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FUNZIONE DELLA PENA

La prima teoria tradizionale di funzione della pena è espressa dal brocardo latino “punitur quia peccatum

est”, punito è chi ha peccato. Questa teoria si identifica con la classificazione di concezione retributiva

della pena (= è la giusta retribuzione che l’ordinamento prevede in seguito alla violazione di un precetto) o

detta secondo altra accezione come concezione assoluta della pena (= nel senso che non ha bisogno di

essere spiegata, si spiega da sola).

Questa concezione assoluta della pena ha dei risvolti che derivano dalla religione. Nella religione c’è l’idea

del peccato che necessita di un’espiazione. Questa tesi è stata largamente dibattuta anche in filosofia.

E’ la giusta retribuzione per il danno cagionato alla società, è una sorta di legge del contrappasso. Kant,

Hegel vedevano questa concezione assoluta non in chiave etico-morale ma in chiave giuridico-sociale: la

norma penale serve a tutelare un diritto, il reato è l’offesa di quel bene (= il danno sociale), la pena è la giusta

retribuzione per il male arrecato. Questa visione giuridico-sociale aveva anche una sua spiegazione in una

visione di tutela della dignità umana. Il soggetto viene punito non perché lo usiamo come strumento per

ottenere finalità ulteriori, ma perché è sua la pena, è lui che ha violato la norma penale. Questa visione

retributiva della pena ha trovato anche in tempi moderni grande condivisione.

Un primo aspetto positivo innegabile di questa teoria è l’idea di proporzione che viene collegata al concetto

di retribuzione. La retribuzione deve essere proporzionale al danno arrecato. Ciò significa che la pena non

potrà essere qualunque pena, ma dovrà essere una pena proporzionata alla gravità della violazione posta in

essere, alla gravità del reato. Io non ti posso punire con una pena che non sia commisurata e proporzionata

alla gravità del reato (ecco il rispetto della dignità umana).

Gli aspetti negativi della teoria in oggetto sono vari: una concezione retributiva strettamente considerata

rischia di sfociare nella legge del taglione, occhio per occhio – dente per dente. In questa visione inoltre, la

logica della vendetta è ancora molto forte.

Altri hanno ritenuto preferibile dare una diversa spiegazione alla domanda perché punire. Ecco allora che

alla concezione assoluta della pena, altri hanno preferito attribuire uno scopo alla pena. Nel momento in cui

un soggetto ha violato una norma che minaccia una pena, nel momento in cui a seguito di un processo decido

di applicare una pena, perseguo uno scopo. Sono le c.d. concezioni relative della pena. Esse subordinano

l’applicazione della pena all’identificazione dello scopo. Cercando di sfrondare tra le molteplici ipotesi

teoriche elaborate, sono essenzialmente due le correnti riconducibili alla concezione relativa della pena. Tutte

le concezioni relative si contrappongono alla concezione assoluta per questo: secondo la concezione assoluta

si condanna perché c’è stato un peccato, nella concezione relativa invece “punitur ne peccetur“ si punisce

affinché non si ripetano nuovi reati, onde evitare futuri reati.

In cosa differiscono le concezioni relative della pena? In un caso la pena serve ad evitare che altri soggetti

commettano uno stesso reato (= teoria della prevenzione generale), la seconda guarda invece al singolo reo

(= ti punisco affinché tu, non la comunità, non commetta nuovi reati -> teoria della prevenzione relativa o

speciale).

Sia la prima teoria della prevenzione generale e la seconda teoria della prevenzione relativa si sono

consolidate in epoca quasi coeva alla puntualizzazione giuridica della concezione retributiva.

Questa teoria dello scopo vede nella pena uno strumento che SERVE alla società. Serve alla società perché

nel momento in cui giustifico l’applicazione della pena come strumento per evitare che altri soggetti

commettano un crimine, io do una spiegazione sociale e razionale all’applicazione della pena. Se anche

questa concezione ha una matrice filosofica molto lontana nel tempo (Seneca, Protagora), ricordiamo Cesare

Beccaria. Già nel pensiero illuministico la pena era vista come un male necessario per tutelare la società.

Se già a livello di minaccia la pena serve a trattenere attraverso la paura della sanzione la commissione dei

reati, a maggior ragione nel momento in cui la applico, devo proseguire nella medesima prospettiva.

Esiste una categoria di soggetti che non sono identificabili con un uomo razionale, pensiamo a soggetti

incapaci di ragionare secondo canoni di razionalità. Pensiamo a soggetti che agiscono più per istinto che per

ragione. Se davvero la pena deve servire a trattenere altri dal commettere reato, tutti devono essere in grado

di percepire questo. Ci sono reati o tipologie di criminali che possono essere collocati in questo calcolo di

pesi e contrappesi.

Se la pena serve a trattenere gli altri dal commettere lo stesso reato, qual è la pena adeguata e commisurata

ad ottenere questo effetto?

Una prevenzione generale funziona di fronte ad un uomo razionale. Storicamente chi porta l’attenzione sul

criminale è la scuola positiva. La prima critica forte alla teoria della prevenzione generale nasce proprio qui.

