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La voce narrante ripete numerose volte parole la cui radice è ricondu-
caratterizzare il documentario.
cibile ai termini misero e miserabile. Anche quelli che apparentemente sarebbero meri rilevamenti di
dati di fatto, si traducono in ultima istanza in commenti spesso anche piuttosto sgradevoli; è vero che
al di la della gotta uno dei punti sui quali insiste maggiormente la voce fuori campo è il fatto che gli
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abitanti della zona de Las Hurdes siano spesso affetti da patologie riconducibili al cretinismo, ed è
anche vero che, sebbene il termine adottato per indicare chi è affetto da questa malattia sia cretino,
il termine viene di fatto utilizzato più volte nell’accezione di bad word. Nel film emergono tutta una
serie di punti che, se valutati nella giusta prospettiva, inducono lo spettatore a porsi qualche dubbio.
Assolutamente geniale è la sequenza dedicata alla morte della capra: la voce fuori campo dichiara in
maniera stentorea come gli hurdanos tendano a consumare, per quanto concerne la carne, esclusiva-
mente carne di capra, l’unico animale accanto ai maiali presente nella zona, soltanto nel caso in cui
l’animale muoia accidentalmente, per ragioni legate a problematiche e patologie proprie o per morte
La sequenza è
violenta, cadendo ad esempio da un burrone, come viene mostrato dal film di Buñuel.
tuttavia anomala: è infatti evidente come in essa, indipendentemente da quanto in maniera estrema-
mente pomposa la voce fuori campo dichiara come verità inoppugnabile, la capra non cade acciden-
talmente giù dal burrone ma viene colpita dallo sparo di un arma da fuoco, di cui è possibile intrav-
vedere il fumo. La capra viene uccisa con uno sparo e quindi non è assolutamente vero quanto di-
chiarato dalla voce narrante; allo stesso modo non sarebbe né giustificabile né in linea con quanto di-
chiarato dalla voce stessa un atteggiamento di totale menefreghismo da parte della troupe. Altri mo-
menti evidenziano situazioni altrettanto forzate, come ad esempio l’età attribuita dalla voce narrante
ad alcuni hurdanos che risultano palesemente più giovani o più vecchi rispetto a quanto detto. Alcu-
ni di questi momenti sconfinano addirittura nella comicità per la loro assoluta inverosimiglianza. Al-
lo stesso modo, è un autentico gioiello la sequenza iniziale del rituale di taglio della testa al gallo da
parte degli uomini del villaggio: inizialmente, la voce fuori campo pone in risalto come, all’arrivo
della troupe, tutte le donne siano intente a ornarsi e imbellettarsi in vista della celebrazione di una fe-
sta annuale che si tiene nella piazza centrale del paese e che prevede il fatto che con qualsiasi stru-
mento a loro disposizione, gli uomini del villaggio decapitino alcuni sventurati galli. Naturalmente,
la voce fuori campo utilizza per definire tale festa il termine barbaro, barbarico, con inusitata ridon-
danza, per porre in risalto come tale popolazione non soltanto viva in condizioni di assoluta povertà,
ma addirittura sia quasi selvaggia. Ad un certo punto, in riferimento al rituale di decapitazione del
gallo, si ha una frase che è una palese presa in giro del classico documentario antropologico ed etno-
grafico, con la quale la voce fuori campo afferma con estrema attitudine scientifica e partecipazione
emotiva, che il rituale vanta una sua complessa simbologia di carattere sessuale sulla quale ritiene
Siamo di fronte ad una classica frase dei documentari scientifici tradizio-
opportuno non soffermarsi. è opportuno affrontare “in questa sede” determinati argomen-
nali, in cui si sottolinea spesso che non
ti, la quale ha però l’aspetto di una totale presa in giro. In realtà i cenni ci sono, tuttavia per riuscire
a capire davvero di trovarsi di fronte a una meravigliosa presa in giro è di fatto necessario arrivare fi-
la cui lettura permette allo spettatore di entrare in possesso
no in fondo e leggere la didascalia finale,
della chiave che gli consente di decrittare il significato ultimo del film. Significato che è riconduci-
bile in ultima istanza a due elementi cruciali: da un lato sicuramente il punto veramente essenziale è
l’intento di far riflettere lo spettatore, una riflessione che vuole essere riflessione sul cinema in gene-
rale – non soltanto documentario –, e che vuole rendere lo spettatore non un fruitore passivo che ac-
cetta in maniera acritica la verità proiettata sullo schermo come verità assoluta e incontestabile, ben-
sì un osservatore in grado di porsi degli interrogativi, di indagare sulla presunta veridicità di quanto
Dopotutto, i regimi totalitari in Italia e Germania si servirono proprio
vede raffigurato sullo schermo.
del documentario per restituire una “realtà” certamente non rispondente al vero, bensì inficiata dalla
retorica propagandistica di regime. La persuasione dunque riveste un ruolo di primaria importanza
nell’economia del mondo del documentario, il quale può non essere obiettivo ma mirare in maniera
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dichiarata ad inculcare un determinato convincimento nella mente dello spettatore. Ed è per questo
che Buñuel invita lo spettatore a riflettere, a porsi il problema della verità di ciò cui sta assistendo.
