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Tuttavia la traccia induce a supporre che Tizio voglia agire solo per il ristoro dei danni subiti
dall’arredamento perché il danno viene quantificato in 8000€ (difficilmente comprensiva del crollo
della parete).
Ci si chieda poi se agisca da conduttore o da proprietario del mobilio. Se agisse come conduttore
avrebbe chiesto il ristoro dei danni per l’appartamento perché il conduttore agirebbe per tutelare il
godimento del bene su cui ha il diritto. Quindi si può ragionevolmente supporre che agisca in veste
di proprietario del mobilio. La norma di riferimento sarà quindi l’art. 2043 c.c. generale in materia di
responsabilità extracontrattuale.
Vi sono Caio proprietario vicino e Sempronio che ha effettuato i lavori e ha provocato il danno. Una
responsabilità di Caio può essere affermata secondo due “strade”.
Una prima strada potrebbe essere richiamarsi all’art. 2049 c.c. in cui si dice che padroni e
committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi
nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Quindi sarebbe la responsabilità del preponente
per fatto del preposto. È una responsabilità oggettiva per fatto altrui. Questa norma è più dura
delle precedenti perché non si prevede alcuna responsabilità di prova liberatoria. Quindi è
assoluta. Mentre normalmente le ipotesi di responsabilità oggettiva prevedono la prova di
dimostrare di non aver potuto impedire il fatto (artt. 2047-2048 c.c. responsabilità del sorvegliante
per fatto dell’incapace di intendere e di volere e responsabilità dei genitori, tutori, maestri,
precettori).
La ratio della severità di questa previsione è che si ritiene equo che colui che si avvantaggia di
un’attività lavorativa altrui sia anche tenuto a rispondere dei danni cagionati dall’attività altrui (ubi
commoda ivi incommoda). Questa forma di responsabilità richiede però 3 presupposti: il primo
presupposto è l’esistenza di un c.d. rapporto di predisposizione in virtù del quale il preposto agisce
nell’interesse del preponente in virtù di cui il preponente ha potere di direzione sul preposto. Il
rapporto di preposizione vi è nel rapporto di lavoro subordinato. Il secondo presupposto è che ci
vuole collegamento tra esercizio delle mansioni e verificarsi del danno. È necessario che lo
svolgimento delle mansioni abbia almeno agevolato lo svolgimento dell’illecito, quindi un rapporto
di occasionalità necessaria (fatto illecito commesso dal committente di una banca, che può
accedere più facilmente al denaro), il terzo presupposto è la commissione di un fatto illecito da
parte del preposto. 12/02/2015
Dobbiamo valutare se sia possibile attribuire la responsabilità a Tizio per il fatto di Sempronio. Il
contratto di appalto è un contratto tipico (artt. 1655 e ss.). Caratteristica di questo contratto è
l’autonomia gestionale ed organizzativa dell’appaltatore e questa caratteristica dell’appalto
contrasta di regola con la sussistenza di un rapporto di preposizione perché il committente non ha
potere di direzione e controllo.
Nel caso di specie non sembra applicabile l’art. 2049 per mancanza del rapporto di preposizione.
Questo vale tuttavia solo in via di principio, tuttavia vi sono dei limitati casi (sostanzialmente 2) in
cui è configurabile una corresponsabilità del committente insieme all’appaltatore. Un prima ipotesi
in cui è configurabile una responsabilità del committente è quella nota come culpa in eligiendo,
quindi culpa nell’individuazione del soggetto che dovrà poi eseguire i lavori. Essa si ritiene
sussistere tutte le volte in cui il committente abbia individuato un soggetto palesemente inidoneo a
eseguire l’opera.
L’altra ipotesi è quella in cui in virtù di specifici accordi o per il modo in cui si è svolto il rapporto,
l’appaltatore è ridotto ad esecutore di ordini altrui. L’appaltatore viene ridotto a nudus minister
voluntatis del committente.
Quindi non è esclusa totalmente l’applicazione dell’art. 2049, tuttavia Tizio dovrà dimostrare che
sussista una di queste ultime due ipotesi, tuttavia dalla traccia non traspare alcuna di queste
circostanze.
L’art. 2049 nel caso di specie non è applicabile.
Un’altra strada potrebbe essere quella di richiamarsi all’art. 840 c.c. nel libro dedicato alla proprietà
che dice che la proprietà del suolo si estende al sottosuolo e il proprietario può fare qualsiasi
escavazione che non rechi danno al vicino. Di questo articolo sono state date due distinte
interpretazioni. Un primo modo in cui può essere letto è che si potrebbe sostenere che questa
norma costituisca un’applicazione particolare del più generale principio del neminem laedere. In
questo senso potrebbe deporre la mancanza all’interno della norma di una sanzione per l’ipotesi in
cui si siano arrecati dei danni al terzo, e questa mancanza sarebbe giustificata dal fatto che la
norma almeno implicitamente rinvierebbe all’art. 2043 c.c.
Questa interpretazione lascia a desiderare perché la si riduce ad una norma inutile perché non
avrebbe autonomo significato, rinvierebbe solo all’art. 2043.
