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L’ostentazione del buon gusto serviva a prendere le distanze dal lavoro e dalla sfera
pratica, tutto ciò che era troppo economico veniva visto come poco “colto”. Nelle
metropoli industriali tutti sono stranieri, per dimostrare il proprio status si ricorreva
all’ostentazione pubblica, all’emulazione e al consumo competitivo, è importante il
valore posizionale dei beni (Veblen).
Ma non sempre è vero: a volte proprio la semplicità è di moda. Quindi le azioni di
consumo non si rifanno solo alla logica dell’emulazione competitiva e mera funzione
della stratificazione sociale.
Contributi più recenti integrano questo quadro richiamando l’attenzione anche sulla
rivoluzione commerciale e comunicativa, la modernizzazione è un processo
multidimensionale.
Sombart più tardi spiega che l’accumulo di capitale non è più basato sull’economia
feudale ma sul commercio e lo sfruttamento delle colonie. Il capitalismo però è un
allargamento non solo geografico o quantitativo, ma anche qualitativo: entrano in
gioco i beni di lusso.
Approccio classico Approccio contemporaneo
Mercati nazionali Mercati internazionali (colonie)
Mentalità ascetica Mentalità edonistica
Leggi suntuarie (documento per Imperativo della distinzione
conoscere la moda in ogni tempo) + moda e grandi magazzini, pubblicità,
branding
Modelli di capitalismo e regimi di consumo
Esiste una stretta correlazione tra mutamenti della struttura organizzativa e sociale
dei consumi, ma non è affatto detto che la transizione alla modernità sia orientata alla
stessa meta. L’ipotesi di convergenza è sbagliata, e anche quella
dell’omologazione culturale (americanizzazione).
I mutamenti dei consumi sono stati spesso letti sotto la nozione di americanizzazione,
questo perché insieme al flusso di merci gli Stati Uniti sono stati “accusati” di
esportare anche valori e atteggiamenti. Lo sviluppo di una cultura globale del
consumo non implica però che le culture nazionali o locali vengano inglobate nel
modello americano.
Il sistema capitalistico deriva da differenti relazioni e pratiche di consumo, anzi si
dovrebbe parlare di diversi “modelli” di capitalismo, che derivano da fenomeni
economici e culturali di lungo periodo come la globalizzazione e la mercificazioni. È
importante non dimenticare le diverse abitudini, interazioni e istituzioni di consumo:
sono diverse da paese a paese, e portano a diversi regimi di consumo. Path
indipendency effect.
Con l’avvento della globalizzazione il quadro delle differenze viene ridisegnato ma non
è cancellato.
All’interno di ogni nazione o regione le differenze di classe, di genere,
generazione, professione ecc segnano i consumi in modo diverso, le
tradizioni nazionali hanno un ruolo importantissimo nel formare e
organizzare i consumi.
Preferenze individuali e gusti
L’analisi del consumo ha anche importanti risvolti micro sociologici. L’approccio
sociologico integra e in parte confuta le acquisizioni delle ricerche economiche in
materia di consumi.
Secondo l’economia neoclassica il mercato è un meccanismo neutro ed
efficiente di scambio, nel quale le scelte dei consumatori si formano e si
aggregano in maniera non problematica. Il soggetto è libero, razionale e
consapevole dei proprio interessi e delle proprie preferenze (tesi della
sovranità).
Posta la tesi della sovranità l’economia non si interroga molto sulle ragioni delle scelte
dei consumatori, come vengano prese e quali significati soggettivi e sociali abbiano. Il
consumo è stato misurato con indicatori di spesa, è un atto che viene portato a
termine indipendentemente dagli altri, calcolando cosa è più conveniente comprare
per i propri bisogni. Il consumatore quindi massimizza al minor costo l’utilità che
deriva dai suoi acquisti.
Non è così in realtà, con questa teoria molti aspetti vengono trascurati:
l’interdipendenza, la formazione e la standardizzazione delle preferenze, le questioni
sulla qualità dei beni, i differenziali di potere, il ruolo della cultura e delle istituzioni ..
gli economi hanno cercato di risolvere il problema modificando l’impianto neoclassico
con l’ipotesi del reddito relativo, ma ha un effetto marginale.
Oltre al reddito relativo vengono introdotti motivi di emulazione e
dimostrazione di status come l’effetto Veblen, Bandwagon, Snob (questo
sempre nell’analisi economica). L’effetto Veblen opera quando la funzione del
consumo di un oggetto è quella di dimostrare il potere di acquisto del consumatore (in
aperto contrasto con la logica economica) quindi più il prezzo è alto di un bene,
maggiore risulta il suo valore dimostrativo. L’effetto Bandwagon e Snob indicano
situazioni in cui la domanda di un bene o servizio aumenta o diminuisce man mano
che altri consumatori sono interessati e consumano tale bene o servizio o meno.
La prospettiva sociologica
La prospettiva sociologica è più articolata, grazie alla teoria del radicamento
sociale. In questo modo contempla fattori esplicativi che appartengono a diverse
sfere di influenza:
• Relazionale: l’utilità che si ricava da un bene deriva anche dal capitale umano in
cui il consumatore è immerso, dalla biografia personale, l’etica, la cultura, il
ruolo del gruppo dei pari, della classe/genere, dell’appartenenza generazionale..