Nel documentario, si ha sempre in maniera formale una rappresentazione verosimile della realtà, ma
non bisogna dimenticare che a questa verità viene applicata tutta una serie di filtri. Da un lato quindi
l’obiettivo di Buñuel è far riflettere, dall’altro è invece quello di orientare lo spettatore verso una de-
il regista mira a far comprendere al pubblico come, pur essendo questa situazio-
terminata posizione:
ne di fatto senza riscontro nella realtà, una circostanza simile se non identica si potrebbe davvero ve-
rificare laddove non si impedisse per tempo alle forze fasciste di imporre il proprio dominio. In ma-
niera molto palese il regista sostanzialmente fa propaganda antifascista, invitando lo spettatore a far
Il messaggio non è solo quello di far riflettere
si che non permetta il verificarsi di una distopia simile.
in maniera generica o specifica sul medium cinematografico, ma è proprio anche quello di inculcare
una determinata visione, una determinata coscienza politica, nello spettatore. Pur non trattandosi di
un regista associato all’idea documentaria, Buñuel ha realizzato dunque un documentario che a suo
modo è disturbante quanto i suoi prodotti di cinema di finzione.
Il ponte (1927) e Pioggia (1929) di Joris Ivens
Il film Il ponte di Joris Ivens rappresenta perfettamente, insieme a Pioggia (1929), la cosiddetta mo-
dalità poetica utilizzata da determinati autori nella loro produzione filmica. Una modalità che al me-
ro discorso di veicolare una comunicazione o di trasmettere un’idea, preferisce privilegiare una for-
ma di discorso più marcatamente artistica che può essere considerato per molti aspetti la controparte
filmica di una poesia. Se al documentario in linea di massima noi siamo in qualche modo portati ad
associare soprattutto il fatto di comunicare una verità scientifica, cioè una verità più o meno oggetti-
va, o al limite di trasmettere un’idea, un concetto, cosa che in misura diversa la maggior parte dei do-
cumentari tende a fare in maniera diretta in determinati casi, in maniera indiretta in altri, i documen-
tari che appartengono al filone che privilegia la modalità poetica non vogliono in realtà comunicare
nessuna verità precostituita di sorta. Si limitano a descrivere un determinato momento o serie di mo-
magari anche minimi, privi di importanza, in maniera tale da trasmettere non un’idea, bensì un’
menti,
emozione. Pioggia si limita di fatto a presentare un temporale: il film costruisce sul niente un docu-
mentario breve, ma caratterizzato da una poesia del tutto evidente. Anche Il ponte può essere inscrit-
to in questo filone, poiché il film verte sul “ciclo vitale” di un ponte. Soprattutto ne Il ponte, è possi-
bile vedere una forte analogia stilistica con L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov. Nel
film di Ivens è possibile riconoscere immediatamente la pochezza del soggetto preso in considera-
zione: si tratta spesso di immagini che non riprendono nulla di significativo. Naturalmente, in un’o-
pera di questo genere assume particolare rilievo il montaggio, che è lo strumento precipuo attraverso
il quale il regista comunica la sua poesia. Gli stacchi di montaggio spesso acquistano un’importanza
particolare nell’economia del film. Spesso essi hanno un’importanza superiore a quanto si è portati a
ritenere: da un lato, acquistano una chiara matrice artistica, dall’altro tendono a essere uno dei modi
prediletti da ciascun autore per illustrare la propria poetica. Ne Il ponte gli stacchi non sono “strani-
anti” e “fastidiosi” e separano in maniera netta momenti molto diversi tra loro. Joris Ivens è uno dei
documentaristi più significativi della storia del cinema: molto impegnato politicamente, si è interes-
sato a questioni di impegno politico e sociale di numerosi paesi del mondo, sebbene i due documen-
tari in questione, Pioggia e Il ponte, rientrino nell’ambito della cosiddetta sinfonia visiva e non abbia-
no alcun contenuto di ambito politico. I due film di Ivens sono riconducibili infatti al cinema delle a-
vanguardie storiche degli anni Venti e Trenta. Pioggia è un film difficile da definire come documen-
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tario, poiché è sostanzialmente privo di una storia, a meno che non si voglia considerare come storia
Si tratta semplicemente di una sinfonia visiva
lo scoppio improvviso di un temporale ad Amsterdam.
caratterizzata da una successione di immagini straordinarie dal punto di vista fotografico, montate se-
condo un ritmo particolare e in ossequio ad una sapiente costruzione grafica delle linee. Il montaggio
appare molto studiato dal punto di vista formale e visivo, così come il ritmo, dettato da una musica
Pioggia è una poesia visiva e sonora, un piccolo film che vuole dare
scritta appositamente per il film.
al pubblico una precisa sensazione suscitata dal temporale improvviso. Le inquadrature spesso indu-
giano sulle strade, sulle pozzanghere, sui piedi e sulle gambe delle persone che camminano per le vie
di Amsterdam. Il film è un documentario che non documenta niente, in quanto è semplicemente un
montaggio di immagini e suoni che mirano a suscitare una determinata sensazione, come una sorta
di poesia audiovisiva. Anche Il ponte chiaramente non è un documentario tout court, bensì una sinfo-
nia visiva su ciò che la forma del ponte ha suscitato nel regista. Nello stesso periodo René Clair rea-
lizza a Parigi La Tour (1928), brevissimo film sul