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III.
Questi testi sono leggermente divergenti in alcuni punti, perché quasi certamente Carlo si
aspettava di essere incoronato imperatore, ma Leone III cambiò alcune clausole: Weinfurter
riporta che probabilmente Carlo avrebbe voluto essere incoronato il giorno dell’Epifania,
giorno dei re magi → Leone, con grande astuzia, anticipa i tempi, intervenendo su alcuni
particolari e rendendoli più favorevoli per sé, ragione per cui probabilmente Carlo fu scon-
tento.
Innanzitutto, a Oriente, era tutto il popolo che acclamava l’imperatore e il patriarca di Costan-
tinopoli non faceva altro se non ufficializzare la volontà del popolo: qui, invece, prima il papa
incorona l’imperatore e poi il popolo lo acclama. Era quindi, secondo la simbologia tanto cara
agli uomini del medioevo, il papa ad avere scelto Carlo come imperatore. È anche importante
che, ad acclamarlo, è il popolo dei romani e non quello dei Franchi, altro elemento d’irrita-
zione per Carlo.
L’impero che si viene a creare a Occidente è un “impero petrino”, molto ecclesiastico, creato
dal papa. Carlo di questo si accorge subito, tanto che nell’813, quando fa elevare il figlio
Ludovico il Pio, non lo manda a Roma ma lo fa incoronare ad Aquisgrana.
In Oriente, questa viene percepita come un nuovo tipo di incoronazione imperiale, concepita
dagli intellettuali dell’Occidente: è infatti in questo periodo che comincia a circolare la Do-
nazione di Costantino, per preparare la strada alla possibilità del pontefice di creare un nuovo
impero a Occidente, secondo la stessa Donazione dominio del papa.
Tuttavia, in Oriente, non si accettò la presenza di un altro imperatore, anzi, nella zona di
contatto dei due domini (Friuli, Veneto…) ci furono azioni di guerra, condotta da Pipino,
figlio di Carlo.
Nell’812 si giunge a un accordo, la Pace di Aquisgrana, con la quale i bizantini accettano di
utilizzare per Carlo il termine di basileus. Questa pace segna anche l’inizio della fortuna della
città di Venezia, che viene ufficialmente riconosciuta come territorio bizantino, ma essendo
lontana dal centro dell’impero orientale, acquisisce sempre maggiore autonomia e sconfigge
Comacchio, sua rivale fino ad allora.
Diventando imperatore, Carlo ha bisogno di imitare il vero centro imperiale, Costantinopoli,
sempre per la grande importanza della simbologia nel Medioevo. Per questo, ad Aquisgrana,
si fa costruire la cappella palatina, che riproduce una delle architetture del palazzo imperiale
di Costantinopoli, forse ispirandosi anche a San Vitale a Ravenna. 19
Carlo interloquisce anche con il califfo di Baghdad, con il quale c’è uno scambio di amba-
sciate → da questo percepiamo che Carlo percepiva il suo dominio come una potenza mon-
diale. Attraverso questi rapporti con il mondo arabo, Carlo riesce anche a ottenere prote-
zione per i pellegrini cristiani che si recano a Gerusalemme.
Il titolo di imperatore, è un titolo onorifico, non aggiunge nulla di più: Carlo continua a de-
finirsi anche come re dei Franchi e dei Longobardi. Probabilmente Carlo, in un primo mo-
mento, non pensava che il titolo si sarebbe protratto anche ai suoi successori, pensava fosse
destinato solo a lui stesso. A tal proposito, nell’806, in previsione della sua morte, quando
scrive il suo testamento, divide in tre parti il suo territorio, senza prevedere però che a uno dei
tre figli venga dato il titolo imperiale. È solo quando, dopo l’810, rimane l’unico figlio, Lu-
dovico che Carlo pensa alla sua incoronazione → Ludovico verrà incoronato nell’813,
l’anno precedente quello della morte di Carlo.
Lettera di Alcuino a Carlo Magno: si è vista la documentazione relativa all’incoronazione
a imperatore di Carlo. Anche prima di questa, però, il suo dominio era ben tracciato: Carlo ha
la consapevolezza di vivere in una civiltà in cui tutto procede dal sacro. Nella lettera in
esame, infatti, viene detto che “l’ufficio imperiale è stato istituito da Dio” e quindi il potere
serve per essere di giovamento al popolo e prendersi cura dello stesso. Il compito dell’impe-
ratore nei confronti del suo popolo e dei suoi sudditi è portarli alla Salvezza eterna. Inoltre,
tra gli altri suoi compiti, ci sono l’istruzione e l’esercizio della saggezza.
In tempo di pace e serenità, poi, l’imperatore dovrà “ordinare ciò che è bene, comandare ciò
che è santo”.
↓
Friedrich Prinz, nel libro Da Costantino a Carlo Magno: la nascita dell’Europa, afferma che
nel mondo medievale la Chiesa era “un sistema integrato al regno”. In alcuni documenti,
infatti, vescovi e abati vengono posti allo stesso livello dei conti e hanno il dovere di unire
uomini per la chiamata militare → anche loro sono dei pilastri dell’amministrazione civile.
Vescovi e abati erano anche coloro che, al tempo, sapevano leggere e scrivere: entrambe le
due gerarchie, sia quella civile sia quella laica, sono al servizio dell’imperatore, vertice di un
organismo unitario voluto da Dio.
Nel 793, in un momento di carestia, è documentata la richiesta anche agli ecclesiastici di poter
sostenere il regno con la preghiera.
