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LAVORATORI, E DI SETTORE, PER I DATORI DI
LAVORO. 6
Somministrazione di Lavoro o Interposizione nei rapporti di
lavoro
Fino al 1997 l’interposizione nei rapporti di lavoro era vietata
dalla legge. Quando pensiamo all’interposizione ovviamente
pensiamo al fenomeno del caporalato. L’interposizione fa
pensare a una vera e propria gestione dell’intermediario che
recluta, paga e indirizza il lavoratore. Nel 1997 col Pacchetto
Treu si è preso dagli Stati Uniti che individua determinati
soggetti che possono interporsi tra il datore di lavoro/azienda
utilizzatrice e il lavoratore. Nacquero quindi le imprese di
fornitura di lavoro a termine andando quindi a costituire e
regolare il c.d. lavoro interinale. Nel 2003 sarà la Legge Biagi
a porre i suoi effetti nel mercato del lavoro italiano. Il
Sindacato accompagnò l’introduzione del lavoro interinale e
dell’intermediazione di soggetti privati quali le Agenzie per il
Lavoro, probabilmente anche per l’alto tasso di disoccupazione
di quell’epoca. Tuttavia un’ampia componente della CGIL lo
contrastò sin dall’inizio.
La Riforma Biagi assegna alle Agenzie per il Lavoro la
possibilità di intervenire in tutti i settori, anche in quello della
ricerca&selezione e dell’outplacement. La CGIL si oppose
fortemente alla Legge Biagi e contrastò con forza lo staff-
leasing, ovvero il “noleggio” a lungo termine di lavoratori
attraverso la somministrazione di un lavoratore a tempo
indeterminato. L’opposizione fu giustificata sostenendo che tale
forma contrattuale avrebbe aperto le porte a un processo di
destrutturazione dell’impresa.
La somministrazione di lavoro è stata per le imprese un ottimo
strumento di flessibilità e capace di limitare il contenzioso
legale (lo stesso non si può dire per il ricorso al contratto a
tempo determinato), per i lavoratori ha significato da un lato
maggiore accessibilità al mercato del lavoro e dall’altro un
maggiore precariato. E’ stato tuttavia un notevole veicolo per il
reingresso nel mercato del lavoro per disoccupati di lungo
termine.
Le Agenzia per il Lavoro hanno un loro Fondo per la
Formazione detto FORMATEMP. L’accesso a questo fondo, a
differenza di quanto previsto per l’accesso a FONDIMPRESA
gestito da Confindustria e le maggiori confederazioni che
necessita di un accordo sindacale, è notevolmente più semplice
in quanto non è previsto alcun accordo sindacale.
Libertà Sindacale e Articolo 39 della Costituzione 7
“L’organizzazione sindacale è libera”, così recita l’articolo 39
della Costituzione della Repubblica italiana. La disposizione ha
carattere immediatamente precettivo, ovvero è immediatamente
applicabile in quanto non necessita di disposizioni di legge che
ne dettaglino il contenuto dispositivo rendendola applicabile.
Parliamo quindi di un diritto soggettivo assoluto. In realtà vi è
una limitazione riguardanti i Sindacati gialli (o di comodo)
previsti dall’articolo 17 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero
quei Sindacati che non svolgono una genuina opposizione nei
confronti del datore di lavoro.
Secondo la dottrina l’articolo 39 è un punto d’arrivo,
soprattutto alla luce di quanto previsto dal Fascismo e nel
periodo precedente al regime, quando l’attività sindacale è stata
rispettivamente vietata e tollerata. Costituisce però anche un
punto di partenza, in quanto proprio in virtù di un passato
avverso al sindacalismo l’attività sindacale andava costruito
senza nessuna base storica su cui poggiarsi. La Costituzione
non prevede alcuna forma specifica come quella associativa,
ma si limita a parlare di organizzazione. Ciò è confermato
anche alla luce del dettato dell’articolo 18 dell Costituzione che
prevede la libertà d’associazione. Abbiamo quindi oltre alla
libertà d’azione, anche quella di organizzazione e tutto il Titolo
III della legge 300/1970 riguarda il sostegno al Sindacato in tal
senso.
La libertà sindacale ha un’accezione positiva che riconosce ai
singoli la facoltà/libertà di costituire un sindacato, fare
proselitismo, di riunirsi in assemblea di scegliere liberamente il
proprio campo di azione attraverso la determinazione di quale
tipo di lavoratori rappresentare, nonché un’accezione negativa
che prevede l’astensione da parte dello Stato
nell’organizzazione sindacale.
Le rappresentanze sindacali in azienda
Dopo due anni di assenza di rapporto tra Governo e Sindacati,
si assiste negli ultimi tempi a una progressiva riapertura del
canale di dialogo attraverso il coinvolgimento del Sindacato
nell’ambito dei provvedimenti in merito all’APE.
Le rappresentanze sindacali in azienda sono costituite dalle
RSA e/o, dal 20 dicembre 1993, dalle RSU. Per quanto riguarda
le RSA, le disposizioni che le regolano si trovano all’articolo
19 della legge 300/1970. Oltre all’articolo 19, fanno parte del
titolo III della legge gli altri diritti sindacali tra i quali
l’assemblea e il referendum (istituto particolarmente importante
nel caso FIAT-Pomigliano). 8
L’articolo 19 specifica come l’azione sindacale possa essere
costituita, non vigendo alcun obbligo di legge in merito, su
iniziativa dei lavoratori dall’interno dell’azienda. In realtà la
prassi prevede molto più frequentemente che le organizzazione
sindacali provino ad entrare nell’azienda partendo da una
posizione di terzietà individuando i lavoratori che hanno
carattere e carisma per rappresentare gli altri colleghi sono il
nome dell’organizzazione sindacale.
