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Burke
Con lui il sublime assume il carattere di una categoria estetica ben definita e contrapposta al
bello. L’indagine filosofica di Burke sull’idea di sublime è condotta a partire da un’analisi empirica
delle passioni e delle qualità sensibili degli oggetti che le suscitano. Il sublime ha la sua radice
nei sentimenti di paura e di orrore generati dalla percezione di un rischio estremo. Si tratta
tuttavia di un terrore piacevole che Burke definisce diletto (delight) per distinguerlo dalla
sensazione di piacere (pleasure) che non ha alcuna reazione relazione con il dolore. Il diletto è un
piacere negativo che nasce dalla scomparsa di dolore o di pericolo. Perché qualcosa di terribile
possa suscitare l’idea di sublime e deve essere contemplata come uno spettacolo. Connessa
all’idea di sublime è, quindi, la passione dello stupore. Lo stupore è l’effetto del sublime al suo
grado più alto, seguono gerarchicamente l’ammirazione, la riverenza e il rispetto. In
contrapposizione al sublime si colloca l’idea del bello, che Burke nega possa essere definito
come proporzione e armonia, essendo queste qualità intellettuali. Il bello non viene colto
dall’intelletto bensì dalla sensibilità, e la passione che esso suscita è l’amore. Se il sentimento del
bello nasce dalla visione di cose piccole, dotate di contorni leggeri, delicati e sinuosi, il
sentimento del sublime sublime è invece suscitato dalla contemplazione di spazi di ampie
dimensioni, oppure da una potenza naturale.
Sublime in area tedesca
I maggiori esponenti del sublime in area tedesca sono: Bodmer, Breitinger e Von Haller. I primi
due prendono spunto dall’opera miltoniana per rivalutare in poesia il meraviglioso e la forza della
fantasia. Secondo le tesi sviluppati dai primi due, ciò che viene rappresentato ne “Il paradiso
perduto” è relativo a fatti e personaggi che, non appartenenti a questo mondo, si riferiscono in
modo leibniziniano ad altri mondi possibili esistenti nella mente di Dio. Entrambi sottolineano che
il potere emotivo e le parole poetiche, nella loro capacità di rappresentare sensibilmente il
possibile, possono affidare solo al sentimento la loro intelligibilità. Il terzo filosofo prende come
esempio di poesia sublime l’“Ode incompiuta all’Eternità”, che per lui diviene il prototipo di una
poesia sublime sia per l’oggetto che per l’effetto. Ciò che sospinge l’immaginazione aldilà dei
confini del mondo è qui offerto dalla visione di una natura cupa e spettrale che, proprio in quanto
luogo di orridi abissi, evoca l’eternità divina che tutto sovrasta, rendendo ogni cosa niente al suo
cospetto.
Baumgarten
Egli è stato il primo che ha cercato di fondare la scienza generale delle belle arti su principi
filosofici, chiamandola estetica. Egli definisce l’estetica come la scienza della conoscenza
sensibile, da affiancare alla logica dell’intelletto e della ragione, ossia delle facoltà conoscitive
superiori. In questo modo Baumgarten sottrae la percezione del bello e l’immaginazione artistica
alla sfera della pura ingannevolezza cartesiana. L’estetica, infatti, pur essendo inferiore
paragonata alla conoscenza razionale, non per questo è priva di valore conoscitivo. Per lui,
infatti, esiste una linea di continuità tra sensibilità e ragione, in virtù della quale tutto ciò che si
presenta nella sfera della sensibilità non solo non si oppone alla ragione, ma deve essere
considerato come la fonte stessa di ogni conoscenza.
Il massimo di perfezione a cui la conoscenza sensibile può aspirare è quello di una conoscenza
che, seppur confusa, cioè incapace di distinguere analiticamente le singole caratteristiche
proprie di un oggetto e i singoli nessi che sussistono tra loro, è tuttavia chiara, cioè in grado di
percepire globalmente quelle caratteristiche nella loro coerente connessione unitaria. Questo è
l’ambito del bello, che si colloca in una posizione intermedia tra l’ambito oscuro e indistinto delle
cognitio estensive
mere sensazioni, e quello chiaro e distinto della ragione. Per questo il bello è:
clarior.
Kant
La “Critica della facoltà di giudizio” rappresenta una svolta nel modo di affrontare il problema
estetico, in quanto capace di oltrepassare l’antitesi tra le istanze dell’empirismo e quelle del
razionalismo. Più che una pura e semplice sintesi tra queste due istanze, la proposta kantiana
costituisce un vero e proprio spostamento dell’asse teorico-problematico dell’estetica. Il
passaggio risolutivo è individuato nel terreno empirico dei giudizi riflettenti, che, senza possedere
né l’oggettività concettuale dei giudizi conoscitivi, né l’universalità razionale di quelli morali,
contengono sia l’istanza della libertà soggettiva sia quella del rapporto con la conoscenza.
Questo tipo di giudizi presuppone, in quanto affidati alla riflessione soggettiva, un sentimento di
piacere o dispiacere.
