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MUTHESIUS
Scrive nel 1907 “l’importanza delle arti applicate”, nel quale dice che i modelli artistici del passato non
sono proponibili per l’arte applicata intesa come produzione industriale, inoltre che la nuova direttiva
progettuale e formativa dell’arte applicata viene individuata nella FUNZIONALITA’ (la forma deve
derivare dalla funzione, l’estetico dal fine pratico).
La specificità produttiva delle arti applicate viene individuata in tre principi formativi:
1) allo scopo
2) alla natura del suo materiale
3) alla struttura corrispondente al materiale stesso
La fedeltà a questi tre principi impedisce la deriva di un gusto puramente decorativo a-funzionale ed
emenda l’estetico da essere fonte di disfunzionalità perché lo fa coincidere con la funzione stessa. Il
decorativismo si dimostra essere un ostacolo alla funzionalità stessa dell’oggetto, quindi diverrà anti-
funzionale. La riflessione di Muthesius non si esaurisce nei principi della funzionalità, ma ha anche un
risvolto etico-sociale, la critica allo stile passato come gusto puramente decorativo si configura anche
come un attacco al ceto borghese, che trovava nell’esibizione dell’oggetto di lusso la propria identità
estetica e sociale, e si trasformava in una strategia di affermazione ideologica.
Il cattivo gusto non è solo questo, ma la pratica politica di una classe per esibire ed affermare il
proprio potere: in questa prospettiva il funzionalismo estetico ha anche compito pedagogico sociale.
Il design diventa anche il principio di una coesione sociale, se risponde ai bisogni di tutti e non di
alcuni. Il funzionalismo estetico non è solo l’antidoto al cattivo gusto, ma permette all’arte industriale di
rieducare le odierne classi sociali alla solidità, alla franchezza e alla semplicità borghese (considerata
a come era al suo inizio). La definizione estetico-funzionale dell’oggetto industriale si colloca
all’interno di una ridefinizione della finalità della produzione industriale, non deve produrre solo profitto
ma anche miglioramento delle condizioni sociali.
AUGUST LUX
Lux estremizza la tesi di Muthesius, facendo del funzionalismo il principio estetico tout-court.
Nel suo “Estetica dell’ingegneria” del 1910 afferma che se l’orizzonte ontologico della modernità è la
produzione industriale, la sua arte si qualifica essenzialmente come tecnica industriale. Inoltre lo stile
estetico appropriato per una simile arte non può essere di carattere ornamentale ma funzionale:
• l’estetica che si manifesta nei capolavori della tecnica deve nascere da questa stessa tecnica
• dato che questa tecnica è finalizzata a produrre oggetti d’uso, la sua estetica deve coincidere
con la funzionalità tecnica dell’oggetto: l’architetto si tramuta in ingegnere.
Lo stile funzionale non è uno stile impersonale perché, dettato dal progresso tecnologico che è
sempre progresso spirituale, permette la più ampia differenziazione personale, allo stile funzionale
corrisponde il gusto funzionale dell’epoca moderna, espresso non tanto dall’architettura ma dallo
sviluppo dei mezzi di trasporto dell’epoca moderna.
BEHERENS
Pur allineato al funzionalismo, si fa commotore di un funzionalismo stemperato rispetto a quello di
Lux, la funzionalità in quanto tale non è generatrice di estetica. Nel suo “Arte e tecnica” afferma che
fermo restando che il decorativismo costituisce da un punto di vista estetico formale un anacronismo
per la produzione industriale, il suo antidoto non è rinvenibile neanche nell’ingegnerizzazione
dell’estetica: la posizione di Lux viene tacciata di pseudo-estetica, non si possono trarre le leggi
formali dalla costruzione meccanica perché la meccanizzazione non è uno stile, è applicare un certo
tipo di procedura.
Ci sono due possibili fraintendimenti nell’ambito di un’estetica dell’arte applicata
1. se si vede nell’arte il nucleo centrale, il prodotto tenderà a un’estremizzazione dell’oggetto
volta a riproporre modelli formali del passato anacronistici
2. se lo si individua nella tecnica, ci sarà una deriva funzionalista, non risolve il problema
forma/funzione da un punto di vista estetico perché la bellezza non sorge solo da principi
tecnici, dalla rigorosa adeguazione dell’oggetto al suo scopo.
Superare la dicotomia tra l’architetto/artista e l’ingegnere tecnico, è il fine estetico-formale della
produzione.
La SOLUZIONE viene individuata nell’idea di ornato geometrico, cioè l’unione tra arte industria si
realizza non imitando le forme artigianali e gli stili antichi, bensì realizzando nei singoli prodotti tipi o
modelli caratterizzati da un ornato impersonale che, coincidente con la forma dell’oggetto, può essere
solo quello geometrico.
Il design si qualifica anche come un problema culturale in senso lato, perseguire un’estetica
dell’oggetto di carattere impersonale vuol dire contribuire a una riformulazione del gusto non in senso
individuale ma collettivo.