“rappresentanze sindacali aziendali
possono essere costituite ad iniziativa dei
lavoratori in ogni unità
produttiva nell’ambito:
a) delle associazioni aderenti alle
Confederazioni maggiormente
L’originario articolo 19 individuava nelle rappresentanza
nazionale il criterio discriminante per la costituzione delle
RSA. Il secondo comma del vecchio articolo 19 garantiva la
possibilità di costituire RSA anche per le associazioni non
aderenti alle confederazioni che abbiano firmato un contratto
collettivo nazionale o provinciale.
Tale discriminazione però finiva per individuare solo in CGIL,
CISL e UIL come uniche associazioni in grado di rappresentare
i lavoratori. Tale articolo fu contestato dal sindacalismo
autonomo che si sentiva escluso.
I vari ricorsi alla Corte Costituzionale non hanno sortito mai
nessun risultato, in quanto la Consulta ha sempre affermato la
costituzionalità dell’articolo 19 siffatto. Nel 1994 montò la
rabbia per il monopolio delle confederazioni; si proposero due
quesiti referendari per aggirare la cinghia di trasmissione tra
confederazioni e partiti, che da sempre bloccava qualsiasi
progetto di riforma. Il nuovo articolo 19 (quello non
evidenziato in giallo), prevede dunque l’eliminazione di
qualsiasi riferimento alle confederazioni, permettendo così a
qualunque associazione che abbia firmato un contratto
collettivo (anche di livello aziendale, in quanto spariscono
anche i riferimenti al livello nazionale o provinciale) di
costituire le RSA all’interno dell’azienda. Viene quindi meno
un sistema fortemente discriminatorio in quanto il punto A del
vecchio articolo 19 era chiaramene riferito alle maggiori
confederazioni, ma anche il punto B lo era, anche se in maniera
più subdola, in quanto i contratti collettivi la cui stipulazione
consentiva di accedere al Titolo III dovevano essere nazionali o
9
provinciali. Di conseguenza per poter essere considerato
rappresentativo ai sensi dell’articolo 19 un sindacato doveva
svolgere azione sindacale in ambito nazionale o perlomeno
provinciale. Il nuovo articolo 19 consente così l’accesso al
Titolo III anche ai sindacati operanti solo a livello d’azienda.
La Corte Costituzionale si è pronunciata molte volte
sull’articolo 19 post-referendum: una prima volta con la
sentenza 224/1996 con cui respinge due eccezioni di
incostituzionalità dell’articolo 19 dello Stat. Lav. Nei confronti
dell’articolo 39 della Costituzione. Il timore dei ricorrenti era
quello che i datori di lavoro potevano scegliersi gli interlocutori
escludendo associazioni sindacali non gradite. La Corte ha
respinto il ricorso precisando che la coerenza tra l’articolo 19 e
l’articolo 39 sussiste nella misura in cui ci si attiene al
principio della rappresentatività effettiva. In sostanza non è
sufficiente stipulare semplicemente un contratto qualsiasi, ma
deve esserci una partecipazione attiva al processo di
formazione di un contratto normativo che regoli in maniera
organica il rapporto di lavoro. Un contratto meramente
gestionale non è quindi rilevante ai fini della costituzione delle
RSA in azienda.
A margine del ragionamento circa l’applicazione del contratto
collettivo ai lavoratori iscritti o non a una sigla sindacale
firmataria, occorre sottolineare che nel caso in cui sia il datore
di lavoro a non aver aderito ad alcuna federazione datoriale
firmataria egli potrà comunque applicare il contratto collettivo
nella lettera d’assunzione individuale.
La presenza di sindacati ha sempre costruito la parte principale
del proprio bacino di consenso nelle fabbriche, in quanto nelle
industrie manca spesso una logica vera di conflitto, la forza
lavoro è mediamente più istruita e l’atomizzazione in tante
piccole imprese non permette al sindacato di arrivare nelle più
remote e piccole aziende del Paese, dovendosi di conseguenza
concentrare su aziende più grandi e di portata maggiormente
nazionale.
Il referendum del 1995 sull’articolo 19 voleva demolire i
monopolio delle confederazioni andando a valorizzare l’azione
sindacale effettivamente svolta. Tuttavia si è verificata
un’eterogenesi dei fini, in quanto in realtà i sindacati che
dovevano uscirne ridimensionati, furono gli stessi che trassero
maggiore vantaggio dal nuovo assetto post referendario
dell’articolo 19. La legge non diede alle RSA la titolarità
negoziale, ma di fatto le RSA non elettive e senza titolarità
negoziale hanno comunque firmato contratti aziendali. 9 volte
su 10 queste RSA firmatarie erano espressione delle tre 10
confederazioni. Nel Protocollo Ciampi c’è un paragrafo che fa
riferimento a un documento degli stessi sindacati che
proponeva un sistema di rappresentanza unitaria (RSU). Il 20
dicembre 1993 si firma un accordo interconfederale
compre