Nel giudizio estetico, o di gusto, il soggetto è libero da scopi determinati, lasciando emergere il
fatto che il suo principio sta nel puro sentimento di piacere: il piacere di giudicare qualcosa
unicamente per la sua forma. Giudicando qualcosa bello noi non giudichiamo semplicemente la
relazione al sentimento di piacere che la sua forma suscita. Questo non significa affatto
identificare il piacere implicato nel giudizio estetico con una mera sensazione. A questo
proposito, Kant, distingue il piacere del giudizio di gusto da quello del giudizio di sensazione e da
quello di un giudizio conoscitivo. In quest’ultimo il piacere può esserci quanto non esserci. Nel
primo il piacere è necessariamente presente, ma ha il carattere del tutto individuale di una
sensazione soggettiva suscitata da una qualità sensibile dell’oggetto. Nel giudizio estetico,
invece, si giudica l’oggetto nell’unità della sua forma. Per questo esso implica una libera
immaginazione, capace di unificare la rappresentazione dell’oggetto e di offrirla all’intelletto,
libero gioco
come facoltà delle regole. Il piacere del giudizio estetico scaturisce dal tra
immaginazione e intelletto. Nel giudizio estetico il sentimento riguarda l’accordo con le stesse
facoltà conoscitive, l’intelletto e l’immaginazione, implicate nei giudizi di conoscenza, oggettivi e
universali. D’altra parte, in contrasto con Baumgarten, Kant esclude che la bellezza sia un
concetto e che il giudizio estetico rappresenti una conoscenza dell’oggetto. La risposta kantiana
è che il giudizio estetico rappresenta un’anticipazione della forma di una conoscenza in generale,
e proprio in ciò sta la sua pretesa di universalità. L’universalità a cui aspira il giudizio di gusto è
estetico-soggettiva e, come tale, trova il suo necessario presupposto nell’idea di un senso
comune, in quanto sentimento di una proporzione armonica tra le facoltà conoscitive che si
presuppone possa darsi in ognuno in relazione alla forma degli oggetti che diciamo belli.
L’“Analitica del bello” è dedicata a un’analisi del giudizio di gusto articolata in quattro momenti
(qualità, quantità, relazione e modalità), stabiliti in base ai quattro generi di categorie, in base ai
quali, nella “Critica della ragion pura”, è divisa la tavola dei concetti puri, di quei concetti, cioè,
che devono essere assunti prima di ogni esperienza (a priori) in quanto spontanea produzione
dell’intelletto.
Il problema del rapporto tra la dimensione estetica e quella morale dell’esperienza umana è
affrontato nell’analisi del sentimento del sublime. Sublime per Kant non è un qualsiasi pur
eccezionale fenomeno della natura, ma il sentimento che esso genera nel soggetto. Di fronte a
qualcosa di talmente grande da apparire smisurato l’uomo esperisce i limiti della propria
immaginazione, incapace di misurare tali fenomeni. Questo sentimento del limite della nostra
facoltà immaginativa non si conclude in in uno scacco: l’avvertire il limite della nostra
immaginazione fa emergere per contrasto il valore e la potenza della nostra ragione. Quella
infinità che non riusciamo a immaginare può però essere pensata. L’immaginazione e la ragione
non stanno dunque, in un rapporto di libero gioco, di reciproca armonizzazione, bensì di
contrasto. Ed è appunto in virtù del sentimento di questo contrasto che il piacere del sublime è
definito un “piacere negativo”. Esistono, poi, due tipi di sublime: il sublime matematico, ovvero
quel sentimento che nasce quando l’uomo fa esperienza di qualcosa di talmente grande da
essere al di là di ogni immaginazione; e sublime dinamico che si riferisce al sentimento che
proviamo di fronte a un fenomeno naturale della potenza smisurata, ad esempio un vulcano in
eruzione, una tempesta o uragano. Entrambi si caratterizzano, quindi, per il fatto di essere
entrambi un’esperienza che ci turba e ci esalta al tempo stesso.
Poi Kant affronta la problematica del bello artistico, tracciando una distinzione concettuale tra i
fenomeni della natura e i prodotti del fare umano. L’arte in generale è distinta dalla natura per il
fatto di produrre opere e non effetti. L’arte è produzione mediante libertà, mentre la natura è
produzione secondo necessità. L’arte viene suddivisa da Kant in: arte meccanica e arte estetica.
La prima consiste nell’applicare le procedure necessarie alla realizzazione di un oggetto, la
seconda è finalizzata a una produzione capace di suscitare un sentimento di piacere. Se questo
riguarda la mera sensazione è arte piacevole, se invece riguarda un piacere connesso con una
modalità della conoscenza è arte bella.
La produzione di opere d’arte belle è prerogativa solo del genio, colui che dispone di quel talento
naturale in cui la natura dà la regola d’arte. Il genio è dunque, un dono della natura e non il frutto
di un apprendimento. Genio si nasce e non si diventa. L’opera bella ci si presenta come se fosse
un prodotto spontaneo della natura, anziché del fare umano. L’opera d’arte del genio è motivo di
ispirazione per gli artisti, ma non d’imitazione. L’inimitabilità dell’opera del genio dipende dal
fatto che lo stesso genio non sa dare spiegazione scientifica della sua opera.
Giambattista Vico
Vico è una figura del panorama della riflessione estetica italiana. Per quanto in Italia si discuta del
gusto, tuttavia se ne parla senza riuscire a cogliere il nodo problematico che v