti virtuali, che sono per noi ma
che ci possono anche escludere.
Hokikomori: termine giapponese che indica coloro per cui le relazioni virtuali hanno più importanza di
quelli reali. Indica coloro che si piazzano davanti al computer e vivono grazie a ciò che gli apparati offrono
loro, vivono nella realtà digitale, tanto da limitare tantissimo la loro agibilità dei mondi reali: vivono nella
loro stanza, per mangiare ordinano online, limitano al minimo le relazioni con le persone fisiche.
Riguarda un fenomeno diffuso in Giappone che però è indicativo anche di una certa tendenza che può
caratterizzare i fruitori della rete. Il considerare che il lontano, il non presente, ciò che è online è più
importante dell’offline.