Carlo stesso si occupa della loro formazione: era un uomo di forte cultura e curiosità (anche
se non sa scrivere), si occupa e si preoccupa di diversi campi del sapere.
Inoltre, queste cariche ecclesiastiche controllavano zone sottoposte all’immunità.
Carlo interviene sul controllo della prassi religiosa, sul miglioramento del culto e sulla cor-
rettezza dell’insegnamento teologico.
Carlo applica il modello biblico del re Giosia, che riscopre il libro della legge e riporta
gli israeliti verso Dio, applicando riforme nella vita quotidiana.
Per questo motivo, la legislazione carolingia è ricca di testi che riguardano la formazione
culturale: l’Ammonizione generale (789), si rivolge sia ai laici sia ai vescovi. 20
Un aspetto della religione fortemente sentito e auspicato era l’ortodossia, la religione retta,
che non deve essere meccanica ma unisca il popolo dei fedeli.
Carlo comanda quindi anche ai preti e ai vescovi. Il re, d’altronde, veniva unto con lo stesso
crisma che era utilizzato per la nomina episcopale, riservata ai vescovi.
Anche l’aspetto del canto rientra nel processo di uniformazione, dell’univocità e della razio-
nalizzazione → si vuole che ci sia un solo modo di pregare, già dall’epoca di Pipino. Questo
modo di pregare è appunto il canto romano, che si rifaceva alla “Chiesa di Dio”, ossia quella
di Roma. Di nuovo, questo contatto con Roma si riallaccia al discorso del vantaggio reciproco
del sostegno del papato al regno franco.
Nell’Epistola Generalis, anch’essa precedente l’incoronazione imperiale, incita il popolo a
intraprendere lo studio delle arti liberali (del Trivio e del Quadrivio) → Carlo intraprese an-
che un’opera di correzione del testo sacro.
Paolo Diacono, quando fu a corte, fu commissionato di raccogliere un omeliario, a cui chi
voleva operare un’omelia poteva ispirarsi.
In questo contesto, non è assurdo che il re si preoccupi all’aspetto del miglioramento
dell’istruzione, in primo luogo di quella del clero. Bisognava migliorare il livello morale e
quello culturale del clero: l’epoca carolingia, anche per questo, è un’epoca di rilancio della
cultura e dell’educazione. Non si trattò di un’ideale, ma di un progetto culturale che si realizzò
e concretizzò.
Prima dell’anno 800 infatti, erano piuttosto pochi i manoscritti (si stima fossero 1800), mentre
del IX secolo abbiamo circa 9000 manoscritti.
Il manifesto del rinnovamento culturale dell’età carolingia può essere rintracciato nell’Epi-
stola de litteris colendis, sulla necessità del coltivare lo studio delle lettere. Fu inviata a molti
personaggi illustri dell’impero e quella che ci è giunta era stata inviata a un abate.
La correttezza della lingua era importante sia nell’ambito religioso sia in quello amministra-
tivo. Per amministrare il territorio Carlo necessitava infatti di comunicazioni scritte in maniera
chiara, per trasmettere ciò che comandava.
Il latino doveva essere la lingua unica dell’amministrazione, della religione e della cultura. È
questo il motivo per cui Carlo fa compilare una grammatica e un glossario (dizionario).
È per questo motivo anche che vennero copiati testi di grammatici tardo-antichi; Alcuino
scritte un testo sull’ortografia. Grande fortuna incontrò in questo periodo l’opera di Marziano
Capella, che aveva scritto un testo sulle arti liberali.
La trascrizione significò quindi anche trasmissione della cultura e del sapere. Crescono espo-
nenzialmente le biblioteche, come quella dell’Abbazia di San Gallo in cui c’erano 400 ma-
noscritti, di cui 4 di autori pagani.
A supporto di questa operazione culturale, si venne formando una grafia, un tipo di scrittura
chiara e comprensibile, ossia la scrittura minuscola carolina → era già stata sperimentata
in alcuni monasteri di area gallica nell’VIII sec. e venne migliorata in epoca carolingia. Il
corpo della lettera è contenuto in due linee e le parole sono divise l’una dall’altra. Si usavano
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delle abbreviazioni perché la pergamena costava e bisognava utilizzarne il meno possibile.
Diventa una scrittura univoca, comprensibile, così come lo è la lingua utilizzata.
Prinz dice che si tentò di realizzare un “tentativo di amministrare il potere in maniera
razionale”.
Carlo stesso aveva raccolto una ricca biblioteca, per cui non si limitava a ordinare agli altri.
Sappiamo la notizia della biblioteca perché il suo biografo dice che alla morte decise di ven-
dere i libri per donare il ricavato ai poveri.
Assunse moltissima importanza, quindi, la parola.
Una delle colonne della riforma del mondo carolingio furono i vescovi e i religiosi, il cui
servizio all’amministrazione dell’impero rimase una caratteristica di tutto il Medioevo.
Nell’Admonitio generalis si chiede che siano aperte scuole non solo per i religiosi ma anche
rivolte ai laici e alle donne.
Altra iniziativa di Carlo è la revisione dei libri sacri, di cui si fece carico Alcuino, che fece
una revisione della Bibbia nel momento in cui fu abate a San Martino di Tours. Diede prefe-
renza alla vulgata, curata da San Girolamo.
Anche Teodulfo si occupò di una revisione delle Sacre Scritture, che era in contatto con degli
ebrei e quindi lavorò soprattutto all’Antico Testamento.
La ricerca dell’univocità colpì anche la liturgia: i milanesi però si op