• Cognitiva: le percezioni che abbiamo, la capacità interpretativa che possediamo
• Culturale: i nostri consumi dipendono anche dai segni e dai simboli, dai rituali e
dalla routine che organizzano la nostra realtà
• Istituzionale: i diversi regimi di consumo della nazione, regione ecc
• Politica: la regolazione economica del luogo
Con questi criteri si riesce a spiegare i comportamenti che non rispondono ai criteri
dell’economia utilitaristica, riesci anche a cogliere meglio i legami tra le pratiche
stesse, e perché a volte si preferisce spendere di più invece di massimizzare il
risparmio, riconoscere l’esistenza dei processi di mercificazione, demercificazione e
sacralizzazione.
Inoltre possedere un certo bene non implica solo il possesso materiale, ma anche
l’appropriazione dei significati sociali associati ad esso.
Produzione, distribuzione e consumo
L’analisi sociologica mette a fuoco il valore posizionale e relazionale dei beni
consumati e si interroga sul ruolo delle industrie culturali nella loro
determinazione. Nel sistema economico l’intreccio tra produzione, distribuzione e
consumo è studiato nella sua capacità di dar luogo a filiere o sistemi di
approvvigionamento. L’attenzione si concentra sulle strutture di potere, ovvero sulla
determinazione degli attori e dei settori in grado di regolare le modalità di scambio.
Gli studiosi mettono in luce che nella sfera economica esistono tre filiere dominate:
• Dalla produzione
• Dalla distribuzione
• Dal consumo
Nella sfera socio-antropologica la biografia culturale dei beni consente di riconoscere
l’esistenza di processi in grado di trasformare il valore dei beni a secondo dello status
che è loro conferito. Il circuito culturale è caratterizzato da relazioni che non sono
rigorosamente preordinate, organizzate secondo una logica circolare anziché verticale.
Unità 8
Diseguaglianze, povertà, esclusione
Sommario
• I nuovi rischi di povertà
• Il problema dell’esclusione sociale
• Diseguaglianza verso esclusione sociale
• Il problema della vulnerabilità sociale
• Mercato e riproduzione sociale
La povertà è un tema classico della sociologia economica, ma è stato accantonato nei
“trent’anni gloriosi” (i primi decenni dopo la guerra, caratterizzati da crescita
economica e benessere) perché si riteneva che nelle democrazie industriali il problema
fosse sparito grazie alle politiche keynesiane e all’intervento del welfare state.
In Italia nel 1985 la commissione Gorrieri riscontra che dal 1981 la povertà è
aumentata di molto, come anche negli altri paesi europei, fra il 1970 e il 1980. Anche
nelle più ricche economie avanzate si era generata una molteplicità di fattori di
disagio economico in grado di creare percorsi di impoverimento.
Gli studi di sociologia economica ricominciano solo quando le politiche keynesiane si
scontrano con il conflitto industriale e il fenomeno della stagflazione (disoccupazione e
inflazione).
Le conseguenze sono che cresce la pressione per il potenziamento delle politiche di
sostegno del reddito, che erano ormai residuali nello stato sociale keynesiano.
Si riconosce inoltre che i diversi assetti welfaristi-keynesiani hanno diverse capacità di
adattarsi alle mutate condizioni di scenario e di porre in essere modalità di regolazione
funzionali alla crescita.
Il problema dell’esclusione sociale
Per molti governi la povertà era ed è un tema molto scottante, che è bene analizzare
attraverso categorie speciali: nasce così la cultura della diseguaglianza.
Gli studi sulla povertà sono condizionati da fattori culturali e cognitivi: la povertà è
infatti sinonimo di esclusione e come tale deve essere combattuta in nome
del diritto all’uguaglianza posto alla base dell’ideologia dominante.
Negli anni novanta il tema entra nelle agende politiche dei paesi occidentali e deve
fare i conti con un diffuso anti-egualitarismo.
Il dibattito si scontra in particolare con:
• Il riconoscimento della povertà come condizione di esclusione
economico-sociale: le situazioni di povertà si definiscono in base a una certa
distanza dal reddito medio pro capite: la soglia di povertà.
• La legittimazione di misure di redistribuzione del reddito: si tratta di
trasferimenti di reddito dall’alto verso il basso (chi è sotto la soglia), basati sul
riconoscimento del diritto universale a un uguale reddito minimo equivalente.
Le disuguaglianze di reddito, quando superano un certo livello, costituiscono un
problema specifico perché possono compromettere le capacità di accesso a modi di
essere e fare che in una società specifica sono considerati e approvati come normali e
propri del cittadino. Se questa condizioni di incapacitazione non viene compensata,
con adeguate politiche, e la si lascia perdurare nel tempo, finisce per danneggiare
troppi aspetti della vita di un individuo e costui inizia a smettere di
riconoscersi come “cittadino” e nei suoi confronti scattano meccanismi di
discriminazione e squalificazione sociale.
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