Allora a che cosa serve la pena se non può operare nei confronti della generalità? C’era una norma che

minacciava una pena, questo soggetto ha commesso il fatto nonostante l’esistenza di una minaccia della

pena, dunque è pericoloso. Il reato mi serve non già per valutare quello che è stato, ma quel reato mi ha

evidenziato che quel soggetto è pericoloso per la società perché ha già dimostrato di non rispettare le regole

che ci siamo dati. Ecco allora che lo punisco affinché non commetta più il reato. Ti punisco perché con

questa sanzione dovrai un domani essere trattenuto dall’idea di ricommettere quel reato.

E’ la teoria di prevenzione speciale. Guardo al condannato, al delinquente e non alla società. Quali obiezioni

si possono muovere a questa spiegazione della pena in chiave di prevenzione speciale?

La teoria della prevenzione speciale in realtà non riesce a trattenere l’ipotesi di una neutralizzazione totale

del condannato. Può portare all’annullamento dell’individuo.

L’idea della prevenzione speciale però può essere letta anche in chiave positiva perché se quel soggetto ha

commesso un crimine e quindi va punito per evitare che lo ricommetta, cosa posso fare per evitare che lo

commetta di nuovo? Lo rieduco. La prevenzione speciale può avere una componente positiva che porta al

miglioramento dell’individuo.

Oggi nel nostro ordinamento che spiegazione dà lo Stato alla pena?

Se guardiamo il nostro ordinamento partendo dalla Costituzione, vediamo che questa non è priva di

indicazioni.

Art. 27 Cost. il costituente ha preso ferma posizione. Da un lato ha stabilito che le pene non possono

consistere in comportamenti contrari al senso di umanità, cioè la pena non può mai avere connotazioni tali da

tradursi in concreto in reazioni tali da essere contrarie ad un senso di umanità. I costituenti però non si

fermarono soltanto a questo.

Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Formula tanto chiara quanto ambigua. Il concetto

di rieducazione del condannato è riconducibile ad una concezione di prevenzione speciale. La Costituzione è

ambigua perché non dice che il fine primario della pena sia la rieducazione, ma devono tendere quasi fosse

un effetto successivo. Su questo “tendere” sono stati spesi fiumi di inchiostro.

L’idea della rieducazione può essere vista in certi contesti come idea di omologazione. Non puoi essere tu

con gli strumenti della sanzione che mi trasformi in qualche cosa che non voglio essere.

Di certo la rieducazione anche se intesa in senso più accettabile è andata in crisi perché con il solo carcere si

rieduca molto poco. Non basta il carcere, non basta solo la sanzione. Di fatto ci sono le statistiche che

confermano che la pena non rieduca. Se esistono casi di recidiva significa che la pena potrà tendere alla

rieducazione ma non riesce a rieducare.

A livello teorico c’è chi ha rilanciato fortissimamente verso una nuova idea di prevenzione generale

negativa: l’idea di prevenzione negativa, un ricorso a sanzione sempre più gravi e sempre più rigorose per

dare questo messaggio di reazione forte dello Stato. Si ritorna a pretendere risposte forti da parte dello Stato

convinti che questo livello alto di pene applicate consentano di prevenire.

Oggi le teorie più recenti della prevenzione generale offrono una lettura anche in chiave positiva: già nel

momento della minaccia della pena, l’ordinamento nel fissare la pena dà una gerarchia di valori. Già nel

momento in cui io minaccio una pena opero un consolidamento dei valori della società. Nel momento in cui

applico una pena ho una prospettiva di prevenzione generale che non deve essere sproporzionata. Questo

perché la pena serve a dare un messaggio sociale di graduazione dei valori, c’è un messaggio positivo che

diamo alla società nel dare pene che sono proporzionate.

L’orientamento della Corte Costituzionale è di tipo sincretistico, si parla di polifunzionalità della pena. A

seconda di certi aspetti la pena è vista con finalità particolari. Ciò significa che occorre allenarsi a cogliere

nei vari istituti la finalità di pena che il legislatore ha inteso perseguire. 6° Lezione 25/2/2016

Il primo fondamentale aspetto di connotazione del diritto penale moderno è il principio di legalità. Questo

passaggio è fondamentale perché è lì che abbiamo la svolta, è lì che il diritto penale diventa strumento della

società nel momento in cui la volontà della società non si identifica nella volontà del principe bensì in un

processo di formazione della legge che è alla base della democrazia. Il nostro ordinamento ha recepito a più

piani il principio di legalità.

Da un lato il principio era a sua volta ricollegabile alla stessa finalità della pena che si era valorizzata con il

pensiero illuministico. C’è una valenza general preventiva nella minaccia di pena e questo è un connotato di

legalità. Vi è poi una valenza di tipo tecnico legata al fatto che così facendo si ancora ad una esclusiva fonte

normativa la possibilità di dare vita a norme di natura penale. Nell’orizzonte delle fonti dell’ordinamento

tecnicamente si sceglie una sola fonte quale fonte idonea a creare aree di rilevan

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A.A. 2015-2016
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SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aredhel27 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Melchionda Alessandro.