Altri studiosi hanno proposto di leggerla come norma che esprime la regola per cui il proprietario di
un fondo sarebbe sempre responsabile dei danni derivanti dalle opere di escavazione,
indipendentemente dal fatto che queste opere siano state fatte da lui personalmente o siano state
commissionate a terzi.
L’art. 840 renderebbe il titolare del terreno responsabile in quanto tale. Leggendo l’art. 840 in
questo modo risponderebbe anche il proprietario in quanto tale. Va sottolineato che questa
responsabilità presuppone comunque la commissione di un illecito extracontrattuale da parte del
proprietario o del terzo cui si è rivolto per l’effettuazione degli scavi. Di conseguenza, il
danneggiato Tizio può invocare l’art. 840, tuttavia va avvertito che in quanto la norma presuppone
l’illecito extracontrattuale vanno provati gli elementi costituitivi di esso. Dal punto di vista oggettivo
si deve dimostrare di aver agito contra ius dovendo dimostrare l’ingiustizia del danno, la lesione di
una propria situazione giuridica tutelata (in questo caso la proprietà), il nesso di causalità tra danno
e condotta del danneggiante, mentre sul piano oggettivo la colpevolezza di colui che ha
materialmente realizzato i lavori. Quest’ultima prova potrebbe non essere facile da dare. In quanto
legali di Tizio potremmo consigliargli che per semplificare l’onere probatorio potremmo sostenere
che l’attività di escavazione potrebbe essere considerata attività pericolosa, con la conseguente
applicazione dell’art. 2050 c.c. In quanto queste attività non sono solo quelle espressamente
previste come tali ma anche quelle che per sua natura o mezzi si possono considerare tali. Il
risultato utile sarebbe la presunzione di responsabilità in capo all’esercente dell’attività pericolosa,
quindi sarà Sempronio a dover provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
La natura di questa responsabilità è stata molto dibattuta perché non è sicuro che si tratti di
responsabilità per colpa presunta oppure di una responsabilità oggettiva. La dottrina maggioritaria
sostiene sia responsabilità oggettiva. Quindi cambierebbe cosa ci sia da provare, perché si dovrà
dimostrare per liberarsi della responsabilità il caso fortuito o la forza maggiore, che farebbero
mancare il nesso di causalità. Se invece la si vede come una responsabilità per colpa presunta, il
contenuto della prova liberatoria sarebbe l’assenza di colpa.
Si può fondare nel nostro caso la natura pericolosa dell’attività di scavo valorizzando le modalità di
svolgimento dell’attività: un primo elemento è il luogo dove è stato svolto lo scavo (a ridosso
dell’abitazione di Tizio). Per altro verso potrebbe essere utile anche la profondità dello scavo.
Nel caso di specie potremmo dire a Tizio che può esercitare la sua pretesa risarcitoria
direttamente nei confronti di Caio ai sensi dell’art. 840 dimostrando tutti gli elementi che abbiamo
visto, con la possibilità di invocare per alleggerire l’onere probatorio della colpevolezza, l’art. 2050,
sempre che si ritenga l’attività di scavo come pericolosa.
Bisogna vedere come si coordinano queste due responsabilità. Bisogna ragionare in termini di
solidarietà (art. 2055). Quindi Tizio può chiedere l’intero a entrambi.
Il titolo della responsabilità di questi due soggetti è diverso, perché la responsabilità del
proprietario è fondata sull’art. 840, mentre la responsabilità dell’appaltatore sull’art. 2043 o sull’art.
2050 nel caso di responsabilità per attività pericolose. Il fatto che i più soggetti rispondono a titolo
diverso non è ostacolo all’applicazione dell’art. 2055.
La seconda precisazione è che il danno viene cagionato materialmente solo da Sempronio ma
anche questo non rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 2055 (che testualmente dice imputabile,
quindi giuridicamente riferibile, non soltanto la causazione materiale).
Colui che risarcisce l’intero danno ha diritto di regresso secondo la gravità della colpa e dall’entità
delle conseguenze derivate. Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali.
Nel nostro caso ponendo l’ipotesi in cui Tizio chieda l’intero danno a Caio, nei rapporti interni con
Sempronio, molto probabilmente il regresso avverrà per l’intero perché tutte le colpe sono
attribuibili all’appaltatore.
Caso n°3 (Esame avvocato 2008)
Tizio in data 10 gennaio 2008 conclude un contratto preliminare di vendita con Caio con previsione
della stipula del contratto definitivo in data 10 marzo 2009 avente ad oggetto un terreno che Caio
ingenuamente ritiene sia di proprietà di Tizio per avere osservato quest’ultimo da una dozzina di
anni esercitare di fatto su di esso pacificamente i diritti del proprietario. Nell’occasione Caio
corrisponde a Tizio la somma di denaro stabilita a titolo di acconto. Nel novembre 2008 Caio
scopre però che il diritto di proprietà sull’immobile spetta a Sempronio, fratello di Tizio. Il terreno, in
effetti, si trova tra due fondi l’uno di proprietà di Tizio e l’altro di proprietà di Sempronio e
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