GROPIUS
Il Bauhaus nacque come tentativo di accordare la creatività artistica con la perizia tecnica: il probelma
di questa conciliazione fa tutt’uno con la ricerca di uno stile adeguato all’epoca, lo stile è ciò che
permette di raggiungere e di esprimere un accordo tra esigenze formali e nuovi contenuti tecnico
funzionali. La soluzione presentata nel 1910 non si discosta dal funzionalismo di Muthesius. Per
adesso è più una messa a fuoco del problema che la risoluzione di esso.
La ricerca di uno stile dell’epoca è al centro della sua opera del 1914: riporre completamente la fiducia
nella tecnica o celebrare modelli stilistici del passato al di fuori di ogni logica storica hanno prodotto
un’estetica fallimentare che è espressione di uno smarrimento culturale.
Questo fallimento mostra la necessità di integrare i principi del funzionalismo in una visione più
organicistica del rapporto forma funzione.
L’unione di arte e tecnica si condensa nella formula di FORMA ORGANICA, capace di riunire il sapere
tecnico e il sentimento dell’artista, la forma organica determinerà una nuova evoluzione formale.
(corrispettivo dell’ornato geometrico di Beherns)
Il proposito del Bauhaus è riunificare le belle arti e le arti applicate (tutto questo lo ritroviamo in
Munari, sperimentazione che deve essere vista in base anche alla produzione dell’oggetto dal punto di
vista della sua forma), al concetto di forma organica subentra quello di OPERA D’ARTE UNITARIA,
intesa come unità della tecnica nella sua duplice articolazione di arte ed artigianato: per realizzare ciò
è fondamentale il ruolo del laboratorio.
Inoltre, nell’insistere sulla necessità di tale unità, Gropius ne individua anche la contraddizione, infatti
se l’arte non è insegnabile (si richiama al genio Kantiano), c’è quindi la necessità di una padeia
capace di portare in vita la figura dell’artista artigiano del mondo greco, nella presa d’atto della
contraddizione, si sostiene che l’arte nel mondo moderno non può più essere contemplativa ma
operativa, cioè un’arte tecnica che opera in modo sociale.
Itten sostenva una dimensione artistica individuale del progetto, Gropius si oppone a questo, proprio
per questo l’arte deve esplicarsi secondo modalità collettive e non come creazione singola ed
individuale. I principi di questa modalità collettiva di creazione, che portano a un’idea del bello come
standard, vengono definiti nel testo considerato come l’estetica classica del Bauhaus, “Principi della
produzione del Bauhaus”, 1925.
I principi della modalità collettiva della creatività intesa come operativa sono di carattere intellettuale e
applicativo. L’oggetto deve essere innanzitutto indagato nella sua natura, è da questo studio infatti che
si approda a una visione sintetica dell’oggetto in cui funzionalità e forma convivono organicamente. Il
bello è parte interna dello scopo, integra altre sfere e ne è a sua volta integrato.
Dall’idea di scopo dell’oggetto come integrazione di funzionalità, durata, economicità, bellezza, nasce
l’idea del bello come standard, che fa tutt’uno con l’oggetto come standard:
1. l’oggetto è un oggetto d’uso creato per rispondere ai bisogni dell’uomo
2. tali bisogni sono omogenei
3. ergo: la creazione di tipi, cioè di forme standard per gli oggetti d’uso quotidiano è una
necessità sociale ed è parte integrante dell’oggetto stesso.
Il bello come standard è pensato come una forma di classicismo industriale.
Lo standard è il gusto medio che soddisfa bisogni medi e che piò essere riassunto in tre principi
formali guida: CHIAREZZA LIMPIDEZZA ESSENZIALITA’
Standard come idealità formale che deve tradursi in una esecuzione tecnica: eidos estetico, forma a
priori da tutti condividibile che al tempo stesso è idea e risultato; il designer quindi sviluppa la sua
libertà espressiva all’interno di vincoli tecnico-materiali che può modulare e rendere elastici ma non
trasgredire (come dice Munari).
Il design come sintesi di lavoro formale e tecnico, riconduce l’artista, prima isolato, nell’ambito della
società. La creatività del design è progettualità di vita sociale, design come estetica del progetto in
senso lato.
Altro oggetto di discussione: rapporto tra l’oggetto d’uso con l’ornamento quale elemento dell’estetica
classica dell’oggetto. In favore di una simile integrazione si pone Van de Velde.
VAN DE VELDE
L’ornamento è qualcosa di organico e non qualcosa di subalterno, aggiunto: tale riforma s’inquadra
all’interno di una concezione sintetica delle arti, non solo la distinzione tra arte bella e applicata trova
la sua piena realizzazione nella produzione industriale, essa è infatti è la possibilità di far risorgere
l’origine comune di arte bella e arte applicata e che costituisce la sostanza della tecnica: ornare la vita.
L’ornamento non è quindi esterno all’oggetto di produzione industriale ma ad esso costitutivo, è ciò
che media il rapporto tra forma e funzione nella produzione industriale e ne determina la
complementarità. Proprio perché non ha una natura mimetica, esso non rimanda a qualcosa di
esterno all’oggetto, ma è a lui immanente per nascere dalle leggi interne dell’oggetto stesso,
configurandosi come uno s